Il ruolo dallo Stato costituzionale acquisito come proprio nel corso della sua esistenza è consistito, essenzialmente, nella posizione di limiti: verso la decisione politica, in prima battuta, affinché non abusasse della forza pubblica di cui poteva disporre, ma altresì verso gli attori sociali al fine di delimitarne le facoltà qualora in conflitto, effettivo o potenziale, con le esigenze degli altri consociati. Tali compressioni della sfera soggettiva dei privati trovano, peraltro, la loro giustificazione nella garanzia dei valori alla base del Patto costituzionale, in primo luogo dell’uguaglianza e della pari dignità sociale; e in quanto valori costituzionali, debbono presumersi, per definizione, condivisi, in ragione del carattere della Costituzione di forma giuridica dell’unità politica della collettività intesa nella sua totalità. Può poi discutersi se il diritto pubblico può efficacemente assolvere alla sua funzione regolatoria secondo una dimensione puramente nazionale, o se invece avverte l’esigenza di integrarsi oltre i confini dello Stato modellandosi secondo principi comuni a tutti i paesi che si riconoscono in un determinato sistema di valori: si tratta, infatti, in ogni caso di un modello normativo teso a disciplinare i fenomeni economici, in qualche misura limitandoli, e per ciò solo affermando, in ragione della sua stessa esistenza, il primato del giuridico sull’economico: e ciò è particolarmente vero in un regime economico capitalista, che valorizzando l’interdipendenza economica tra i vari soggetti ha, nei fatti, rafforzato la tendenza all’integrazione (nonostante la matrice individualista che tradizionalmente si lega a tale sistema economico) e, dunque, il bisogno sociale di una normativa tesa al riequilibrio delle reciproche posizioni. La c.d. lex mercatoria, l’affermazione globale degli interessi economici che si organizzano e si disciplinano indipendentemente da altre istanze, non costituisce una forma alternativa di diritto ma, semplicemente, un “non-luogo” del diritto, in costante tensione con il concetto di Stato e, in buona sostanza, con quello di democrazia (che presuppone una scelta a priori in ordine ai valori politici su cui essa deve fondarsi). I principi della Costituzione, e la loro funzione di limite degli interessi particolari e delle attività egoistiche, debbono pertanto intendersi come immanenti ed accettati da tutti gli attori sociali, finché vige l’ordine costituzionale: il cui sovvertimento deve necessariamente realizzarsi al di fuori della legittimità giuridica e, pertanto, non può in alcun modo trovare il proprio fondamento nell’ordinamento oggetto della sovversione. Ne consegue che il sistema costituzionale deve garantire il rispetto dei valori su cui si fonda attraverso il diritto, se necessario imponendone la realizzazione
L’economia è la continuazione della politica con altri mezzi
MANFRELLOTTI, RAFFAELE
2011-01-01
Abstract
Il ruolo dallo Stato costituzionale acquisito come proprio nel corso della sua esistenza è consistito, essenzialmente, nella posizione di limiti: verso la decisione politica, in prima battuta, affinché non abusasse della forza pubblica di cui poteva disporre, ma altresì verso gli attori sociali al fine di delimitarne le facoltà qualora in conflitto, effettivo o potenziale, con le esigenze degli altri consociati. Tali compressioni della sfera soggettiva dei privati trovano, peraltro, la loro giustificazione nella garanzia dei valori alla base del Patto costituzionale, in primo luogo dell’uguaglianza e della pari dignità sociale; e in quanto valori costituzionali, debbono presumersi, per definizione, condivisi, in ragione del carattere della Costituzione di forma giuridica dell’unità politica della collettività intesa nella sua totalità. Può poi discutersi se il diritto pubblico può efficacemente assolvere alla sua funzione regolatoria secondo una dimensione puramente nazionale, o se invece avverte l’esigenza di integrarsi oltre i confini dello Stato modellandosi secondo principi comuni a tutti i paesi che si riconoscono in un determinato sistema di valori: si tratta, infatti, in ogni caso di un modello normativo teso a disciplinare i fenomeni economici, in qualche misura limitandoli, e per ciò solo affermando, in ragione della sua stessa esistenza, il primato del giuridico sull’economico: e ciò è particolarmente vero in un regime economico capitalista, che valorizzando l’interdipendenza economica tra i vari soggetti ha, nei fatti, rafforzato la tendenza all’integrazione (nonostante la matrice individualista che tradizionalmente si lega a tale sistema economico) e, dunque, il bisogno sociale di una normativa tesa al riequilibrio delle reciproche posizioni. La c.d. lex mercatoria, l’affermazione globale degli interessi economici che si organizzano e si disciplinano indipendentemente da altre istanze, non costituisce una forma alternativa di diritto ma, semplicemente, un “non-luogo” del diritto, in costante tensione con il concetto di Stato e, in buona sostanza, con quello di democrazia (che presuppone una scelta a priori in ordine ai valori politici su cui essa deve fondarsi). I principi della Costituzione, e la loro funzione di limite degli interessi particolari e delle attività egoistiche, debbono pertanto intendersi come immanenti ed accettati da tutti gli attori sociali, finché vige l’ordine costituzionale: il cui sovvertimento deve necessariamente realizzarsi al di fuori della legittimità giuridica e, pertanto, non può in alcun modo trovare il proprio fondamento nell’ordinamento oggetto della sovversione. Ne consegue che il sistema costituzionale deve garantire il rispetto dei valori su cui si fonda attraverso il diritto, se necessario imponendone la realizzazioneI documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.