Nell’attività scientifica, la divergenza tra teoria e problemi reali è spesso fonte di inquietudine, specie se gli elementi della realtà non derivano direttamente dall’osservazione sul campo. In tal caso, la relazione tra ipotesi e osservazioni non è reciproca. Può anche succedere che il riscontro con una realtà provochi l’abbandono dell’ipotesi formulata in partenza. Diventa allora più urgente la necessità di adeguare l’analisi al campo d’indagine. In ogni modo, è sempre proficuo cercare di adattare l’analisi alle peculiarità dell’oggetto di studio, poiché le ricerche non dovrebbero essere determinate in rapporto alla disciplina, “ma da ciò che l’oggetto di studio presenta” (Phelps Brown, 1975, p. 28). Anche nella ricerca oggetto di questo articolo è stato necessario abbandonare l’ipotesi formulata in partenza per la divergenza, resasi subito palese, tra essa e gli elementi della realtà. L’ipotesi di partenza, sulla quale avevamo costruito una prima idea di lavoro, originava dalla letteratura sui clusters che, da circa un decennio, ha accertato l’esistenza - in Paesi latino-americani, ma anche africani ed asiatici - di un processo di sviluppo nella forma di aggregazioni di piccole imprese sul territorio e di diversificazione produttiva in aree rurali. L’idea era di verificare se fossero in atto analoghi processi di “clustering” in Bolivia. La ricerca trovava una giustificazione nel fatto che il Paese andino non aveva ricevuto, da questo punto di vista, alcuna attenzione. Altrimenti, sarebbe rimasta senza risposta l’interrogativo che era alla base dell’ipotesi di partenza: quali prospettive si potrebbero delineare per un Paese dove la povertà rimane molto più diffusa che nella maggior parte dei Paesi dell’America Latina (World Bank, 2002a, p. iii)? La povertà in Bolivia è un fenomeno strutturale, soprattutto per le caratteristiche della povertà rurale. Colpisce, tuttavia, la valutazione della Banca mondiale quando rileva che la crescita economica, registrata nell’ultimo ventennio, non è “una condizione sufficiente per 2 la riduzione della povertà” (World Bank, 1996b, p. 2). Questa valutazione, indipendentemente dal suo grado di obiettività, faceva aumentare le motivazioni per una ricerca sul campo. Esse erano rafforzate, da un lato, dal fatto che le fonti indirette non erano d’ausilio ad una conoscenza delle reali condizioni economiche delle comunità rurali del Paese andino e, dall’altro, dal desiderio di comprendere, dal punto di vista economico, ciò che era noto solo a livello storico ed etnografico. L’osservazione diretta ci ha rivelato che il caso di studio aveva tali peculiarità da richiedere proprie categorie analitiche e concettuali. La ricerca sul campo ci ha mostrato l’esistenza, o meglio, la persistenza e la resistenza di comunità rurali, il cui equilibrio - economico, sociale, politico, ecologico - costituisce l’esito di processi secolari di adattamenti, di selezione, di saperi tramandati da generazioni di popoli che tuttora resistono ai cambiamenti. Trovandoci di fronte a comunità rurali tradizionali, diventava essenziale porci una domanda preliminare. Perché alcune comunità rurali resistono a quei cambiamenti necessari per innescare un processo di sviluppo, mentre altre ne recepiscono più facilmente le tecniche e le istituzioni? Per cercare una risposta, si rendeva inevitabile un adeguamento dell’analisi al campo d’indagine. Le ragioni sono abbastanza evidenti. Come sarà discusso nelle pagine che seguono, scopo precipuo di questo lavoro riguarda un’analisi conoscitiva ed interpretativa di una tipologia di economia rurale che si fonda su principi di regolazione e di integrazione peculiari. In questa introduzione ci limitiamo ad esporre alcuni aspetti distintivi dell’oggetto di studio che ne giustificano l’interesse. L’obiettivo è di analizzare le ragioni della persistenza secolare di comunità rurali, localizzate sugli altipiani delle Ande, denominate ayllu. Sostanzialmente, gli ayllu sono l’espressione di comunità contadine tradizionali, anche se oggi si tende a designare partizioni territoriali di comunità indigene, ognuna delle quali costituisce un’unità economico-sociale. Tra i sistemi di possesso della terra esistenti in America latina, gli ayllu costituiscono un sistema di agricoltura contadina di tipo comunitario, il cui funzionamento si basa su: a) un’organizzazione comunitaria, dimostratasi nel tempo molto efficace, soprattutto perché essa è il risultato di strategie collettive volte a minimizzare i rischi legati alle severe condizioni climatiche e ambientali; b) una rete sociale di reciproco aiuto. 3 Un primo elemento caratterizzante è la proprietà collettiva della terra. Essendo questa indivisibile, non trasferibile e inalienabile ed avendone ogni famiglia solo il possesso, il relativo mercato è ristretto alle transazioni tra comunità o tra i membri della stessa comunità (World Bank, 1996a, p. 34). Da questo punto di vista, ogni ayllu organizza, gestisce e controlla la distribuzione periodica delle terre coltivabili, in funzione dei loro caratteri ecologici e dello stato di rotazione delle colture. Un secondo elemento è costituito dall’organizzazione socio-economica e politica che è fondata sul principio di reciprocità. Gli ayllu sono comunità rurali con una spiccata identità proprio perché la reciprocità non costituisce, come è dato costatare sia oggi sia nel passato in altre comunità rurali, una pratica a cui si ricorre quando se ne presenta la necessità, ma è un principio che regola sistematicamente le interazioni economiche. Queste brevi notazioni introduttive pongono già una questione di rilievo. Con le nostre consuete categorie concettuali, qualificheremmo come tradizionali o statiche le comunità rurali con i caratteri delineati. Come cercheremo di dimostrare, la loro scarsa propensione al cambiamento socio-economico non è solo effetto dell’isolamento, essa è anche effetto di una sorta di “difesa”, o di risposta “difensiva”. Può essere perciò interessante comprendere i motivi che inducono le popolazioni indigene a rifiutare le alternative offerte dal mondo esterno e, in particolare, intendere perché, restando attaccati alle loro tradizioni e al loro sistema di vita, esse cercano di preservarne l’organizzazione sociale e il sistema di valori. La realtà che gli ayllu ci presentano corrisponde a un tipo di organizzazione socioeconomica la cui logica di funzionamento è diversa da quella dell’economia di mercato. In questo testo, vorremmo sostenere la tesi che gli ayllu hanno resistito ai cambiamenti perché hanno adottato la reciprocità come principio regolativo delle interazioni economiche. Il testo che segue è una discussione dei temi appena accennati e si articola, dapprima, in un’analisi che cerca di comprendere le caratteristiche di una specifica realtà socioeconomica; segue un’interpretazione della reciprocità che, da forma di scambio e di integrazione, si traduce in norma sociale. Infine, saranno espresse alcune osservazioni sul significato che assume oggi la pratica ricorrente dell’interazione personale come valore in sé e sulle implicazioni derivanti da una sua implementazione per una valorizzazione delle “ricchezze” della Bolivia.

Economia rurale come economia di reciprocità. Il caso degli ayllu delle Ande boliviane

DISTASO, MICHELE;CIERVO, MARGHERITA
2006-01-01

Abstract

Nell’attività scientifica, la divergenza tra teoria e problemi reali è spesso fonte di inquietudine, specie se gli elementi della realtà non derivano direttamente dall’osservazione sul campo. In tal caso, la relazione tra ipotesi e osservazioni non è reciproca. Può anche succedere che il riscontro con una realtà provochi l’abbandono dell’ipotesi formulata in partenza. Diventa allora più urgente la necessità di adeguare l’analisi al campo d’indagine. In ogni modo, è sempre proficuo cercare di adattare l’analisi alle peculiarità dell’oggetto di studio, poiché le ricerche non dovrebbero essere determinate in rapporto alla disciplina, “ma da ciò che l’oggetto di studio presenta” (Phelps Brown, 1975, p. 28). Anche nella ricerca oggetto di questo articolo è stato necessario abbandonare l’ipotesi formulata in partenza per la divergenza, resasi subito palese, tra essa e gli elementi della realtà. L’ipotesi di partenza, sulla quale avevamo costruito una prima idea di lavoro, originava dalla letteratura sui clusters che, da circa un decennio, ha accertato l’esistenza - in Paesi latino-americani, ma anche africani ed asiatici - di un processo di sviluppo nella forma di aggregazioni di piccole imprese sul territorio e di diversificazione produttiva in aree rurali. L’idea era di verificare se fossero in atto analoghi processi di “clustering” in Bolivia. La ricerca trovava una giustificazione nel fatto che il Paese andino non aveva ricevuto, da questo punto di vista, alcuna attenzione. Altrimenti, sarebbe rimasta senza risposta l’interrogativo che era alla base dell’ipotesi di partenza: quali prospettive si potrebbero delineare per un Paese dove la povertà rimane molto più diffusa che nella maggior parte dei Paesi dell’America Latina (World Bank, 2002a, p. iii)? La povertà in Bolivia è un fenomeno strutturale, soprattutto per le caratteristiche della povertà rurale. Colpisce, tuttavia, la valutazione della Banca mondiale quando rileva che la crescita economica, registrata nell’ultimo ventennio, non è “una condizione sufficiente per 2 la riduzione della povertà” (World Bank, 1996b, p. 2). Questa valutazione, indipendentemente dal suo grado di obiettività, faceva aumentare le motivazioni per una ricerca sul campo. Esse erano rafforzate, da un lato, dal fatto che le fonti indirette non erano d’ausilio ad una conoscenza delle reali condizioni economiche delle comunità rurali del Paese andino e, dall’altro, dal desiderio di comprendere, dal punto di vista economico, ciò che era noto solo a livello storico ed etnografico. L’osservazione diretta ci ha rivelato che il caso di studio aveva tali peculiarità da richiedere proprie categorie analitiche e concettuali. La ricerca sul campo ci ha mostrato l’esistenza, o meglio, la persistenza e la resistenza di comunità rurali, il cui equilibrio - economico, sociale, politico, ecologico - costituisce l’esito di processi secolari di adattamenti, di selezione, di saperi tramandati da generazioni di popoli che tuttora resistono ai cambiamenti. Trovandoci di fronte a comunità rurali tradizionali, diventava essenziale porci una domanda preliminare. Perché alcune comunità rurali resistono a quei cambiamenti necessari per innescare un processo di sviluppo, mentre altre ne recepiscono più facilmente le tecniche e le istituzioni? Per cercare una risposta, si rendeva inevitabile un adeguamento dell’analisi al campo d’indagine. Le ragioni sono abbastanza evidenti. Come sarà discusso nelle pagine che seguono, scopo precipuo di questo lavoro riguarda un’analisi conoscitiva ed interpretativa di una tipologia di economia rurale che si fonda su principi di regolazione e di integrazione peculiari. In questa introduzione ci limitiamo ad esporre alcuni aspetti distintivi dell’oggetto di studio che ne giustificano l’interesse. L’obiettivo è di analizzare le ragioni della persistenza secolare di comunità rurali, localizzate sugli altipiani delle Ande, denominate ayllu. Sostanzialmente, gli ayllu sono l’espressione di comunità contadine tradizionali, anche se oggi si tende a designare partizioni territoriali di comunità indigene, ognuna delle quali costituisce un’unità economico-sociale. Tra i sistemi di possesso della terra esistenti in America latina, gli ayllu costituiscono un sistema di agricoltura contadina di tipo comunitario, il cui funzionamento si basa su: a) un’organizzazione comunitaria, dimostratasi nel tempo molto efficace, soprattutto perché essa è il risultato di strategie collettive volte a minimizzare i rischi legati alle severe condizioni climatiche e ambientali; b) una rete sociale di reciproco aiuto. 3 Un primo elemento caratterizzante è la proprietà collettiva della terra. Essendo questa indivisibile, non trasferibile e inalienabile ed avendone ogni famiglia solo il possesso, il relativo mercato è ristretto alle transazioni tra comunità o tra i membri della stessa comunità (World Bank, 1996a, p. 34). Da questo punto di vista, ogni ayllu organizza, gestisce e controlla la distribuzione periodica delle terre coltivabili, in funzione dei loro caratteri ecologici e dello stato di rotazione delle colture. Un secondo elemento è costituito dall’organizzazione socio-economica e politica che è fondata sul principio di reciprocità. Gli ayllu sono comunità rurali con una spiccata identità proprio perché la reciprocità non costituisce, come è dato costatare sia oggi sia nel passato in altre comunità rurali, una pratica a cui si ricorre quando se ne presenta la necessità, ma è un principio che regola sistematicamente le interazioni economiche. Queste brevi notazioni introduttive pongono già una questione di rilievo. Con le nostre consuete categorie concettuali, qualificheremmo come tradizionali o statiche le comunità rurali con i caratteri delineati. Come cercheremo di dimostrare, la loro scarsa propensione al cambiamento socio-economico non è solo effetto dell’isolamento, essa è anche effetto di una sorta di “difesa”, o di risposta “difensiva”. Può essere perciò interessante comprendere i motivi che inducono le popolazioni indigene a rifiutare le alternative offerte dal mondo esterno e, in particolare, intendere perché, restando attaccati alle loro tradizioni e al loro sistema di vita, esse cercano di preservarne l’organizzazione sociale e il sistema di valori. La realtà che gli ayllu ci presentano corrisponde a un tipo di organizzazione socioeconomica la cui logica di funzionamento è diversa da quella dell’economia di mercato. In questo testo, vorremmo sostenere la tesi che gli ayllu hanno resistito ai cambiamenti perché hanno adottato la reciprocità come principio regolativo delle interazioni economiche. Il testo che segue è una discussione dei temi appena accennati e si articola, dapprima, in un’analisi che cerca di comprendere le caratteristiche di una specifica realtà socioeconomica; segue un’interpretazione della reciprocità che, da forma di scambio e di integrazione, si traduce in norma sociale. Infine, saranno espresse alcune osservazioni sul significato che assume oggi la pratica ricorrente dell’interazione personale come valore in sé e sulle implicazioni derivanti da una sua implementazione per una valorizzazione delle “ricchezze” della Bolivia.
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