L’art. 2500-ter, comma 1, c.c. come risulta a seguito della riforma delle società di capitali (D.lgs. 17 gennaio 2003, n.6) ha posto l’interprete nella condizione di dover riprendere le fila dell’annoso dibattito in tema di maggioranza e unanimità nelle società di persone. La nuova norma, sebbene si inserisca nel codice attraverso la legge di riforma delle società di capitali e delle società cooperative, trova, tuttavia, la sua collocazione sistematica nel capo X, Della trasformazione, della fusione e della scissione, che riguarda tutti i tipi di società e la disposizione in essa contenuta si pone interamente all’interno del sistema delle società di persone. La regola, infatti, pur riguardando la fase del passaggio da società organizzate su base personale e con responsabilità illimitata dei soci a società a base capitalistica e corporativa, caratterizzate dalla limitata responsabilità dei partecipanti, disciplina il peculiare momento della decisione dei soci all’interno della società di persone. La questione che si indaga riguarda l’incidenza della deliberazione di trasformazione presa a maggioranza sulle posizioni giuridiche del socio costituite dalla legge o da questa consentite quale possibile oggetto di pattuizioni tra soci. Tra le prime, si pensi al socio accomandatario di società in accomandita semplice. In questo caso, applicandosi l’art. 2500-ter potrebbe verificarsi la situazione, paradossale se si considera la realtà delle società in accomandita semplice, per cui la maggioranza formata da accomandanti potrebbe trasformare la società in un tipo capitalistico, estromettendo gli accomandatari e riservando l’amministrazione a se stessi o a terzi. Occorre allora valutare come la nuova disposizione, contenuta nell’art. 2500-ter, si coordini con i principi che governano la società in accomandita semplice e che prevedono la presenza di due categorie di soci con posizioni e funzioni diversamente articolate. Passaggio necessario è l’equiparazione della posizione giuridica degli accomandatari di società in accomandita semplice e di società in accomandita per azioni da cui emerge la possibilità di percorrere diverse strade che valorizzino il dato dell’equiparazione. Una prima via sottolinea l’esistenza di una lacuna “nascosta”, non evidente lì dove è prevista una regola positiva e non la sua limitazione, e ciò induce a chiedersi se si possa escludere l’applicazione dell’art. 2500-ter c.c. all’ipotesi di trasformazione della società in accomandita semplice dove, senza distinguere tra soci accomandanti e soci accomandatari, si equiparano i primi ai secondi, vanificando la distinzione prevista dal sistema. Dinanzi a tale interpretazione restrittiva è possibile: indagare se sia nuovamente applicabile la regola generale prevista dall’art. 2252 c.c. per tutte le modificazioni del contratto sociale; oppure valutare se, nell’ipotesi considerata, si possa applicare analogicamente la regola individuata per la società in accomandita per azioni quale è stabilita dall’art. 2460 c.c. La seconda strada, invece, partendo sempre dalla sostanziale equiparazione delle posizioni giuridiche dei soci accomandatari nella società in accomandita semplice e nella società in accomandita per azioni e considerando la diversità di trattamento operata dalla legge, nello specifico dall’art. 2500-ter c.c., indaga se sia possibile configurare un contrasto con l’art. 3 Cost. e, quindi, una lesione del principio di uguaglianza e, in particolare, del principio di ragionevolezza. Ci si chiede, allora, se l’art. 2500-ter sia costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede, in caso di trasformazione di una società in accomandita semplice, il consenso di tutti i soci accomandatari. Questa via si presta, a sua volta, ad essere percorsa in due differenti direzioni, a seconda che si riconosca o meno alla Corte Costituzionale il potere di interpretare, oltre ai precetti costituzionali, anche le disposizioni di legge denunciate. Si potrebbe perciò ipotizzare: che si addivenga ad una pronuncia che ritiene fondata la questione di legittimità costituzionale; oppure che il giudizio si risolva con una sentenza interpretativa di rigetto che faccia salva la costituzionalità della norma e ne fornisca una diversa interpretazione. Gli effetti delle due soluzioni saranno, ovviamente, diversi sotto il profilo dell’efficacia della legge e della conseguente sua disapplicazione.

La trasformazione di società di persone in società di capitali: spunti per una riflessione.

TEDESCHI, CLAUDIA
2009-01-01

Abstract

L’art. 2500-ter, comma 1, c.c. come risulta a seguito della riforma delle società di capitali (D.lgs. 17 gennaio 2003, n.6) ha posto l’interprete nella condizione di dover riprendere le fila dell’annoso dibattito in tema di maggioranza e unanimità nelle società di persone. La nuova norma, sebbene si inserisca nel codice attraverso la legge di riforma delle società di capitali e delle società cooperative, trova, tuttavia, la sua collocazione sistematica nel capo X, Della trasformazione, della fusione e della scissione, che riguarda tutti i tipi di società e la disposizione in essa contenuta si pone interamente all’interno del sistema delle società di persone. La regola, infatti, pur riguardando la fase del passaggio da società organizzate su base personale e con responsabilità illimitata dei soci a società a base capitalistica e corporativa, caratterizzate dalla limitata responsabilità dei partecipanti, disciplina il peculiare momento della decisione dei soci all’interno della società di persone. La questione che si indaga riguarda l’incidenza della deliberazione di trasformazione presa a maggioranza sulle posizioni giuridiche del socio costituite dalla legge o da questa consentite quale possibile oggetto di pattuizioni tra soci. Tra le prime, si pensi al socio accomandatario di società in accomandita semplice. In questo caso, applicandosi l’art. 2500-ter potrebbe verificarsi la situazione, paradossale se si considera la realtà delle società in accomandita semplice, per cui la maggioranza formata da accomandanti potrebbe trasformare la società in un tipo capitalistico, estromettendo gli accomandatari e riservando l’amministrazione a se stessi o a terzi. Occorre allora valutare come la nuova disposizione, contenuta nell’art. 2500-ter, si coordini con i principi che governano la società in accomandita semplice e che prevedono la presenza di due categorie di soci con posizioni e funzioni diversamente articolate. Passaggio necessario è l’equiparazione della posizione giuridica degli accomandatari di società in accomandita semplice e di società in accomandita per azioni da cui emerge la possibilità di percorrere diverse strade che valorizzino il dato dell’equiparazione. Una prima via sottolinea l’esistenza di una lacuna “nascosta”, non evidente lì dove è prevista una regola positiva e non la sua limitazione, e ciò induce a chiedersi se si possa escludere l’applicazione dell’art. 2500-ter c.c. all’ipotesi di trasformazione della società in accomandita semplice dove, senza distinguere tra soci accomandanti e soci accomandatari, si equiparano i primi ai secondi, vanificando la distinzione prevista dal sistema. Dinanzi a tale interpretazione restrittiva è possibile: indagare se sia nuovamente applicabile la regola generale prevista dall’art. 2252 c.c. per tutte le modificazioni del contratto sociale; oppure valutare se, nell’ipotesi considerata, si possa applicare analogicamente la regola individuata per la società in accomandita per azioni quale è stabilita dall’art. 2460 c.c. La seconda strada, invece, partendo sempre dalla sostanziale equiparazione delle posizioni giuridiche dei soci accomandatari nella società in accomandita semplice e nella società in accomandita per azioni e considerando la diversità di trattamento operata dalla legge, nello specifico dall’art. 2500-ter c.c., indaga se sia possibile configurare un contrasto con l’art. 3 Cost. e, quindi, una lesione del principio di uguaglianza e, in particolare, del principio di ragionevolezza. Ci si chiede, allora, se l’art. 2500-ter sia costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede, in caso di trasformazione di una società in accomandita semplice, il consenso di tutti i soci accomandatari. Questa via si presta, a sua volta, ad essere percorsa in due differenti direzioni, a seconda che si riconosca o meno alla Corte Costituzionale il potere di interpretare, oltre ai precetti costituzionali, anche le disposizioni di legge denunciate. Si potrebbe perciò ipotizzare: che si addivenga ad una pronuncia che ritiene fondata la questione di legittimità costituzionale; oppure che il giudizio si risolva con una sentenza interpretativa di rigetto che faccia salva la costituzionalità della norma e ne fornisca una diversa interpretazione. Gli effetti delle due soluzioni saranno, ovviamente, diversi sotto il profilo dell’efficacia della legge e della conseguente sua disapplicazione.
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