Il saggio affronta il fenomeno della repressione dello stellionato in Roma antica, un crimine non previsto da alcuna lex, ma perseguito su impulso dell’autorità imperiale nell’ambito della c.d. cognitio extra ordinem. Attraverso l’analisi delle fonti antiche in argomento, si ricostruisce l’evoluzione storica di questo illecito e le diverse condotte fraudolente che esso reprimeva, allo scopo di ricostruirne i tratti essenziali. Il crimen stellionatus si configurava in presenza di una condotta materiale commissiva, realizzata con dolo e connotata dall’impiego di astuzie, raggiri o furberie, idonea a procurare al suo autore un vantaggio di natura patrimoniale e a causare un pregiudizio economico a danno di terzi. Era un reato che oggi diremmo ‘plurioffensivo’, perché molteplici ed eterogenei erano gli interessi che l’ordinamento romano mirava a salvaguardare tramite la sua repressione (come l’integrità patrimoniale dei singoli individui e l’interesse della collettività a uno svolgimento libero, ordinato e corretto dell’attività negoziale tra i suoi membri). Il crimen stellionatus aveva inoltre natura sussidiaria, nel senso che non sempre un’azione fraudolenta, dotata di tutte le caratteristiche di cui si è detto, dava luogo allo stellionato: occorreva infatti che tale condotta non fosse punibile ad altro titolo, non fosse cioè sussumibile entro una diversa ipotesi di reato. Il crimen stellionatus, poi, non era perseguibile d’ufficio, ma era necessaria una specifica istanza (accusatio) della parte lesa. L’articolo si chiude con l’esame delle sanzioni previste per i colpevoli di stellionato. La loro concreta determinazione era rimessa alla discrezionalità dell’organo giudicante, il quale però si poteva muovere entro certi limiti, differenti a seconda della posizione sociale dell’autore della condotta penalmente rilevante. La sanzione a carico di costui non poteva infatti eccedere la relegazione temporanea (relegatio ad tempus) o la rimozione dall’ordine di appartenenza (motio ab ordine), se egli era di elevata condizione sociale; per tutti gli altri, il limite massimo era rappresentato dall’opus metalli, vale a dire dalla condanna ai lavori in miniera. Il saggio affronta infine il problema dei rapporti tra infamia e crimen stellionatus, pervenendo alla conclusione che una condanna per stellionato aveva sempre conseguenze infamanti per il soggetto riconosciuto colpevole.

Il crimen stellionatus

mattia milani
2025-01-01

Abstract

Il saggio affronta il fenomeno della repressione dello stellionato in Roma antica, un crimine non previsto da alcuna lex, ma perseguito su impulso dell’autorità imperiale nell’ambito della c.d. cognitio extra ordinem. Attraverso l’analisi delle fonti antiche in argomento, si ricostruisce l’evoluzione storica di questo illecito e le diverse condotte fraudolente che esso reprimeva, allo scopo di ricostruirne i tratti essenziali. Il crimen stellionatus si configurava in presenza di una condotta materiale commissiva, realizzata con dolo e connotata dall’impiego di astuzie, raggiri o furberie, idonea a procurare al suo autore un vantaggio di natura patrimoniale e a causare un pregiudizio economico a danno di terzi. Era un reato che oggi diremmo ‘plurioffensivo’, perché molteplici ed eterogenei erano gli interessi che l’ordinamento romano mirava a salvaguardare tramite la sua repressione (come l’integrità patrimoniale dei singoli individui e l’interesse della collettività a uno svolgimento libero, ordinato e corretto dell’attività negoziale tra i suoi membri). Il crimen stellionatus aveva inoltre natura sussidiaria, nel senso che non sempre un’azione fraudolenta, dotata di tutte le caratteristiche di cui si è detto, dava luogo allo stellionato: occorreva infatti che tale condotta non fosse punibile ad altro titolo, non fosse cioè sussumibile entro una diversa ipotesi di reato. Il crimen stellionatus, poi, non era perseguibile d’ufficio, ma era necessaria una specifica istanza (accusatio) della parte lesa. L’articolo si chiude con l’esame delle sanzioni previste per i colpevoli di stellionato. La loro concreta determinazione era rimessa alla discrezionalità dell’organo giudicante, il quale però si poteva muovere entro certi limiti, differenti a seconda della posizione sociale dell’autore della condotta penalmente rilevante. La sanzione a carico di costui non poteva infatti eccedere la relegazione temporanea (relegatio ad tempus) o la rimozione dall’ordine di appartenenza (motio ab ordine), se egli era di elevata condizione sociale; per tutti gli altri, il limite massimo era rappresentato dall’opus metalli, vale a dire dalla condanna ai lavori in miniera. Il saggio affronta infine il problema dei rapporti tra infamia e crimen stellionatus, pervenendo alla conclusione che una condanna per stellionato aveva sempre conseguenze infamanti per il soggetto riconosciuto colpevole.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11369/470332
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