Sulla base di un’etnografia svolta tra il 2020 e il 2022 a Gela, città della costa meridionale della Sicilia, le trasformazioni cui è andato incontro il senso del luogo e il suo racconto tra illusioni di grandiosità veicolate dall’industria, ruderi della modernità che permeano lo spazio urbano, sentimenti nostalgici e reperti archeologici. L’apertura di un impianto petrolchimico negli anni Sessanta da parte dell’Eni ha trasformato Gela da piccola realtà agricola in snodo dell’industrializzazione del meridione italiano, offrendo alla città un inedito senso di centralità e avanguardia. La recente dismissione dell’impianto ha tuttavia lasciato un territorio contraddistinto da inquinamento, abusivismo edilizio e incertezza del futuro. Il testo analizza il lento processo di rovinamento che caratterizza tanto i ruderi industriali quanto il tessuto urbano contraddistinto da edifici abbandonati, palazzi incompiuti e progetti mai completati. Da un lato, mette in luce il tentativo di rimuovere questa materialità in disfacimento per reimmaginare lo spazio urbano. Dall’altro, sottolinea come il racconto delle rovine della modernità fondi un senso di intimità e appartenenza. Il paesaggio di rovine si lega, inoltre, a un nuovo immaginario che, evocando nostalgicamente il passato rurale e i segni dell’antica colonia greca, cerca di fondare un nuovo senso della località più in linea con i paradigmi di sviluppo turistico. L’articolo dimostra, infine, come a orientare l’immaginario rurale e pre-industriale e le annesse fantasie di grandeur turistica sia proprio l’introiezione di quelle rappresentazioni grandiose del sé veicolate dalla stagione del petrolchimico che oggi si vorrebbe dimenticare.

Rovine del passato, rovine del futuro. Nostalgia e immaginari tardo-industriali in Sicilia

lorenzo d'orsi
2023-01-01

Abstract

Sulla base di un’etnografia svolta tra il 2020 e il 2022 a Gela, città della costa meridionale della Sicilia, le trasformazioni cui è andato incontro il senso del luogo e il suo racconto tra illusioni di grandiosità veicolate dall’industria, ruderi della modernità che permeano lo spazio urbano, sentimenti nostalgici e reperti archeologici. L’apertura di un impianto petrolchimico negli anni Sessanta da parte dell’Eni ha trasformato Gela da piccola realtà agricola in snodo dell’industrializzazione del meridione italiano, offrendo alla città un inedito senso di centralità e avanguardia. La recente dismissione dell’impianto ha tuttavia lasciato un territorio contraddistinto da inquinamento, abusivismo edilizio e incertezza del futuro. Il testo analizza il lento processo di rovinamento che caratterizza tanto i ruderi industriali quanto il tessuto urbano contraddistinto da edifici abbandonati, palazzi incompiuti e progetti mai completati. Da un lato, mette in luce il tentativo di rimuovere questa materialità in disfacimento per reimmaginare lo spazio urbano. Dall’altro, sottolinea come il racconto delle rovine della modernità fondi un senso di intimità e appartenenza. Il paesaggio di rovine si lega, inoltre, a un nuovo immaginario che, evocando nostalgicamente il passato rurale e i segni dell’antica colonia greca, cerca di fondare un nuovo senso della località più in linea con i paradigmi di sviluppo turistico. L’articolo dimostra, infine, come a orientare l’immaginario rurale e pre-industriale e le annesse fantasie di grandeur turistica sia proprio l’introiezione di quelle rappresentazioni grandiose del sé veicolate dalla stagione del petrolchimico che oggi si vorrebbe dimenticare.
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