La ristampa del ‘classico’ di Piero Fiorelli sulla tortura giudiziaria, a settant’anni dalla prima edizione, con il corredo d’una nuova introduzione e di due scritti dell’Autore di ardua reperibilità, offre al giurista e allo storico l’occasione per riflettere sul ruolo della dottrina giuridica nella complessa dialettica processuale tra autorità e potere. I due volumi del 1953-54 nascevano in un contesto di fiducia nella Costituzione quale momento di cesura nella storia poco gloriosa del trattamento degli imputati. Eppure Fiorelli, sulla scia di Calamandrei, non nascondeva il timore per la permanenza di ‘pratiche’ extra legem che, in nome della salus publica, continuavano a violare i diritti e la dignità degli individui sotto processo. Retrospettivamente, lo storico fiorentino rileggeva con estrema acribia la criminalistica tardo-medievale e moderna, traendone la complessiva sensazione che l’auctoritas e il realismo di quei giuristi riuscisse a ‘frenare’, nei limiti del possibile, gli arbítri del sovrano. La tortura giudiziaria rappresenta tuttora una magistrale prova di acribia filologica, di padronanza delle fonti e di impegno civile.
La criminalistica come katéchon. Rileggendo La tortura giudiziaria di Piero Fiorelli
MILETTI M. N.
2024-01-01
Abstract
La ristampa del ‘classico’ di Piero Fiorelli sulla tortura giudiziaria, a settant’anni dalla prima edizione, con il corredo d’una nuova introduzione e di due scritti dell’Autore di ardua reperibilità, offre al giurista e allo storico l’occasione per riflettere sul ruolo della dottrina giuridica nella complessa dialettica processuale tra autorità e potere. I due volumi del 1953-54 nascevano in un contesto di fiducia nella Costituzione quale momento di cesura nella storia poco gloriosa del trattamento degli imputati. Eppure Fiorelli, sulla scia di Calamandrei, non nascondeva il timore per la permanenza di ‘pratiche’ extra legem che, in nome della salus publica, continuavano a violare i diritti e la dignità degli individui sotto processo. Retrospettivamente, lo storico fiorentino rileggeva con estrema acribia la criminalistica tardo-medievale e moderna, traendone la complessiva sensazione che l’auctoritas e il realismo di quei giuristi riuscisse a ‘frenare’, nei limiti del possibile, gli arbítri del sovrano. La tortura giudiziaria rappresenta tuttora una magistrale prova di acribia filologica, di padronanza delle fonti e di impegno civile.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.