Nel numero di gennaio-febbraio 2019 del giornale Transplantation Proceedings è stato pubblicato un articolo in cui il nostro gruppo di ricerca ha valutato l’impatto di tre protocolli immunosoppressivi di mantenimento sulla sopravvivenza a lungo termine del graft e del paziente nefro-trapiantato. In particolare, in questo ampio studio di coorte italiano multicentrico, abbiamo analizzato retrospettivamente i dati di 5635 pazienti (arruolati dal 1983 al 2012) e valutato l’impatto di tre regimi immunosoppressivi [inibitori della calcineurina + antimetaboliti + corticosteroidi (CNI+ANT+ST) vs CNI + mammalian target-of-rapamycin (mTOR) inibitori + ST (CNI+mTOR-I+ST) vs CNI+ST] su outcome clinici a lungo termine, utilizzando diversi algoritmi statistici. L’impatto sull’outcome composito dei tre regimi immunosoppressivi non risultava statisticamente differente nei primi 5 anni di follow-up; il dato diventava significativo a 10 anni e 20 anni nel gruppo CNI+ST in cui era presente la più bassa incidenza cumulativa. In aggiunta, rispetto al gruppo CNI+ANT+ST, i pazienti del gruppo CNI+mTOR-I+ST presentavano un rischio più alto dell’outcome anche dopo aggiustamento per potenziali fattori confondenti. Allo stesso modo, anche i pazienti del gruppo CNI+ST mostravano un rischio significativamente più alto dell’outcome. Analogamente alla analisi principale, il rischio aggiustato di perdita dell’organo era più alto nel gruppo CNI+ST, mentre per il gruppo CNI+mTOR+ST, la differenza non era statisticamente significativa. I risultati di questo studio non solo confermano dati già presenti in letteratura che mostrano come l’associazione tra CNI+ANT+ST sia da considerarsi la terapia “gold standard” nel trapianto renale, ma sottolineano che l’introduzione degli mTOR-I, in sostituzione agli antimetaboliti, non impattando drasticamente sull’outcome (e soprattutto sulla perdita del graft a lungo termine), potrebbe rappresentare, in alcuni pazienti, un prezioso strumento farmacologico per minimizzare le complicanze CNI-correlate e assicurare un’adeguata immunosoppressione.

Mantenimento del trapianto renale: impatto clinico a lungo termine di tre diversi protocolli immunosoppressivi Risultati di un ampio studio multicentrico italiano

Zaza G.
2019-01-01

Abstract

Nel numero di gennaio-febbraio 2019 del giornale Transplantation Proceedings è stato pubblicato un articolo in cui il nostro gruppo di ricerca ha valutato l’impatto di tre protocolli immunosoppressivi di mantenimento sulla sopravvivenza a lungo termine del graft e del paziente nefro-trapiantato. In particolare, in questo ampio studio di coorte italiano multicentrico, abbiamo analizzato retrospettivamente i dati di 5635 pazienti (arruolati dal 1983 al 2012) e valutato l’impatto di tre regimi immunosoppressivi [inibitori della calcineurina + antimetaboliti + corticosteroidi (CNI+ANT+ST) vs CNI + mammalian target-of-rapamycin (mTOR) inibitori + ST (CNI+mTOR-I+ST) vs CNI+ST] su outcome clinici a lungo termine, utilizzando diversi algoritmi statistici. L’impatto sull’outcome composito dei tre regimi immunosoppressivi non risultava statisticamente differente nei primi 5 anni di follow-up; il dato diventava significativo a 10 anni e 20 anni nel gruppo CNI+ST in cui era presente la più bassa incidenza cumulativa. In aggiunta, rispetto al gruppo CNI+ANT+ST, i pazienti del gruppo CNI+mTOR-I+ST presentavano un rischio più alto dell’outcome anche dopo aggiustamento per potenziali fattori confondenti. Allo stesso modo, anche i pazienti del gruppo CNI+ST mostravano un rischio significativamente più alto dell’outcome. Analogamente alla analisi principale, il rischio aggiustato di perdita dell’organo era più alto nel gruppo CNI+ST, mentre per il gruppo CNI+mTOR+ST, la differenza non era statisticamente significativa. I risultati di questo studio non solo confermano dati già presenti in letteratura che mostrano come l’associazione tra CNI+ANT+ST sia da considerarsi la terapia “gold standard” nel trapianto renale, ma sottolineano che l’introduzione degli mTOR-I, in sostituzione agli antimetaboliti, non impattando drasticamente sull’outcome (e soprattutto sulla perdita del graft a lungo termine), potrebbe rappresentare, in alcuni pazienti, un prezioso strumento farmacologico per minimizzare le complicanze CNI-correlate e assicurare un’adeguata immunosoppressione.
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