Ordinarietà e straordinarietà si alternano sulla scena del processo penale, alimentando un rapporto biunivoco tra innovazioni (frutto dell’emergenza) e criticità. Stagioni eccezionali generano istituti disfunzionali rispetto all’assetto esistente per poi esserne gradualmente assorbiti. È accaduto anche a seguito della pandemia, ma con una differenza fondamentale rispetto al passato: il fattore scatenante non è costituito da tipologie di reato di particolare allarme sociale rispetto alle quali occorre elaborare nuove e più efficaci strategie di contrasto, ma da un’emergenza del tutto estranea al terreno della giustizia penale che di fatto rendeva pressoché impossibile lo svolgimento di attività e di udienze in presenza. La disciplina, insomma, nasce in territorio neutro. E per una serie di ragioni è destinata potenzialmente a radicarsi nel tessuto processuale, mutandolo sensibilmente. La parabola espansiva della giustizia digitale, difatti, è preesistente all’emergenza da Covid-19, è in grado di snellire le forme del processo accelerandone i tempi, non nasconde in questo caso retropensieri che possano suscitare diffidenza nei suoi confronti. Preannuncia, in qualche modo, una nuova realtà. Ritenere in questo contesto – com’è avvenuto da parte di una dottrina poco attenta o forse ingabbiata in schematismi e rigidità frutto di una visione d’antan del processo e delle sue categorie – che le modalità a distanza infrangano in maniera irreversibile i principi e le garanzie fondamentali si traduce in una petizione di principio, che trascura lo iato esistente in concreto tra garanzie costituzionali reali e apparenti. Non è solo l’area del processo a distanza ad essere interessata, ma anche quella degli strumenti cognitivi ad alto coefficiente tecnologico, dalle indagini alla prova digitale. Terreno scalfito da sempre dalla miopia e dall’inerzia legislative, a tutto vantaggio di prassi investigative ardite, interventi reiterati di supplenza della magistratura, confusioni interpretative e soluzioni diversificate che entrano in rotta di collisione con la certezza del diritto insidiando pericolosamente le garanzie difensive. Non meno importante è l’ambito della trasmissione e della circolazione degli atti in forma digitale. L’unico nel quale si registra una sostanziale uniformità di vedute, dietro la quale però – talvolta – si nasconde un riduzionismo giuridico- concettuale che nega l’unitarietà e la complessità del fenomeno, definibile come Giustizia 2.0, cavalcando una parcellizzazione che si frappone (mettendola nell’angolo) ad una visione d’insieme ostracizzando e penalizzando i profili più radicali della rivoluzione dei bit applicata al processo. La giustizia digitale, ormai, opera a trecentosessanta gradi. Non siamo di fronte ad una resa della giustizia penale ma, piuttosto, ad una giustizia penale (potenzialmente) alla riscossa, ad una possibile rifondazione del sistema sulla base di strumenti in grado di costituire un laboratorio per risolvere disfunzioni processuali ormai croniche. Non vi sono scenari integralisti sullo sfondo. Occorre un approccio open mind. Occorre abbandonare il conformismo giuridico. Occorre relazionarsi in maniera costruttiva con una realtà che pervade ormai ogni settore della vita quotidiana. Occorre osare, misurandosi con mutamenti che non possono essere ignorati.

Processo penale e bit oltre l'emergenza

sergio lorusso
2020-01-01

Abstract

Ordinarietà e straordinarietà si alternano sulla scena del processo penale, alimentando un rapporto biunivoco tra innovazioni (frutto dell’emergenza) e criticità. Stagioni eccezionali generano istituti disfunzionali rispetto all’assetto esistente per poi esserne gradualmente assorbiti. È accaduto anche a seguito della pandemia, ma con una differenza fondamentale rispetto al passato: il fattore scatenante non è costituito da tipologie di reato di particolare allarme sociale rispetto alle quali occorre elaborare nuove e più efficaci strategie di contrasto, ma da un’emergenza del tutto estranea al terreno della giustizia penale che di fatto rendeva pressoché impossibile lo svolgimento di attività e di udienze in presenza. La disciplina, insomma, nasce in territorio neutro. E per una serie di ragioni è destinata potenzialmente a radicarsi nel tessuto processuale, mutandolo sensibilmente. La parabola espansiva della giustizia digitale, difatti, è preesistente all’emergenza da Covid-19, è in grado di snellire le forme del processo accelerandone i tempi, non nasconde in questo caso retropensieri che possano suscitare diffidenza nei suoi confronti. Preannuncia, in qualche modo, una nuova realtà. Ritenere in questo contesto – com’è avvenuto da parte di una dottrina poco attenta o forse ingabbiata in schematismi e rigidità frutto di una visione d’antan del processo e delle sue categorie – che le modalità a distanza infrangano in maniera irreversibile i principi e le garanzie fondamentali si traduce in una petizione di principio, che trascura lo iato esistente in concreto tra garanzie costituzionali reali e apparenti. Non è solo l’area del processo a distanza ad essere interessata, ma anche quella degli strumenti cognitivi ad alto coefficiente tecnologico, dalle indagini alla prova digitale. Terreno scalfito da sempre dalla miopia e dall’inerzia legislative, a tutto vantaggio di prassi investigative ardite, interventi reiterati di supplenza della magistratura, confusioni interpretative e soluzioni diversificate che entrano in rotta di collisione con la certezza del diritto insidiando pericolosamente le garanzie difensive. Non meno importante è l’ambito della trasmissione e della circolazione degli atti in forma digitale. L’unico nel quale si registra una sostanziale uniformità di vedute, dietro la quale però – talvolta – si nasconde un riduzionismo giuridico- concettuale che nega l’unitarietà e la complessità del fenomeno, definibile come Giustizia 2.0, cavalcando una parcellizzazione che si frappone (mettendola nell’angolo) ad una visione d’insieme ostracizzando e penalizzando i profili più radicali della rivoluzione dei bit applicata al processo. La giustizia digitale, ormai, opera a trecentosessanta gradi. Non siamo di fronte ad una resa della giustizia penale ma, piuttosto, ad una giustizia penale (potenzialmente) alla riscossa, ad una possibile rifondazione del sistema sulla base di strumenti in grado di costituire un laboratorio per risolvere disfunzioni processuali ormai croniche. Non vi sono scenari integralisti sullo sfondo. Occorre un approccio open mind. Occorre abbandonare il conformismo giuridico. Occorre relazionarsi in maniera costruttiva con una realtà che pervade ormai ogni settore della vita quotidiana. Occorre osare, misurandosi con mutamenti che non possono essere ignorati.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11369/393275
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