L'intento di questo articolo è argomentare sull'opportunità di un passaggio dalla società del rischio alla società dell'incertezza. In considerazione di come gli effetti del Covid 19 contribuiscono a rendere la vulnerabilità una condizione potenzialmente permanente, l'obiettivo è duplice: porre in discussione alcuni dei paradigmi sui quali insiste l'organizzazione degli attuali sistemi economici e sociali nei paesi industrializzati; individuare i significati chiave intorno ai quali costruire nuovi modelli di comportamento globale. Per entrare nel merito della proposta, e senza necessariamente approfondire l'analisi degli attuali stili di vita o delle routines quotidiane, l'incipit è il confronto tra vulnerabilità e "cultura della certezza". Quale esito macro di una logica di matrice funzionalista, quest'ultima necessita di una "operativizzazione" alternativa, in risposta alle tante e nuove questioni sociali. A tal fine, gli argomenti della riflessione che si intende condurre rientreranno all'interno di una cornice teorica che, innanzitutto, affronta la questione degli approcci metodologici - ovvero anche della loro combinazione - per le scienze sociali. Nel merito, rispetto all'esigenza di un discorso scientifico che metta a nudo la insensatezza di ciò che dopo la fine della pandemia potrebbe tornare ad essere deduttivamente imposto quale criterio ordinatore, e naturalmente senza fare processi alla presunta infallibilità degli algoritmi e tanto meno muovere inutili accuse agli economisti che non sanno trovare ricette anticrisi o ai virologi che avrebbero dovuto prevenire questa pandemia, la riflessione centrale di quest'articolo investe la necessità di configurare una società dell'incertezza come sfida tanto ad un pensiero raziocinante quanto come reazione rispetto a forme di razionalità cognitiva incentrate sull'automatico assolutismo dei numeri. Senza in alcun modo associare incertezza e indeterminatezza, e meno che mai elogiare la precarietà tentando forzature o improbabili speculazioni meta filosofiche, il tema consiste nell'ipotesi di lavoro interdisciplinare tra sociologia ed economia per suggerire nuovi approcci e campi di ricerca. Anche soprattutto grazie ad una revisione dei concetti che la sociologia del rischio ha elaborato e suggerito ad altre discipline, l'intento critico - dialettico è allargare i confini epistemologici della sociologia (e realisticamente soprattutto di quella dell'ambiente e del territorio) ed assegnare alla ricerca sociale un ruolo specialistico per fornire una interpretazione significativa e dinamica della realtà. Un dinamismo che deve assumere la vulnerabilità come principio e non come rassegnazione deterministica, nonostante tutto abile nel piegare le leggi dell'umano alle necessità del mercato e del capitale economico. Al contrario, si tratta di una visione per studiare e considerare la vulnerabilità all'interno di una metodo finalizzato a concepire la consapevolezza sia come un traguardo (individuale e collettivo) e sia che un indirizzo per attivare forme di socializzazione e di riduzione delle disuguaglianze. Nell'auspicio che la consapevolezza possa permettere l'adozione di strumenti utili a mettere su un piano di verità i fatti così come sono e non come ci piacerebbe che fossero, la vulnerabilità è la chiave per consentire ad una sociologia dell'incertezza di affrontare con maggiore solidità epistemologica, determinazione empirica e concretezza metodologica la spiegazione e interpretazione dei fenomeni sociali, nonché dei processi che si manifestano in forma di policies economiche e politiche.

Vulnerabilità e sociologia dell'incertezza

Fiammetta fanizza
2020-01-01

Abstract

L'intento di questo articolo è argomentare sull'opportunità di un passaggio dalla società del rischio alla società dell'incertezza. In considerazione di come gli effetti del Covid 19 contribuiscono a rendere la vulnerabilità una condizione potenzialmente permanente, l'obiettivo è duplice: porre in discussione alcuni dei paradigmi sui quali insiste l'organizzazione degli attuali sistemi economici e sociali nei paesi industrializzati; individuare i significati chiave intorno ai quali costruire nuovi modelli di comportamento globale. Per entrare nel merito della proposta, e senza necessariamente approfondire l'analisi degli attuali stili di vita o delle routines quotidiane, l'incipit è il confronto tra vulnerabilità e "cultura della certezza". Quale esito macro di una logica di matrice funzionalista, quest'ultima necessita di una "operativizzazione" alternativa, in risposta alle tante e nuove questioni sociali. A tal fine, gli argomenti della riflessione che si intende condurre rientreranno all'interno di una cornice teorica che, innanzitutto, affronta la questione degli approcci metodologici - ovvero anche della loro combinazione - per le scienze sociali. Nel merito, rispetto all'esigenza di un discorso scientifico che metta a nudo la insensatezza di ciò che dopo la fine della pandemia potrebbe tornare ad essere deduttivamente imposto quale criterio ordinatore, e naturalmente senza fare processi alla presunta infallibilità degli algoritmi e tanto meno muovere inutili accuse agli economisti che non sanno trovare ricette anticrisi o ai virologi che avrebbero dovuto prevenire questa pandemia, la riflessione centrale di quest'articolo investe la necessità di configurare una società dell'incertezza come sfida tanto ad un pensiero raziocinante quanto come reazione rispetto a forme di razionalità cognitiva incentrate sull'automatico assolutismo dei numeri. Senza in alcun modo associare incertezza e indeterminatezza, e meno che mai elogiare la precarietà tentando forzature o improbabili speculazioni meta filosofiche, il tema consiste nell'ipotesi di lavoro interdisciplinare tra sociologia ed economia per suggerire nuovi approcci e campi di ricerca. Anche soprattutto grazie ad una revisione dei concetti che la sociologia del rischio ha elaborato e suggerito ad altre discipline, l'intento critico - dialettico è allargare i confini epistemologici della sociologia (e realisticamente soprattutto di quella dell'ambiente e del territorio) ed assegnare alla ricerca sociale un ruolo specialistico per fornire una interpretazione significativa e dinamica della realtà. Un dinamismo che deve assumere la vulnerabilità come principio e non come rassegnazione deterministica, nonostante tutto abile nel piegare le leggi dell'umano alle necessità del mercato e del capitale economico. Al contrario, si tratta di una visione per studiare e considerare la vulnerabilità all'interno di una metodo finalizzato a concepire la consapevolezza sia come un traguardo (individuale e collettivo) e sia che un indirizzo per attivare forme di socializzazione e di riduzione delle disuguaglianze. Nell'auspicio che la consapevolezza possa permettere l'adozione di strumenti utili a mettere su un piano di verità i fatti così come sono e non come ci piacerebbe che fossero, la vulnerabilità è la chiave per consentire ad una sociologia dell'incertezza di affrontare con maggiore solidità epistemologica, determinazione empirica e concretezza metodologica la spiegazione e interpretazione dei fenomeni sociali, nonché dei processi che si manifestano in forma di policies economiche e politiche.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11369/389562
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