La tesi ha ad oggetto il fenomeno dell’odierno sfruttamento del lavoro che colpisce i migranti e che ciclicamente le cronache quotidiane portano alla ribalta solo quando si verificano eventi tragici. Uno sfruttamento che assume densità differenti, a volte con caratteristiche simili a quelle di migliaia di lavoratori italiani, altre volte con condizioni ed elementi specifici, in alcuni casi così aspri e duri da rendere possibile l’utilizzo sempre più frequente dell’espressione “nuove schiavitù”. Nei casi più estremi, infatti, lo sfruttamento del lavoro si annida nell’ambito del lavoro nero e del caporalato ed è caratterizzato non solo da estreme condizioni occupazionali (orari eccessivi di lavoro, retribuzioni nettamente al di sotto dei minimi tabellari, gravi irregolarità contributive e così via) ma anche da condizioni di vita disumane in cui si riscontrano inadeguate situazioni abitative ed igienico-sanitarie, nonché gravi difficoltà nell’accesso alle cure. La rilevanza della tematica è indubbia in un contesto come quello della Capitanata, distretto storico-culturale a prevalente vocazione agricola, in cui di recente, due tragici incidenti stradali che si sono susseguiti nelle giornate del 4 e del 6 agosto 2018, causando la morte di ben sedici braccianti agricoli, tutti stranieri, testimoniano come tali episodi costituiscano nel territorio molto più di una drammatica fatalità, evidenziando piuttosto la sistematicità del fenomeno dello sfruttamento lavorativo. È chiaro, infatti, che il territorio della provincia di Foggia, proprio perché teatro dello sfruttamento della manodopera migrante da parte delle aziende agricole, si configura come utile campo di indagine per una verifica empirica del grado di efficacia del dato normativo. Il lavoro si articola in tre capitoli. Nel primo capitolo si affronta principalmente il problema definitorio in quanto l’individuazione di una linea di confine fra le molteplici figure che entrano in gioco quando si parla di “nuove schiavitù” (schiavitù vera e propria, lavoro servile e sfruttamento) si pone senz’altro come un passaggio preliminare e strumentale ad una successiva riflessione giuridica sul tema. Si segnala, peraltro, che nella consapevolezza che la virtù della critica possa ben essere esercitata solo sulla base di una comprensione approfondita dell’oggetto di studio, si è ritenuto necessario disegnare un breve excursus storico del concetto di schiavitù, per poi attualizzarlo in quelle 2 situazioni odierne in cui i rapporti che intercorrono tra gli attori coinvolti sono caratterizzati da un assoggettamento, più o meno intenso, del subordinato verso il sovraordinato. Successivamente, ci si è soffermati sull’analisi del fenomeno dello sfruttamento del lavoro in generale, facendo ricorso all’immagine di una ipotetica piramide che misura i diversi livelli di gravità dello sfruttamento lavorativo dei nostri giorni: partendo dall’apice rappresentato dalla riduzione in schiavitù e servitù, passando per le situazioni di grave sfruttamento lavorativo che caratterizzano il lavoro irregolare, fino ad arrivare allo sfruttamento insito nell’attuale lavoro sempre più flessibile e precario. Nel secondo capitolo l’attenzione si è concentrata sul rapporto tra lavoro e immigrazione in quanto lo sfruttamento dei lavoratori migranti costituisce una delle forme più gravi dell’attuale sfruttamento lavorativo. In particolare, dato il carattere marcatamente giuslavoristico dell’indagine condotta, ci si è soffermati sulle c.d. migrazioni economiche, intendendo, con questa espressione, quegli spostamenti dettati dalla volontà di cercare migliori opportunità di vita e di lavoro in un Paese diverso da quello di appartenenza. Pur senza trascurare il contesto storico e socio-economico, la ricerca ha avuto ad oggetto prevalentemente l’analisi della disciplina giuridica del fenomeno migratorio per ragioni economiche, prima sovranazionale, ossia internazionale e comunitaria, poi nazionale con riferimento sia alla Costituzione che alla legislazione ordinaria (soprattutto al d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286, c.d. Testo Unico sull’immigrazione). Data la complessa procedura di ingresso nel territorio italiano e la stretta interdipendenza che nell’ordinamento italiano sussiste tra la permanenza sul territorio e l’effettivo svolgimento di un’attività lavorativa è certamente emersa la forte miopia del legislatore italiano rispetto alle caratteristiche concrete del fenomeno migratorio. Non stupisce, pertanto, che sia proprio l’inadeguatezza e l’ineffettività della normativa in tema di immigrazione a contribuire, in concreto, a procrastinare la condizione di precarietà esistenziale dei migranti e ad incentivare il loro sfruttamento economico. Il terzo capitolo, partendo da una sintetica analisi delle cause dello sfruttamento lavorativo dei migranti e del fenomeno del c.d. caporalato nonché dei settori maggiormente coinvolti, analizza le misure di contrasto introdotte dal legislatore, soffermandosi tanto sulle sanzioni di natura repressiva che su quelle c.d. positive. Il riferimento è, dunque, da un lato, all’art. 603bis c.p. che, per la prima volta, ha inserito in modo chiaro nel nostro ordinamento una specifica fattispecie per contrastare penalmente lo sfruttamento del lavoro (reato di «intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro») e che è stato modificato in maniera significativa dalla legge 29 ottobre 2016, n. 199, nonché, dall’altro, agli strumenti giuslavoristici di contrasto allo sfruttamento, sperimentati soprattutto nel settore agricolo1, i quali, pur presentando diversi limiti, possiedono certamente importanti 1 Il settore agricolo, per le sue peculiarità, è certamente quello in cui maggiormente si registra lavoro irregolare con ricorso a manodopera sottopagata, priva di condizioni di lavoro dignitose, spesso di provenienza extracomunitaria. 3 potenzialità nel contrasto al fenomeno dello sfruttamento della manodopera. Questi ultimi, infatti, possono di fatto rivelarsi molto più efficaci della repressione penale, poiché in grado di intervenire sulle filiere agroalimentari per premiare gli imprenditori virtuosi e così incidere sulle convenienze e sulla necessità di abbattimento dei costi di lavoro. Di fronte alla crisi del nesso costituzionale tra lavoro e dignità provocata dal fenomeno dello sfruttamento della manodopera straniera, in conclusione, si è posto l’accento sulla importanza di un ritorno ai diritti fondamentali della persona, unico strumento in grado di porre un freno alla tendenza, oggi sempre più diffusa nel mercato del lavoro, a concepire le persone come mere merci, dimenticando il loro essere prima di tutto persone.

Dalle vecchie alle nuove schiavitù. Lo sfruttamento del lavoro dei migranti / Spinelli, Carmen. - (2019 Jun 17). [10.14274/spinelli-carmen_phd2019-06-17]

Dalle vecchie alle nuove schiavitù. Lo sfruttamento del lavoro dei migranti

SPINELLI, CARMEN
2019-06-17

Abstract

La tesi ha ad oggetto il fenomeno dell’odierno sfruttamento del lavoro che colpisce i migranti e che ciclicamente le cronache quotidiane portano alla ribalta solo quando si verificano eventi tragici. Uno sfruttamento che assume densità differenti, a volte con caratteristiche simili a quelle di migliaia di lavoratori italiani, altre volte con condizioni ed elementi specifici, in alcuni casi così aspri e duri da rendere possibile l’utilizzo sempre più frequente dell’espressione “nuove schiavitù”. Nei casi più estremi, infatti, lo sfruttamento del lavoro si annida nell’ambito del lavoro nero e del caporalato ed è caratterizzato non solo da estreme condizioni occupazionali (orari eccessivi di lavoro, retribuzioni nettamente al di sotto dei minimi tabellari, gravi irregolarità contributive e così via) ma anche da condizioni di vita disumane in cui si riscontrano inadeguate situazioni abitative ed igienico-sanitarie, nonché gravi difficoltà nell’accesso alle cure. La rilevanza della tematica è indubbia in un contesto come quello della Capitanata, distretto storico-culturale a prevalente vocazione agricola, in cui di recente, due tragici incidenti stradali che si sono susseguiti nelle giornate del 4 e del 6 agosto 2018, causando la morte di ben sedici braccianti agricoli, tutti stranieri, testimoniano come tali episodi costituiscano nel territorio molto più di una drammatica fatalità, evidenziando piuttosto la sistematicità del fenomeno dello sfruttamento lavorativo. È chiaro, infatti, che il territorio della provincia di Foggia, proprio perché teatro dello sfruttamento della manodopera migrante da parte delle aziende agricole, si configura come utile campo di indagine per una verifica empirica del grado di efficacia del dato normativo. Il lavoro si articola in tre capitoli. Nel primo capitolo si affronta principalmente il problema definitorio in quanto l’individuazione di una linea di confine fra le molteplici figure che entrano in gioco quando si parla di “nuove schiavitù” (schiavitù vera e propria, lavoro servile e sfruttamento) si pone senz’altro come un passaggio preliminare e strumentale ad una successiva riflessione giuridica sul tema. Si segnala, peraltro, che nella consapevolezza che la virtù della critica possa ben essere esercitata solo sulla base di una comprensione approfondita dell’oggetto di studio, si è ritenuto necessario disegnare un breve excursus storico del concetto di schiavitù, per poi attualizzarlo in quelle 2 situazioni odierne in cui i rapporti che intercorrono tra gli attori coinvolti sono caratterizzati da un assoggettamento, più o meno intenso, del subordinato verso il sovraordinato. Successivamente, ci si è soffermati sull’analisi del fenomeno dello sfruttamento del lavoro in generale, facendo ricorso all’immagine di una ipotetica piramide che misura i diversi livelli di gravità dello sfruttamento lavorativo dei nostri giorni: partendo dall’apice rappresentato dalla riduzione in schiavitù e servitù, passando per le situazioni di grave sfruttamento lavorativo che caratterizzano il lavoro irregolare, fino ad arrivare allo sfruttamento insito nell’attuale lavoro sempre più flessibile e precario. Nel secondo capitolo l’attenzione si è concentrata sul rapporto tra lavoro e immigrazione in quanto lo sfruttamento dei lavoratori migranti costituisce una delle forme più gravi dell’attuale sfruttamento lavorativo. In particolare, dato il carattere marcatamente giuslavoristico dell’indagine condotta, ci si è soffermati sulle c.d. migrazioni economiche, intendendo, con questa espressione, quegli spostamenti dettati dalla volontà di cercare migliori opportunità di vita e di lavoro in un Paese diverso da quello di appartenenza. Pur senza trascurare il contesto storico e socio-economico, la ricerca ha avuto ad oggetto prevalentemente l’analisi della disciplina giuridica del fenomeno migratorio per ragioni economiche, prima sovranazionale, ossia internazionale e comunitaria, poi nazionale con riferimento sia alla Costituzione che alla legislazione ordinaria (soprattutto al d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286, c.d. Testo Unico sull’immigrazione). Data la complessa procedura di ingresso nel territorio italiano e la stretta interdipendenza che nell’ordinamento italiano sussiste tra la permanenza sul territorio e l’effettivo svolgimento di un’attività lavorativa è certamente emersa la forte miopia del legislatore italiano rispetto alle caratteristiche concrete del fenomeno migratorio. Non stupisce, pertanto, che sia proprio l’inadeguatezza e l’ineffettività della normativa in tema di immigrazione a contribuire, in concreto, a procrastinare la condizione di precarietà esistenziale dei migranti e ad incentivare il loro sfruttamento economico. Il terzo capitolo, partendo da una sintetica analisi delle cause dello sfruttamento lavorativo dei migranti e del fenomeno del c.d. caporalato nonché dei settori maggiormente coinvolti, analizza le misure di contrasto introdotte dal legislatore, soffermandosi tanto sulle sanzioni di natura repressiva che su quelle c.d. positive. Il riferimento è, dunque, da un lato, all’art. 603bis c.p. che, per la prima volta, ha inserito in modo chiaro nel nostro ordinamento una specifica fattispecie per contrastare penalmente lo sfruttamento del lavoro (reato di «intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro») e che è stato modificato in maniera significativa dalla legge 29 ottobre 2016, n. 199, nonché, dall’altro, agli strumenti giuslavoristici di contrasto allo sfruttamento, sperimentati soprattutto nel settore agricolo1, i quali, pur presentando diversi limiti, possiedono certamente importanti 1 Il settore agricolo, per le sue peculiarità, è certamente quello in cui maggiormente si registra lavoro irregolare con ricorso a manodopera sottopagata, priva di condizioni di lavoro dignitose, spesso di provenienza extracomunitaria. 3 potenzialità nel contrasto al fenomeno dello sfruttamento della manodopera. Questi ultimi, infatti, possono di fatto rivelarsi molto più efficaci della repressione penale, poiché in grado di intervenire sulle filiere agroalimentari per premiare gli imprenditori virtuosi e così incidere sulle convenienze e sulla necessità di abbattimento dei costi di lavoro. Di fronte alla crisi del nesso costituzionale tra lavoro e dignità provocata dal fenomeno dello sfruttamento della manodopera straniera, in conclusione, si è posto l’accento sulla importanza di un ritorno ai diritti fondamentali della persona, unico strumento in grado di porre un freno alla tendenza, oggi sempre più diffusa nel mercato del lavoro, a concepire le persone come mere merci, dimenticando il loro essere prima di tutto persone.
17-giu-2019
Sfruttamento del lavoro - migranti - schiavitù
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