Il lavoro di tesi ha ad oggetto l’analisi della disciplina del rito speciale in materia di appalti pubblici e si pone lo scopo di individuare il modello processuale in cui inquadrare il rito de quo, oggi disciplinato agli artt. 120 e ss. c.p.a. La rilevanza degli interessi pubblici e privati tutelati, la stretta correlazione tra la tutela giurisdizionale e le dinamiche di mercato, nonché la funzione di “laboratorio processuale”, ove vengono sperimentate importanti innovazioni successivamente estese agli altri rami del processo amministrativo, sono indici dell’influenza esercitata dal rito appalti sull’evoluzione della nostra giustizia amministrativa. Se a ciò si aggiunge che la trasposizione della vecchia disciplina del processo appalti dal Codice dei contratti pubblici al C.p.a. è stata dettata dallo scopo di ridurre i tratti di “eccentricità” che caratterizzavano la normativa ex d.lgs. n. 53 del 2010 per creare un unico modello di tutela dinanzi al giudice amministrativo emerge il pregio dell’obiettivo che la presente ricerca si propone di perseguire, vale a dire saggiare la compatibilità del rito appalti con il modello di processo amministrativo di natura soggettiva accolto dal C.p.a. La metodologia d’indagine prescelta, ossia la lettura in chiave critico-evolutiva non solo del dato normativo, ma anche degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, con particolare riferimento alla giurisprudenza amministrativa, costituzionale e della Corte di Giustizia, unitamente alla ricerca, per ogni disposizione esaminata, delle ragioni che ne hanno determinato l’adozione, consente di ricondurre a sistema i numerosi interventi legislativi che si sono avvicendati nel corso degli anni, rendendo maggiormente intellegibile la ratio delle modifiche legislative del 2016, riscoprendo la primazia di interessi e la riemersione di problematiche che sembravano essere state consegnate al passato. Ebbene, per indagare sulle ragioni della “specialità” e carpire le caratteristiche peculiari del modello processuale in cui inquadrare il rito appalti, l’analisi prende le mosse dalle origini del contezioso de quo, interrogandosi sulle ragioni che hanno determinato l’adozione delle direttive ricorsi di prima e seconda generazione, che fungono da paradigma in ordine al livello minimo di tutela da garantire agli operatori economici dei vari Stati membri dell’UE. L’ampliamento dell’angolo visuale alle origini del contenzioso è essenziale, in quanto consente di comprendere la ratio delle “contaminazioni” di natura oggettiva imposte dal diritto comunitario attraverso l’ingresso negli ordinamenti nazionali di nuovi valori destinati alla realizzazione dei principi del mercato comune europeo. Tali valori incidono inevitabilmente sugli istituti classici della giustizia amministrativa influenzando, in primo luogo, il tipo di sindacato condotto dal g.a., chiamato ad operare un difficile bilanciamento tra gli eterogenei interessi che si agitano nel concreto della fattispecie. Ebbene, la ricerca parte dall’analisi delle direttive ricorsi e prosegue lungo un ipotetico tragitto che conduce sino ai giorni nostri. Attraverso l’esame delle prime disposizioni acceleratorie si individuano le principali peculiarità su cui si basa il rito appalti e si comprende il percorso evolutivo che ha interessato il processo de quo, che, partendo da interventi legislativi sporadici volti a favorire lo “sblocco” delle attività economiche si è, nel corso degli anni, trasformato in un rito abbreviato con regole autonome rispetto al rito ordinario. Successivamente si analizza il d.lgs. n. 53 del 2010 (con cui è stata recepita in Italia la direttiva 2007/66/CE) che decreta la nascita di un “microsistema processuale accelerato con regole autonome” e il definitivo allontanamento del rito appalti dal modello processuale previsto all’art. 23-bis della L. Tar. Nella terza parte della ricerca si esaminano gli artt. 120 e ss. c.p.a. e si cerca di verificare la compatibilità del rito appalti con l’effetto utile delle direttive ricorsi, vale a dire la garanzia dell’effettività della tutela giurisdizionale e dell’effettività della normativa comunitaria, concentrandosi sui punti su cui si è maggiormente incentrato il dibattito dottrinale e giurisprudenziale riguardo alla riconducibilità del processo appalti ai canoni del modello processuale di natura soggettiva: la latitudine dei poteri esercitabili dal g.a. ex art. 121 e 122 c.p.a. e la natura della giurisdizione. Per verificare la compatibilità del rito appalti con il modello processuale di natura soggettiva, ovvero se esso sia ascrivibile alla nuova categoria dei modelli processuali differenziati di matrice oggettiva, l’indagine è condotta mediante uno studio “multilivello”, ossia non solo si compie una comparazione tra rito appalti e modello processuale ordinario, ma si vaglia la compatibilità di ogni disposizione legislativa esaminata con i canoni del giusto processo amministrativo, sulla base di almeno altri tre livelli: costituzionale, comunitario (le direttive ricorsi) ed internazionale (CEDU). Tale metodologia d’indagine, arricchita dall’analisi degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali in materia, consente di giungere alla conclusione che il processo de quo corrisponde ad un modello processuale ibrido, prevalentemente di natura soggettiva, ma con “aperture parziali” di diritto oggettivo, compatibile sia con il dettato costituzionale, che con la ratio delle direttive ricorsi, dal momento che sembra essere raggiunto un giusto punto di equilibrio tra la tutela oggettiva della concorrenza e l’effettività della tutela giurisdizionale. Diversamente, il rito “super-speciale” e le modifiche apportate al processo appalti ex d.lgs. n. 50 del 2016, si pensi soprattutto alla tutela cautelare, oggetto di approfondita analisi nella quarta parte della ricerca, estremizzano le aperture oggettivistiche già presenti nella disciplina del rito appalti e decretano la sua riconducibilità nell’alveo dei “modelli processuali differenziati” di matrice oggettiva. Lo studio offre l’occasione per riflettere sulla compatibilità delle innovazioni esaminate con le tradizionali categorie giuridiche (legittimazione ad agire, interesse a ricorrere) e sui pericolosi effetti sulla dogmatica generale delle situazioni giuridiche soggettive. Coloro che ritengono che le innovazioni apportate comportino una trasfigurazione delle tradizionali categorie giuridiche, con conseguente sconfinamento in una giurisdizione di tipo oggettivo che limita fortemente la tutela giurisdizionale, pongono dubbi di legittimità costituzionale e compatibilità comunitaria dell’art. 120, co. 2-bis, 6-bis, c.p.a. Al termine della ricerca si giunge alla conclusione che i suddetti dubbi non derivano tanto dal catalogare le innovazioni legislative del 2016 e il rito super-speciale in un modello processuale di matrice oggettiva (non vietato totalmente dalla Costituzione), quanto dall’eccessiva limitazione della tutela giurisdizionale, che avviene a prescindere dall’indirizzo ermeneutico a cui si ritiene di aderire (che, a seconda dei casi, inscrive il rito de quo nel modello processuale di natura soggettiva od oggettiva). Pertanto, si individua la vera responsabile della limitazione della tutela giurisdizionale nella celere prosecuzione dell’azione amministrativa senza “turbamenti giurisdizionali”. La limitazione avviene deflazionando il contenzioso attraverso la riduzione dei ricorsi giurisdizionali, in contrasto con l’esercizio del diritto di azione e di difesa. Travisando e strumentalizzando il considerando 122 della direttiva 2014/24/UE torna prevalente l’interesse di natura patrimoniale della stazione appaltante “alla sollecita esecuzione dell’opera” nel suo solo ed esclusivo interesse e non nell’interesse dei partecipanti alla gara, in aperta antitesi con la ratio delle direttive ricorsi. Difatti, nel bilanciamento degli interessi operato dal legislatore italiano sembra che l’interesse pubblico al rilancio dell’economia e il principio di ragionevole durata del processo, quale proiezione dell’esigenza di celerità, siano irragionevolmente prevalsi sulla garanzia di accesso alla giustizia e sul principio di effettività della tutela giurisdizionale.

Tutela giurisdizionale delle imprese nel mercato degli appalti pubblici tra giurisdizione soggettiva ed oggettiva. Il modello processuale ed i profili critici / Forte, Federica. - (2019 Jun 17). [10.14274/forte-federica_phd2019-06-17]

Tutela giurisdizionale delle imprese nel mercato degli appalti pubblici tra giurisdizione soggettiva ed oggettiva. Il modello processuale ed i profili critici

FORTE, FEDERICA
2019-06-17

Abstract

Il lavoro di tesi ha ad oggetto l’analisi della disciplina del rito speciale in materia di appalti pubblici e si pone lo scopo di individuare il modello processuale in cui inquadrare il rito de quo, oggi disciplinato agli artt. 120 e ss. c.p.a. La rilevanza degli interessi pubblici e privati tutelati, la stretta correlazione tra la tutela giurisdizionale e le dinamiche di mercato, nonché la funzione di “laboratorio processuale”, ove vengono sperimentate importanti innovazioni successivamente estese agli altri rami del processo amministrativo, sono indici dell’influenza esercitata dal rito appalti sull’evoluzione della nostra giustizia amministrativa. Se a ciò si aggiunge che la trasposizione della vecchia disciplina del processo appalti dal Codice dei contratti pubblici al C.p.a. è stata dettata dallo scopo di ridurre i tratti di “eccentricità” che caratterizzavano la normativa ex d.lgs. n. 53 del 2010 per creare un unico modello di tutela dinanzi al giudice amministrativo emerge il pregio dell’obiettivo che la presente ricerca si propone di perseguire, vale a dire saggiare la compatibilità del rito appalti con il modello di processo amministrativo di natura soggettiva accolto dal C.p.a. La metodologia d’indagine prescelta, ossia la lettura in chiave critico-evolutiva non solo del dato normativo, ma anche degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, con particolare riferimento alla giurisprudenza amministrativa, costituzionale e della Corte di Giustizia, unitamente alla ricerca, per ogni disposizione esaminata, delle ragioni che ne hanno determinato l’adozione, consente di ricondurre a sistema i numerosi interventi legislativi che si sono avvicendati nel corso degli anni, rendendo maggiormente intellegibile la ratio delle modifiche legislative del 2016, riscoprendo la primazia di interessi e la riemersione di problematiche che sembravano essere state consegnate al passato. Ebbene, per indagare sulle ragioni della “specialità” e carpire le caratteristiche peculiari del modello processuale in cui inquadrare il rito appalti, l’analisi prende le mosse dalle origini del contezioso de quo, interrogandosi sulle ragioni che hanno determinato l’adozione delle direttive ricorsi di prima e seconda generazione, che fungono da paradigma in ordine al livello minimo di tutela da garantire agli operatori economici dei vari Stati membri dell’UE. L’ampliamento dell’angolo visuale alle origini del contenzioso è essenziale, in quanto consente di comprendere la ratio delle “contaminazioni” di natura oggettiva imposte dal diritto comunitario attraverso l’ingresso negli ordinamenti nazionali di nuovi valori destinati alla realizzazione dei principi del mercato comune europeo. Tali valori incidono inevitabilmente sugli istituti classici della giustizia amministrativa influenzando, in primo luogo, il tipo di sindacato condotto dal g.a., chiamato ad operare un difficile bilanciamento tra gli eterogenei interessi che si agitano nel concreto della fattispecie. Ebbene, la ricerca parte dall’analisi delle direttive ricorsi e prosegue lungo un ipotetico tragitto che conduce sino ai giorni nostri. Attraverso l’esame delle prime disposizioni acceleratorie si individuano le principali peculiarità su cui si basa il rito appalti e si comprende il percorso evolutivo che ha interessato il processo de quo, che, partendo da interventi legislativi sporadici volti a favorire lo “sblocco” delle attività economiche si è, nel corso degli anni, trasformato in un rito abbreviato con regole autonome rispetto al rito ordinario. Successivamente si analizza il d.lgs. n. 53 del 2010 (con cui è stata recepita in Italia la direttiva 2007/66/CE) che decreta la nascita di un “microsistema processuale accelerato con regole autonome” e il definitivo allontanamento del rito appalti dal modello processuale previsto all’art. 23-bis della L. Tar. Nella terza parte della ricerca si esaminano gli artt. 120 e ss. c.p.a. e si cerca di verificare la compatibilità del rito appalti con l’effetto utile delle direttive ricorsi, vale a dire la garanzia dell’effettività della tutela giurisdizionale e dell’effettività della normativa comunitaria, concentrandosi sui punti su cui si è maggiormente incentrato il dibattito dottrinale e giurisprudenziale riguardo alla riconducibilità del processo appalti ai canoni del modello processuale di natura soggettiva: la latitudine dei poteri esercitabili dal g.a. ex art. 121 e 122 c.p.a. e la natura della giurisdizione. Per verificare la compatibilità del rito appalti con il modello processuale di natura soggettiva, ovvero se esso sia ascrivibile alla nuova categoria dei modelli processuali differenziati di matrice oggettiva, l’indagine è condotta mediante uno studio “multilivello”, ossia non solo si compie una comparazione tra rito appalti e modello processuale ordinario, ma si vaglia la compatibilità di ogni disposizione legislativa esaminata con i canoni del giusto processo amministrativo, sulla base di almeno altri tre livelli: costituzionale, comunitario (le direttive ricorsi) ed internazionale (CEDU). Tale metodologia d’indagine, arricchita dall’analisi degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali in materia, consente di giungere alla conclusione che il processo de quo corrisponde ad un modello processuale ibrido, prevalentemente di natura soggettiva, ma con “aperture parziali” di diritto oggettivo, compatibile sia con il dettato costituzionale, che con la ratio delle direttive ricorsi, dal momento che sembra essere raggiunto un giusto punto di equilibrio tra la tutela oggettiva della concorrenza e l’effettività della tutela giurisdizionale. Diversamente, il rito “super-speciale” e le modifiche apportate al processo appalti ex d.lgs. n. 50 del 2016, si pensi soprattutto alla tutela cautelare, oggetto di approfondita analisi nella quarta parte della ricerca, estremizzano le aperture oggettivistiche già presenti nella disciplina del rito appalti e decretano la sua riconducibilità nell’alveo dei “modelli processuali differenziati” di matrice oggettiva. Lo studio offre l’occasione per riflettere sulla compatibilità delle innovazioni esaminate con le tradizionali categorie giuridiche (legittimazione ad agire, interesse a ricorrere) e sui pericolosi effetti sulla dogmatica generale delle situazioni giuridiche soggettive. Coloro che ritengono che le innovazioni apportate comportino una trasfigurazione delle tradizionali categorie giuridiche, con conseguente sconfinamento in una giurisdizione di tipo oggettivo che limita fortemente la tutela giurisdizionale, pongono dubbi di legittimità costituzionale e compatibilità comunitaria dell’art. 120, co. 2-bis, 6-bis, c.p.a. Al termine della ricerca si giunge alla conclusione che i suddetti dubbi non derivano tanto dal catalogare le innovazioni legislative del 2016 e il rito super-speciale in un modello processuale di matrice oggettiva (non vietato totalmente dalla Costituzione), quanto dall’eccessiva limitazione della tutela giurisdizionale, che avviene a prescindere dall’indirizzo ermeneutico a cui si ritiene di aderire (che, a seconda dei casi, inscrive il rito de quo nel modello processuale di natura soggettiva od oggettiva). Pertanto, si individua la vera responsabile della limitazione della tutela giurisdizionale nella celere prosecuzione dell’azione amministrativa senza “turbamenti giurisdizionali”. La limitazione avviene deflazionando il contenzioso attraverso la riduzione dei ricorsi giurisdizionali, in contrasto con l’esercizio del diritto di azione e di difesa. Travisando e strumentalizzando il considerando 122 della direttiva 2014/24/UE torna prevalente l’interesse di natura patrimoniale della stazione appaltante “alla sollecita esecuzione dell’opera” nel suo solo ed esclusivo interesse e non nell’interesse dei partecipanti alla gara, in aperta antitesi con la ratio delle direttive ricorsi. Difatti, nel bilanciamento degli interessi operato dal legislatore italiano sembra che l’interesse pubblico al rilancio dell’economia e il principio di ragionevole durata del processo, quale proiezione dell’esigenza di celerità, siano irragionevolmente prevalsi sulla garanzia di accesso alla giustizia e sul principio di effettività della tutela giurisdizionale.
17-giu-2019
modello processuale di natura soggettiva ed oggettiva; effettività della tutela giurisdizionale; celerità; diritto di azione e di difesa.; tutela della concorrenza; deflazione del contenzioso
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