The contribution aims to analyze Cato’s fragment 191 Cugusi-Sblendorio: Sed nisi qui palam corpore pecuniam quaereret aut se lenoni locavisset, etsi famosus et suspiciosus fuisset, vim in corpus liberum non aecum censuere adferri. The fragment is apparently referred to censorship on sexual violence, from both an ethical and a legal point of view (as attested by the technical connection vim adferre), against men of free birth, as well as to the exemption granted in this respect to those who practiced prostitution. The fragment would constitute, therefore, an actually archaic witness on a matter destined to a widespread diffusion in Roman culture, as evidenced by the richness of anecdotal material documented both in Latin and in Greek literature. The most interesting feature of the fragment is the expression palam corpore pecuniam quaerere, which in a slightly different form (palam corpore quaestum facere) was going to become a legal definition meant to identify a category of persons excluded from certain sexual interdictions. So, it is possible to trace a continuity between early mos and later legal rules.

Il contributo intende analizzare il frammento oratorio di Catone 191 Cugusi-Sblendorio: Sed nisi qui palam corpore pecuniam quaereret aut se lenoni locavisset, etsi famosus et suspiciosus fuisset, vim in corpus liberum non aecum censuere adferri, che sembra fare riferimento alla censura sul piano sia etico che giuridico della violenza sessuale (attestata dal nesso tecnico vim adferre) ai danni di uomini di nascita libera nonché alla deroga concessa in tale ambito a quanti praticavano la prostituzione. Quella catoniana si configurerebbe, dunque, come una testimonianza arcaica di un motivo destinato a registrare ampia diffusione nella cultura romana, come dimostra la ricchezza di aneddotica in materia, documentata sia nella letteratura latina che in quella greca. In particolare, il frammento risulta interessante per l’attestazione, in riferimento allo stuprum cum puero, di una formula (palam corpore pecuniam quaereret) che in una iunctura analoga (palam corpore quaestum facere) acquisirà nella letteratura giuridica a partire dall’epoca augustea una valenza tecnica quale discrimen utile a delimitare una categoria esclusa da determinate interdizioni relative alla sfera sessuale. Viene, dunque, tracciata una linea di continuità tra le prescrizioni del mos e quanto emerge a distanza di secoli nei testi del diritto stricto sensu.

Catone, orat. fr. 191 Cugusi-Sblendorio. Regole e interdizioni nell’etica sessuale romana fra cultura arcaica e giurisprudenza classica

BRESCIA, GRAZIANA
2017-01-01

Abstract

The contribution aims to analyze Cato’s fragment 191 Cugusi-Sblendorio: Sed nisi qui palam corpore pecuniam quaereret aut se lenoni locavisset, etsi famosus et suspiciosus fuisset, vim in corpus liberum non aecum censuere adferri. The fragment is apparently referred to censorship on sexual violence, from both an ethical and a legal point of view (as attested by the technical connection vim adferre), against men of free birth, as well as to the exemption granted in this respect to those who practiced prostitution. The fragment would constitute, therefore, an actually archaic witness on a matter destined to a widespread diffusion in Roman culture, as evidenced by the richness of anecdotal material documented both in Latin and in Greek literature. The most interesting feature of the fragment is the expression palam corpore pecuniam quaerere, which in a slightly different form (palam corpore quaestum facere) was going to become a legal definition meant to identify a category of persons excluded from certain sexual interdictions. So, it is possible to trace a continuity between early mos and later legal rules.
2017
Il contributo intende analizzare il frammento oratorio di Catone 191 Cugusi-Sblendorio: Sed nisi qui palam corpore pecuniam quaereret aut se lenoni locavisset, etsi famosus et suspiciosus fuisset, vim in corpus liberum non aecum censuere adferri, che sembra fare riferimento alla censura sul piano sia etico che giuridico della violenza sessuale (attestata dal nesso tecnico vim adferre) ai danni di uomini di nascita libera nonché alla deroga concessa in tale ambito a quanti praticavano la prostituzione. Quella catoniana si configurerebbe, dunque, come una testimonianza arcaica di un motivo destinato a registrare ampia diffusione nella cultura romana, come dimostra la ricchezza di aneddotica in materia, documentata sia nella letteratura latina che in quella greca. In particolare, il frammento risulta interessante per l’attestazione, in riferimento allo stuprum cum puero, di una formula (palam corpore pecuniam quaereret) che in una iunctura analoga (palam corpore quaestum facere) acquisirà nella letteratura giuridica a partire dall’epoca augustea una valenza tecnica quale discrimen utile a delimitare una categoria esclusa da determinate interdizioni relative alla sfera sessuale. Viene, dunque, tracciata una linea di continuità tra le prescrizioni del mos e quanto emerge a distanza di secoli nei testi del diritto stricto sensu.
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