ABSTRACT L’originario sistema fallimentare italiano era caratterizzato da una matrice prevalentemente sanzionatoria e punitiva. Il fallimento era percepito come evento socialmente squalificante ed esecrabile, cui porre rimedio sia con l'eliminazione dell’impresa fallita dal mercato che con la restrizione di alcuni diritti personali dell'imprenditore fallito. Il legislatore è intervenuto più volte per superare dette criticità, da un lato innovando la disciplina fallimentare, dall’altro introducendo nuove figure giuridiche nel campo delle soluzioni negoziali della crisi di impresa. Il concordato preventivo, ad esempio, è stato radicalmente modificato. Non vi sono più i requisiti di meritevolezza per l’accesso alla procedura e non vi sono più percentuali minime di soddisfacimento dei creditori. Il presupposto soggettivo è rappresentato dallo stato di crisi (e non necessariamente di insolvenza) e la proposta di concordato è libera e può prevedere la suddivisione dei creditori in classi con trattamento differenziato, nonché il pagamento parziale dei creditori privilegiati. Costituiscono frutto della menzionata innovazione legislativa i piani di risanamento (art. 67, terzo comma, lett. d) l. fall.), caratterizzati da un'esenzione dall’azione revocatoria fallimentare per gli atti, i pagamenti, e le garanzie concesse su beni del debitore posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell'imprenditore in crisi. Ulteriore innovazione attiene all’introduzione della transazione fiscale (art. 182 ter l. fall.), una particolare procedura “transattiva” tra il Fisco ed il contribuente, esperibile in sede di concordato preventivo (art. 160 l. fall.) o di accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182 bis l. fall.). Essa costituisce una deroga al principio generale di indisponibilità e irrinunciabilità del credito tributario da parte dell’Amministrazione finanziaria, consentendo all’impresa che versa in uno stato di crisi di concordare con l’Erario, alle condizioni e nel rispetto dei limiti imposti dalla legge, una vera e propria operazione finanziaria di ristrutturazione dei debiti fiscali, sia privilegiati che chirografari, attraverso la fissazione di nuove scadenze più dilatate nel tempo (cd. transazione fiscale dilatatoria) oppure, nei casi di crisi finanziaria più grave, mediante una decurtazione del loro ammontare (cd. transazione fiscale remissoria). Nel medesimo alveo vanno inquadrati gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182 bis l.fall.), accordi che il debitore negozia e sottoscrive con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti. L’accordo deve essere accompagnato dalla relazione di un professionista in possesso dei medesimi requisiti previsti dall’art. 67 che ne attesti l'attuabilità e l'idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori che non prendono parte all'accordo. Una volta concluso, l’accordo viene pubblicato nel Registro delle Imprese e per i sessanta giorni successivi sono inibite le azioni cautelari ed esecutive sul patrimonio del debitore. L’istituto degli accordi di ristrutturazione dei debiti è stato inserito nel corpo della legge fallimentare in forza dell'art. 2, 1° co., del d.l. 14.3.2005, n. 35, conv. in l. 14.5.2005, n. 80, che ha introdotto l’art. 182 bis, destinato proprio alla disciplina di tali accordi. Da tempo nel sistema giuridico-economico era avvertita la necessità di una disciplina degli accordi stragiudiziali di ristrutturazione dei debiti, la cui adozione era invalsa nella prassi commerciale al fine di risolvere per via negoziale le crisi d'impresa, superando i rigidi formalismi della legge fallimentare del 1942, e superando anche le lentezze connesse alla gestione delle procedure fallimentari. Nel sistema della legge del 1942, non vi era spazio per un accordo sulla regolazione dell’insolvenza. Insolvenza e crisi d’impresa erano considerati profili patologici del sistema produttivo, da sottrarre al mercato e da affidare alla gestione dello Stato. Salva la possibilità di ricorrere al concordato preventivo, i concordati stragiudiziali vivevano “nella dimensione della riservatezza e del segreto”, strumentali a logiche di acquisizione di posizioni di prevalenza, in violazione al principio di parità di trattamento. Tutto ciò in aperta antitesi alle tendenze della legislazione comunitaria e alle istanze del mercato concorrenziale. Già sotto l’imperio della previgente legge fallimentare era emerso un corposo dibattito in ordine alla ammissibilità di un concordato stragiudiziale ed alla relativa idoneità di detto strumento a superare la crisi di impresa. La Suprema Corte si era espressa in senso estensivo, affermando la configurabilità di soluzioni amichevoli della crisi d’impresa. La Corte, peraltro, non si era limitata a una astratta presa di posizione, intervenendo altresì su specifiche questioni, quali la superfluità del consenso unanime dei creditori e la compatibilità del c.d. “pactum de non petendo” con lo schema dei concordati stragiudiziali. I dubbi avanzati in dottrina riguardavano, invece, l’esistenza di un presunto principio di tipicità delle soluzioni negoziali della crisi di impresa: unici mezzi utilizzabili dovevano considerarsi le c.d. procedure minori (amministrazione controllata e concordato preventivo). Ne conseguiva l’invalidità di concordati stragiudiziali, vuoi argomentando dal contrasto con l’art. 1322 c.c. (perseguendo detti accordi interessi non meritevoli di tutela secondo l’ordinamento) vuoi per contrasto con l’art. 1344 c.c. (considerando detti accordi come strumento di elusione della normativa propria del concordato preventivo e dell’amministrazione controllata). Sulla scorta del riferito orientamento giurisprudenziale, i concordati stragiudiziali si erano diffusi nella pratica degli affari, evidenziando tuttavia l’evidente inadeguatezza dell’allora vigente disciplina fallimentare, specie con riferimento alla insussistenza di regole su profili centrali dell’accordo: esenzione dalla revocatoria fallimentare degli atti esecutivi dell’accordo, prededucibilità dei crediti (specie della nuova finanza) in caso di successivo fallimento, regole per limitare i poteri dei creditori dissenzienti, disciplina della responsabilità derivante dalla concessione abusiva del credito, regolamentazione degli aspetti penalistici legati alla incriminazione per bancarotta preferenziale. Rimaneva aperto, peraltro, l’interrogativo di fondo: ci si chiedeva se le procedure concorsuali fossero davvero necessarie o se, invece, il mercato potesse trovare in se stesso la soluzione per gestire il fenomeno della crisi d’impresa, consentendo ad esempio alle banche, ai fornitori e ai finanziatori in genere, di regolamentare l’eventualità di una insolvenza futura dell’impresa. Proprio la necessità di superare i rischi connessi alla stipulazione degli accordi stragiudiziali di soluzione della crisi d’impresa ha indotto il legislatore del 2005 – il quale ha chiaramente manifestato la propria preferenza per una gestione tendenzialmente “privatistica” delle situazioni di crisi imprenditoriali – a introdurre una compiuta disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti, così riconoscendone in via definitiva la legittimità ed il diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento concorsuale. L’istituto degli accordi di ristrutturazione costituisce evidentemente un tentativo di tipizzazione della figura del concordato stragiudiziale. La scelta di politica legislativa, alla base dell’introduzione degli accordi di ristrutturazione, deriverebbe dalla constatazione dell’insuccesso delle tradizionali procedure fallimentari, caratterizzate dalle ben note rigidità e inefficienze, nonché dall’incapacità di soddisfare gli interessi che il mercato e le imprese ragionevolmente si attendono che vengano perseguiti nella soluzione delle crisi aziendali. Si tratta di una rilevante novità nell’ambito del sistema concorsuale, evidente espressione di un “favor” legislativo per la regolazione della crisi d’impresa mediante accordi stragiudiziali. La dottrina, con toni forse trionfalistici, ha discorso di superamento del “dogma dell’indisponibilità della gestione dell’insolvenza”. Dette affermazioni sono condivisibili, almeno quanto al valore simbolico dell’istituto. Esso rappresenta una metafora dell’evoluzione normativa, con abbandono del lemma della pretesa inammissibilità di accordi stragiudiziali (legato al contrasto con supposte finalità pubblicistiche) in favore della tutela dei valori aziendali e occupazionali, accompagnata dalla predisposizione di strumenti giuridici che favoriscano la tempestiva emersione della crisi d’impresa. Sotto un profilo più squisitamente dommatico, “si passa dal piano della “Haftung” (intesa come attuazione della responsabilità patrimoniale attraverso l’esecuzione collettiva concorsuale) al piano della “Schuld”, vale a dire della modifica del rapporto obbligatorio attraverso un atto di autonomia. Nell’ambito delle soluzioni negoziali della crisi d’impresa un ruolo peculiare è quello attribuibile al trust. Nel suo schema generale, il trust implica che un soggetto (detto disponente) trasferisca (con atto inter vivos o mortis causa) ad altro soggetto (detto “trustee”) la proprietà di uno o più beni, conferendogli l’incarico di utilizzare i medesimi (costituenti il patrimonio o “trust fund”) a vantaggio di un terzo soggetto (beneficiario, anche detto “beneficiary” o “cestui que trust”) o per il perseguimento di un dato scopo. Tutt’ora il trust rappresenta un “problema insoluto” per la nostra dottrina, data la portata fortemente derogatoria dell’istituto rispetto ai principi fondanti del diritto civile italiano. Pur sulla base di dette premesse, in letteratura detta figura ha trovato ampia eco, in ragione della duttilità dell’istituto. Il trust può bene essere utilizzato all’interno di una ristrutturazione stragiudiziale, ossia al di fuori di una procedura concorsuale tipica. Una prima ipotesi, ritenuta dai più meritevole di tutela, attiene all’utilizzo dell’istituto quale strumento negoziale scelto dall’imprenditore per la riduzione dell’esposizione debitoria dell’impresa, in vista della continuazione dell’attività. La dottrina ha discorso a riguardo di “trust protettivo” Anche la giurisprudenza ha avuto modo di affermare la legittimità di un simile costrutto «quando la segregazione di alcuni beni consente alla società in bonis di perseguire con un programma liquidatorio lo scopo di ottimizzare l’interesse dei beneficiari ovvero dei creditori, mettendo al riparo i beni stessi da iniziative individuali pur sempre ammissibili anche in costanza di liquidazione». Maggiori criticità possono rilevarsi con riferimento al c.d. “trust liquidatorio”, ossia al trust finalizzato alla liquidazione dell’intero patrimonio di una società per soddisfare i creditori sociali, non accompagnato da alcuna iniziativa volta a una ripresa dell’attività imprenditoriale o comunque al “salvataggio” dell’impresa, data la difficoltà di armonizzare l’istituto con i principi propri della liquidazione volontaria di diritto societario. L’utilizzo del trust presenta notevoli spunti anche come strumento negoziale “complementare” di una procedura concorsuale. In tal senso, nell’ambito della presente trattazione sono stati approfonditi i legami tra l’istituto “de quo” e la procedura fallimentare, il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione. ABSTRACT The original Italian bankruptcy system was characterized by a predominance of punitive penalties and sanctions. Bankruptcy was perceived as a socially disqualifying and execrable event whose remedy was to remove the bankrupt company from the market and to restrict some of the bankrupt entrepreneur’s personal rights. The legislator has intervened several times to overcome these problems, on the one hand innovating the discipline, on the other introducing new features into the field of negotiated solutions. The preventive composition with creditors, for example, has undergone radical changes. There are no more merit requirements to access the procedure and there are no more minimum percentages of creditor satisfaction. The subjective requirement is represented by a state of crisis (and not necessarily of default), the request for composition is unrestricted and may contemplate the division of creditors into classes with different treatments as well as a partial payment of the secured creditors. Recovering plans (Article 67, third paragraph, letter d, l. fall.) are the result of the aforementioned legislative innovations. They are characterized by an exemption from the bankruptcy action to void acts, payments, and guarantees on the debtor’s assets executed according to the plan that appears suitable to rebalance the businessman in crisis. Another innovation concerns the introduction of a tax transaction (art.182 ter l. fall.), a special procedure between the Revenue and the taxpayer that can be filed during the preventive composition (Art. 160 l. fall.) or during the debt restructuring agreements (Article 182 bis l. fall.). It constitutes an exception to the general principle of unavailability and irrevocability of the tax credit from the financial administration, allowing the company that is in a state of crisis to stipulate with the tax authorities (under the conditions and within the limits imposed by law) a rescheduling of tax debts (both privileged and unsecured) by setting new deadlines dilated in time or in case of a more severe financial crisis through a curtailment of their amount. The debt restructuring agreements (Article 182 bis l. fall.) fall in the same trend. They are negotiated and subscribed by the debtor with the creditors who represent at least 60% of the credits. The agreement must be accompanied by the report of a professional (in possession of the same requirements considered in Article 67) attesting the viability and suitability to ensure regular payment of the creditors who did not take part in the agreement. Once concluded, the agreement is published in the Register of Companies and for the following sixty days precautionary and executive actions are inhibited on the debtor’s assets. Article 2, paragraph 1 of the d.l. 14.3.2005, n. 35 conv. in l. 14.5.2005, n. 80 introduced debt restructuring agreements in the body of the bankruptcy law by adding art. 182 bis, intended precisely to discipline such agreements. From a long time the legal-economic system felt the need for a discipline of extrajudicial debt restructuring agreements that had been adopted in practice to resolve company crisis through negotiation surpassing the rigid formalism of the 1942 Bankruptcy Law and also overcoming the delays produced by the management of bankruptcy proceedings. In the 1942 system there was no room for agreements on the regulation of insolvency. Insolvency and corporate crisis were considered pathological profiles of the production system that should be subtracted from the market and managed exclusively by the State. Except for the possibility to file for preventive composition, extrajudicial settlements lived “in the dimension of privacy and confidentiality,” instrumental to a logic of acquiring prevalence positions in breach of the principle of equal treatment. All in open contrast to the trends of EU law and to the demands of the competitive market. Already under the pre-existing bankruptcy law scholarship had started to discuss if extrajudicial composition was permissible and able to overcome the business crisis. The Supreme Court delivered extensive decisions, allowing the possibility of friendly solutions for business crisis. The Court, however, did not make an abstract stance, but spoke also on specific issues, such as the superfluity of unanimous creditor consent and the compatibility of the so-called “Pactum de non petendo” with the pattern of extrajudicial compositions. The doubts raised in scholarship concerned, however, the existence of an alleged principle of typicality of negotiated solutions for business crisis: allowing only the so-called minor procedures (controlled management and preventive composition). The invalidity of extrajudicial compositions followed: either by arguing in contrast with Article 1322 c.c. (since such agreements pursued interests not worthy of protection under the law) or in contrast with art. 1344 c.c. (considering such agreements as a means of circumventing the law). On the basis of the referred jurisprudence, the extrajudicial compositions had spread in the practice of business, however, emphasizing the obvious inadequacy of the then current bankruptcy rules, especially with reference to the absence of rules on central profiles of the agreement: exemption from the actions to void the executive acts of the agreement, pre-deducibility of credits (especially of new finance) in the event of subsequent failure, rules to limit the powers of the dissenting creditors, discipline of the liability arising from fraudulent lending, regulation of the criminal law aspects related to incrimination for preferential bankruptcy. However, the basic question remained open: were bankruptcy proceedings really necessary or instead could the market find by itself the solution to manage the phenomenon of corporate crisis? For example by allowing banks and suppliers and lenders in general, to regulate the possibility of a company’s future insolvency. The need to overcome the risks associated with the extrajudicial compositions has led the 2005 legislator – who clearly clearly expressed his preference for a “private law” management of business crisis situations – to introduce a complete discipline of debt restructuring agreements, thus recognizing definitively their legitimacy and their right of citizenship in our bankruptcy system. Restructuring agreements constitute clearly an attempt of typing the figure of extrajudicial compositions. The choice of legislative policy behind the introduction of restructuring agreements derives from the observation of the failure of traditional bankruptcy procedures characterized by the well-known rigidities and inefficiencies, as well as the inability to meet the interests reasonably expected by the market and businesses in solving corporate crisis. This important new part of the bankruptcy system is a clear expression of a legislative “favor” for the regulation of business crises through extrajudicial agreements. Scholarship, perhaps using triumphant tones discussed the surpassing of the “dogma of the unavailability of insolvency management”. These statements can be maintained, at least for what concerns the symbolic value of the institution. It is a metaphor for the legislation changes, with abandonment of the lemma of the alleged inadmissibility of extrajudicial agreements (related to the contrast with a supposed public purpose) in favour of the protection of business and employment values accompanied by the preparation of legal instruments that promote the timely emergence of business crisis. In a purely dogmatic perspective, “one passes from the level of ‘Haftung’ (understood as the implementation of financial liability by performing collective bankruptcy proceedings) to the level of ‘Schuld’, i.e. changing the obligatory relation through an act of autonomy.” Among the negotiated solutions to business crisis the trust has a peculiar role. In its general outline, a trust implies that a person (called the settlor) transfers (by an act inter vivos or mortis causa) to another person (called the “trustee”) the ownership of one or more assets, giving him the task to use the same (constituting the assets or “trust fund”) for the benefit of a third party (the beneficiary, also known as “beneficiary” or “cestui que trust”) or for the pursuit of a given goal. Today the trust is still an “unsolved problem” for our scholarship, given that its scope is strongly derogatory of the founding principles of Italian civil law. Even on the basis of these assumptions, scholarship has given great attention to the figure due to its ductility. The trust may well be used within an extrajudicial restructuring, i.e. outside typical bankruptcy proceedings. A first hypothesis, from many considered deserving of protection, relates to the use of the institution as a negotiation tool chosen by the entrepreneur for the reduction of the company’s debt in view of the continuation of the activity. Scholarship qualified it as “protective trust”. Even the courts have ruled on the legality of such a construct “when the segregation of certain assets allows the company in bonis to pursue with a dismissive program the aim of optimizing the interest of the beneficiaries or creditors, by protecting such assets from individual initiatives still eligible during the liquidation.” More criticalities can be observed with reference to the so-called “liquidating trust” aimed at the liquidation of all the company assets to satisfy the social creditors, without any initiative aimed at a business resumption or at least to “rescue” the company, given the difficulty to harmonize the institute with the company law principles of voluntary liquidation. The use of trusts is a remarkable “complementary” negotiation tool in bankruptcy proceedings. In this sense, the dissertation addresses the ties between the institute “de quo” and bankruptcy proceedings, preventive composition with creditors, and restructuring agreements.
Soluzioni negoziali della crisi di impresa / Graziano, Michele. - (2014 May 27). [10.14274/UNIFG/FAIR/331734]
Soluzioni negoziali della crisi di impresa
GRAZIANO, MICHELE
2014-05-27
Abstract
ABSTRACT L’originario sistema fallimentare italiano era caratterizzato da una matrice prevalentemente sanzionatoria e punitiva. Il fallimento era percepito come evento socialmente squalificante ed esecrabile, cui porre rimedio sia con l'eliminazione dell’impresa fallita dal mercato che con la restrizione di alcuni diritti personali dell'imprenditore fallito. Il legislatore è intervenuto più volte per superare dette criticità, da un lato innovando la disciplina fallimentare, dall’altro introducendo nuove figure giuridiche nel campo delle soluzioni negoziali della crisi di impresa. Il concordato preventivo, ad esempio, è stato radicalmente modificato. Non vi sono più i requisiti di meritevolezza per l’accesso alla procedura e non vi sono più percentuali minime di soddisfacimento dei creditori. Il presupposto soggettivo è rappresentato dallo stato di crisi (e non necessariamente di insolvenza) e la proposta di concordato è libera e può prevedere la suddivisione dei creditori in classi con trattamento differenziato, nonché il pagamento parziale dei creditori privilegiati. Costituiscono frutto della menzionata innovazione legislativa i piani di risanamento (art. 67, terzo comma, lett. d) l. fall.), caratterizzati da un'esenzione dall’azione revocatoria fallimentare per gli atti, i pagamenti, e le garanzie concesse su beni del debitore posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell'imprenditore in crisi. Ulteriore innovazione attiene all’introduzione della transazione fiscale (art. 182 ter l. fall.), una particolare procedura “transattiva” tra il Fisco ed il contribuente, esperibile in sede di concordato preventivo (art. 160 l. fall.) o di accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182 bis l. fall.). Essa costituisce una deroga al principio generale di indisponibilità e irrinunciabilità del credito tributario da parte dell’Amministrazione finanziaria, consentendo all’impresa che versa in uno stato di crisi di concordare con l’Erario, alle condizioni e nel rispetto dei limiti imposti dalla legge, una vera e propria operazione finanziaria di ristrutturazione dei debiti fiscali, sia privilegiati che chirografari, attraverso la fissazione di nuove scadenze più dilatate nel tempo (cd. transazione fiscale dilatatoria) oppure, nei casi di crisi finanziaria più grave, mediante una decurtazione del loro ammontare (cd. transazione fiscale remissoria). Nel medesimo alveo vanno inquadrati gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182 bis l.fall.), accordi che il debitore negozia e sottoscrive con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti. L’accordo deve essere accompagnato dalla relazione di un professionista in possesso dei medesimi requisiti previsti dall’art. 67 che ne attesti l'attuabilità e l'idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori che non prendono parte all'accordo. Una volta concluso, l’accordo viene pubblicato nel Registro delle Imprese e per i sessanta giorni successivi sono inibite le azioni cautelari ed esecutive sul patrimonio del debitore. L’istituto degli accordi di ristrutturazione dei debiti è stato inserito nel corpo della legge fallimentare in forza dell'art. 2, 1° co., del d.l. 14.3.2005, n. 35, conv. in l. 14.5.2005, n. 80, che ha introdotto l’art. 182 bis, destinato proprio alla disciplina di tali accordi. Da tempo nel sistema giuridico-economico era avvertita la necessità di una disciplina degli accordi stragiudiziali di ristrutturazione dei debiti, la cui adozione era invalsa nella prassi commerciale al fine di risolvere per via negoziale le crisi d'impresa, superando i rigidi formalismi della legge fallimentare del 1942, e superando anche le lentezze connesse alla gestione delle procedure fallimentari. Nel sistema della legge del 1942, non vi era spazio per un accordo sulla regolazione dell’insolvenza. Insolvenza e crisi d’impresa erano considerati profili patologici del sistema produttivo, da sottrarre al mercato e da affidare alla gestione dello Stato. Salva la possibilità di ricorrere al concordato preventivo, i concordati stragiudiziali vivevano “nella dimensione della riservatezza e del segreto”, strumentali a logiche di acquisizione di posizioni di prevalenza, in violazione al principio di parità di trattamento. Tutto ciò in aperta antitesi alle tendenze della legislazione comunitaria e alle istanze del mercato concorrenziale. Già sotto l’imperio della previgente legge fallimentare era emerso un corposo dibattito in ordine alla ammissibilità di un concordato stragiudiziale ed alla relativa idoneità di detto strumento a superare la crisi di impresa. La Suprema Corte si era espressa in senso estensivo, affermando la configurabilità di soluzioni amichevoli della crisi d’impresa. La Corte, peraltro, non si era limitata a una astratta presa di posizione, intervenendo altresì su specifiche questioni, quali la superfluità del consenso unanime dei creditori e la compatibilità del c.d. “pactum de non petendo” con lo schema dei concordati stragiudiziali. I dubbi avanzati in dottrina riguardavano, invece, l’esistenza di un presunto principio di tipicità delle soluzioni negoziali della crisi di impresa: unici mezzi utilizzabili dovevano considerarsi le c.d. procedure minori (amministrazione controllata e concordato preventivo). Ne conseguiva l’invalidità di concordati stragiudiziali, vuoi argomentando dal contrasto con l’art. 1322 c.c. (perseguendo detti accordi interessi non meritevoli di tutela secondo l’ordinamento) vuoi per contrasto con l’art. 1344 c.c. (considerando detti accordi come strumento di elusione della normativa propria del concordato preventivo e dell’amministrazione controllata). Sulla scorta del riferito orientamento giurisprudenziale, i concordati stragiudiziali si erano diffusi nella pratica degli affari, evidenziando tuttavia l’evidente inadeguatezza dell’allora vigente disciplina fallimentare, specie con riferimento alla insussistenza di regole su profili centrali dell’accordo: esenzione dalla revocatoria fallimentare degli atti esecutivi dell’accordo, prededucibilità dei crediti (specie della nuova finanza) in caso di successivo fallimento, regole per limitare i poteri dei creditori dissenzienti, disciplina della responsabilità derivante dalla concessione abusiva del credito, regolamentazione degli aspetti penalistici legati alla incriminazione per bancarotta preferenziale. Rimaneva aperto, peraltro, l’interrogativo di fondo: ci si chiedeva se le procedure concorsuali fossero davvero necessarie o se, invece, il mercato potesse trovare in se stesso la soluzione per gestire il fenomeno della crisi d’impresa, consentendo ad esempio alle banche, ai fornitori e ai finanziatori in genere, di regolamentare l’eventualità di una insolvenza futura dell’impresa. Proprio la necessità di superare i rischi connessi alla stipulazione degli accordi stragiudiziali di soluzione della crisi d’impresa ha indotto il legislatore del 2005 – il quale ha chiaramente manifestato la propria preferenza per una gestione tendenzialmente “privatistica” delle situazioni di crisi imprenditoriali – a introdurre una compiuta disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti, così riconoscendone in via definitiva la legittimità ed il diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento concorsuale. L’istituto degli accordi di ristrutturazione costituisce evidentemente un tentativo di tipizzazione della figura del concordato stragiudiziale. La scelta di politica legislativa, alla base dell’introduzione degli accordi di ristrutturazione, deriverebbe dalla constatazione dell’insuccesso delle tradizionali procedure fallimentari, caratterizzate dalle ben note rigidità e inefficienze, nonché dall’incapacità di soddisfare gli interessi che il mercato e le imprese ragionevolmente si attendono che vengano perseguiti nella soluzione delle crisi aziendali. Si tratta di una rilevante novità nell’ambito del sistema concorsuale, evidente espressione di un “favor” legislativo per la regolazione della crisi d’impresa mediante accordi stragiudiziali. La dottrina, con toni forse trionfalistici, ha discorso di superamento del “dogma dell’indisponibilità della gestione dell’insolvenza”. Dette affermazioni sono condivisibili, almeno quanto al valore simbolico dell’istituto. Esso rappresenta una metafora dell’evoluzione normativa, con abbandono del lemma della pretesa inammissibilità di accordi stragiudiziali (legato al contrasto con supposte finalità pubblicistiche) in favore della tutela dei valori aziendali e occupazionali, accompagnata dalla predisposizione di strumenti giuridici che favoriscano la tempestiva emersione della crisi d’impresa. Sotto un profilo più squisitamente dommatico, “si passa dal piano della “Haftung” (intesa come attuazione della responsabilità patrimoniale attraverso l’esecuzione collettiva concorsuale) al piano della “Schuld”, vale a dire della modifica del rapporto obbligatorio attraverso un atto di autonomia. Nell’ambito delle soluzioni negoziali della crisi d’impresa un ruolo peculiare è quello attribuibile al trust. Nel suo schema generale, il trust implica che un soggetto (detto disponente) trasferisca (con atto inter vivos o mortis causa) ad altro soggetto (detto “trustee”) la proprietà di uno o più beni, conferendogli l’incarico di utilizzare i medesimi (costituenti il patrimonio o “trust fund”) a vantaggio di un terzo soggetto (beneficiario, anche detto “beneficiary” o “cestui que trust”) o per il perseguimento di un dato scopo. Tutt’ora il trust rappresenta un “problema insoluto” per la nostra dottrina, data la portata fortemente derogatoria dell’istituto rispetto ai principi fondanti del diritto civile italiano. Pur sulla base di dette premesse, in letteratura detta figura ha trovato ampia eco, in ragione della duttilità dell’istituto. Il trust può bene essere utilizzato all’interno di una ristrutturazione stragiudiziale, ossia al di fuori di una procedura concorsuale tipica. Una prima ipotesi, ritenuta dai più meritevole di tutela, attiene all’utilizzo dell’istituto quale strumento negoziale scelto dall’imprenditore per la riduzione dell’esposizione debitoria dell’impresa, in vista della continuazione dell’attività. La dottrina ha discorso a riguardo di “trust protettivo” Anche la giurisprudenza ha avuto modo di affermare la legittimità di un simile costrutto «quando la segregazione di alcuni beni consente alla società in bonis di perseguire con un programma liquidatorio lo scopo di ottimizzare l’interesse dei beneficiari ovvero dei creditori, mettendo al riparo i beni stessi da iniziative individuali pur sempre ammissibili anche in costanza di liquidazione». Maggiori criticità possono rilevarsi con riferimento al c.d. “trust liquidatorio”, ossia al trust finalizzato alla liquidazione dell’intero patrimonio di una società per soddisfare i creditori sociali, non accompagnato da alcuna iniziativa volta a una ripresa dell’attività imprenditoriale o comunque al “salvataggio” dell’impresa, data la difficoltà di armonizzare l’istituto con i principi propri della liquidazione volontaria di diritto societario. L’utilizzo del trust presenta notevoli spunti anche come strumento negoziale “complementare” di una procedura concorsuale. In tal senso, nell’ambito della presente trattazione sono stati approfonditi i legami tra l’istituto “de quo” e la procedura fallimentare, il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione. ABSTRACT The original Italian bankruptcy system was characterized by a predominance of punitive penalties and sanctions. Bankruptcy was perceived as a socially disqualifying and execrable event whose remedy was to remove the bankrupt company from the market and to restrict some of the bankrupt entrepreneur’s personal rights. The legislator has intervened several times to overcome these problems, on the one hand innovating the discipline, on the other introducing new features into the field of negotiated solutions. The preventive composition with creditors, for example, has undergone radical changes. There are no more merit requirements to access the procedure and there are no more minimum percentages of creditor satisfaction. The subjective requirement is represented by a state of crisis (and not necessarily of default), the request for composition is unrestricted and may contemplate the division of creditors into classes with different treatments as well as a partial payment of the secured creditors. Recovering plans (Article 67, third paragraph, letter d, l. fall.) are the result of the aforementioned legislative innovations. They are characterized by an exemption from the bankruptcy action to void acts, payments, and guarantees on the debtor’s assets executed according to the plan that appears suitable to rebalance the businessman in crisis. Another innovation concerns the introduction of a tax transaction (art.182 ter l. fall.), a special procedure between the Revenue and the taxpayer that can be filed during the preventive composition (Art. 160 l. fall.) or during the debt restructuring agreements (Article 182 bis l. fall.). It constitutes an exception to the general principle of unavailability and irrevocability of the tax credit from the financial administration, allowing the company that is in a state of crisis to stipulate with the tax authorities (under the conditions and within the limits imposed by law) a rescheduling of tax debts (both privileged and unsecured) by setting new deadlines dilated in time or in case of a more severe financial crisis through a curtailment of their amount. The debt restructuring agreements (Article 182 bis l. fall.) fall in the same trend. They are negotiated and subscribed by the debtor with the creditors who represent at least 60% of the credits. The agreement must be accompanied by the report of a professional (in possession of the same requirements considered in Article 67) attesting the viability and suitability to ensure regular payment of the creditors who did not take part in the agreement. Once concluded, the agreement is published in the Register of Companies and for the following sixty days precautionary and executive actions are inhibited on the debtor’s assets. Article 2, paragraph 1 of the d.l. 14.3.2005, n. 35 conv. in l. 14.5.2005, n. 80 introduced debt restructuring agreements in the body of the bankruptcy law by adding art. 182 bis, intended precisely to discipline such agreements. From a long time the legal-economic system felt the need for a discipline of extrajudicial debt restructuring agreements that had been adopted in practice to resolve company crisis through negotiation surpassing the rigid formalism of the 1942 Bankruptcy Law and also overcoming the delays produced by the management of bankruptcy proceedings. In the 1942 system there was no room for agreements on the regulation of insolvency. Insolvency and corporate crisis were considered pathological profiles of the production system that should be subtracted from the market and managed exclusively by the State. Except for the possibility to file for preventive composition, extrajudicial settlements lived “in the dimension of privacy and confidentiality,” instrumental to a logic of acquiring prevalence positions in breach of the principle of equal treatment. All in open contrast to the trends of EU law and to the demands of the competitive market. Already under the pre-existing bankruptcy law scholarship had started to discuss if extrajudicial composition was permissible and able to overcome the business crisis. The Supreme Court delivered extensive decisions, allowing the possibility of friendly solutions for business crisis. The Court, however, did not make an abstract stance, but spoke also on specific issues, such as the superfluity of unanimous creditor consent and the compatibility of the so-called “Pactum de non petendo” with the pattern of extrajudicial compositions. The doubts raised in scholarship concerned, however, the existence of an alleged principle of typicality of negotiated solutions for business crisis: allowing only the so-called minor procedures (controlled management and preventive composition). The invalidity of extrajudicial compositions followed: either by arguing in contrast with Article 1322 c.c. (since such agreements pursued interests not worthy of protection under the law) or in contrast with art. 1344 c.c. (considering such agreements as a means of circumventing the law). On the basis of the referred jurisprudence, the extrajudicial compositions had spread in the practice of business, however, emphasizing the obvious inadequacy of the then current bankruptcy rules, especially with reference to the absence of rules on central profiles of the agreement: exemption from the actions to void the executive acts of the agreement, pre-deducibility of credits (especially of new finance) in the event of subsequent failure, rules to limit the powers of the dissenting creditors, discipline of the liability arising from fraudulent lending, regulation of the criminal law aspects related to incrimination for preferential bankruptcy. However, the basic question remained open: were bankruptcy proceedings really necessary or instead could the market find by itself the solution to manage the phenomenon of corporate crisis? For example by allowing banks and suppliers and lenders in general, to regulate the possibility of a company’s future insolvency. The need to overcome the risks associated with the extrajudicial compositions has led the 2005 legislator – who clearly clearly expressed his preference for a “private law” management of business crisis situations – to introduce a complete discipline of debt restructuring agreements, thus recognizing definitively their legitimacy and their right of citizenship in our bankruptcy system. Restructuring agreements constitute clearly an attempt of typing the figure of extrajudicial compositions. The choice of legislative policy behind the introduction of restructuring agreements derives from the observation of the failure of traditional bankruptcy procedures characterized by the well-known rigidities and inefficiencies, as well as the inability to meet the interests reasonably expected by the market and businesses in solving corporate crisis. This important new part of the bankruptcy system is a clear expression of a legislative “favor” for the regulation of business crises through extrajudicial agreements. Scholarship, perhaps using triumphant tones discussed the surpassing of the “dogma of the unavailability of insolvency management”. These statements can be maintained, at least for what concerns the symbolic value of the institution. It is a metaphor for the legislation changes, with abandonment of the lemma of the alleged inadmissibility of extrajudicial agreements (related to the contrast with a supposed public purpose) in favour of the protection of business and employment values accompanied by the preparation of legal instruments that promote the timely emergence of business crisis. In a purely dogmatic perspective, “one passes from the level of ‘Haftung’ (understood as the implementation of financial liability by performing collective bankruptcy proceedings) to the level of ‘Schuld’, i.e. changing the obligatory relation through an act of autonomy.” Among the negotiated solutions to business crisis the trust has a peculiar role. In its general outline, a trust implies that a person (called the settlor) transfers (by an act inter vivos or mortis causa) to another person (called the “trustee”) the ownership of one or more assets, giving him the task to use the same (constituting the assets or “trust fund”) for the benefit of a third party (the beneficiary, also known as “beneficiary” or “cestui que trust”) or for the pursuit of a given goal. Today the trust is still an “unsolved problem” for our scholarship, given that its scope is strongly derogatory of the founding principles of Italian civil law. Even on the basis of these assumptions, scholarship has given great attention to the figure due to its ductility. The trust may well be used within an extrajudicial restructuring, i.e. outside typical bankruptcy proceedings. A first hypothesis, from many considered deserving of protection, relates to the use of the institution as a negotiation tool chosen by the entrepreneur for the reduction of the company’s debt in view of the continuation of the activity. Scholarship qualified it as “protective trust”. Even the courts have ruled on the legality of such a construct “when the segregation of certain assets allows the company in bonis to pursue with a dismissive program the aim of optimizing the interest of the beneficiaries or creditors, by protecting such assets from individual initiatives still eligible during the liquidation.” More criticalities can be observed with reference to the so-called “liquidating trust” aimed at the liquidation of all the company assets to satisfy the social creditors, without any initiative aimed at a business resumption or at least to “rescue” the company, given the difficulty to harmonize the institute with the company law principles of voluntary liquidation. The use of trusts is a remarkable “complementary” negotiation tool in bankruptcy proceedings. In this sense, the dissertation addresses the ties between the institute “de quo” and bankruptcy proceedings, preventive composition with creditors, and restructuring agreements.File | Dimensione | Formato | |
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