L’agognata riforma della giustizia penale si traduce in un restyling del codice di rito che coinvolge, a vari livelli, l’architettura dell’intero iter procedimentale. L’apertura di una “finestra di giurisdizione” in materia di perquisizioni è stata sollecitata dalla Corte di Strasburgo che, con la sentenza 27 settembre 2018, Brazzi c. Italia, preso atto dell’assenza nella trama codicistica di un meccanismo di controllo, ex ante o ex post, della legittimità dell’atto esplorativo, denunciava l’esistenza di un “vuoto di tutela”, condannando lo Stato italiano per violazione dell’art. 8 CEDU. Il deficit di giurisdizione è stato colmato con l’introduzione dell’inedito rimedio ex art. 252 bis c.p.p.: l’opposizione della persona sottoposta alle indagini ovvero dell’interessato avverso il decreto di perquisizione cui non consegue alcun sequestro, esperibile nel termine perentorio di 10 giorni, affida al g.i.p. il controllo di legittimità formale e sostanziale del provvedimento genetico. Tale norma dalla nobile ratio sintetizza una garanzia, di fatto, opaca ed apparente, che tradisce gli obiettivi di efficienza ed efficacia del modello “Cartabia”: da un lato, non prevedendo meccanismi di invalidazione dell’atto esplorativo, si è perduta l’occasione di precisare il valore probatorio del provvedimento dichiarato illegittimo e, dall’altro, l’omissione di idonei rimedi indennitari a favore del danneggiato non pare in linea con la prospettiva garantistica della riforma.
L'inedito rimedio dell'opposizione al decreto di perquisizione: una garanzia solo apparente?
Anna Chiara Dellerba
2023-01-01
Abstract
L’agognata riforma della giustizia penale si traduce in un restyling del codice di rito che coinvolge, a vari livelli, l’architettura dell’intero iter procedimentale. L’apertura di una “finestra di giurisdizione” in materia di perquisizioni è stata sollecitata dalla Corte di Strasburgo che, con la sentenza 27 settembre 2018, Brazzi c. Italia, preso atto dell’assenza nella trama codicistica di un meccanismo di controllo, ex ante o ex post, della legittimità dell’atto esplorativo, denunciava l’esistenza di un “vuoto di tutela”, condannando lo Stato italiano per violazione dell’art. 8 CEDU. Il deficit di giurisdizione è stato colmato con l’introduzione dell’inedito rimedio ex art. 252 bis c.p.p.: l’opposizione della persona sottoposta alle indagini ovvero dell’interessato avverso il decreto di perquisizione cui non consegue alcun sequestro, esperibile nel termine perentorio di 10 giorni, affida al g.i.p. il controllo di legittimità formale e sostanziale del provvedimento genetico. Tale norma dalla nobile ratio sintetizza una garanzia, di fatto, opaca ed apparente, che tradisce gli obiettivi di efficienza ed efficacia del modello “Cartabia”: da un lato, non prevedendo meccanismi di invalidazione dell’atto esplorativo, si è perduta l’occasione di precisare il valore probatorio del provvedimento dichiarato illegittimo e, dall’altro, l’omissione di idonei rimedi indennitari a favore del danneggiato non pare in linea con la prospettiva garantistica della riforma.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.