Muovendo dal pacifico orientamento giurisprudenziale che afferma la natura di atto recettizio della disdetta di un contratto di locazione (pur potendo tuttavia le parti pattuire diversamente), si esamina l’istituto della disdetta, sottolineandone le somiglianze e differenze con figure affini, quali la licenza ed il recesso: mentre la prima può definirsi come un negozio unilaterale recettizio che produce l’effetto di impedire la c.d. rinnovazione tacita del contratto, rendendo operante il termine finale del rapporto previsto dalla legge, la licenza designa un’intimazione formale con la quale il locatore comunica al conduttore di considerare operativo il termine finale del rapporto (già maturato o prossimo a scadere) e che intende ottenere il rilascio della cosa locata ed il recesso provoca la “anticipata” cessazione del rapporto rispetto alla sua naturale scadenza, determinando un effetto estintivo tout court e non, più propriamente, “impeditivo” (come invece è per la disdetta). Si sottolinea, quindi, come dall’analisi specifica della pronuncia della Cassazione oggetto di attenzione nonché in una prospettiva più generale, emerga la forza unificante della categoria della recettizietà, in quanto: 1) la Suprema Corte pare aver deciso, piuttosto che dall’interpretazione – invero equivoca – della clausola relativa alle modalità di esercizio della disdetta, proprio in base alla natura recettizia dell’atto in questione; 2) in materia locatizia, figure come disdetta, recesso e licenza – che possono creare problemi di distinzioni e delimitazioni reciproche - paiono trovare nella recettizietà un concetto in grado di comprenderle sotto un minimo comune denominatore

La recettizietà della disdetta nel contratto di locazione

FOLLIERI, Luigi
2010-01-01

Abstract

Muovendo dal pacifico orientamento giurisprudenziale che afferma la natura di atto recettizio della disdetta di un contratto di locazione (pur potendo tuttavia le parti pattuire diversamente), si esamina l’istituto della disdetta, sottolineandone le somiglianze e differenze con figure affini, quali la licenza ed il recesso: mentre la prima può definirsi come un negozio unilaterale recettizio che produce l’effetto di impedire la c.d. rinnovazione tacita del contratto, rendendo operante il termine finale del rapporto previsto dalla legge, la licenza designa un’intimazione formale con la quale il locatore comunica al conduttore di considerare operativo il termine finale del rapporto (già maturato o prossimo a scadere) e che intende ottenere il rilascio della cosa locata ed il recesso provoca la “anticipata” cessazione del rapporto rispetto alla sua naturale scadenza, determinando un effetto estintivo tout court e non, più propriamente, “impeditivo” (come invece è per la disdetta). Si sottolinea, quindi, come dall’analisi specifica della pronuncia della Cassazione oggetto di attenzione nonché in una prospettiva più generale, emerga la forza unificante della categoria della recettizietà, in quanto: 1) la Suprema Corte pare aver deciso, piuttosto che dall’interpretazione – invero equivoca – della clausola relativa alle modalità di esercizio della disdetta, proprio in base alla natura recettizia dell’atto in questione; 2) in materia locatizia, figure come disdetta, recesso e licenza – che possono creare problemi di distinzioni e delimitazioni reciproche - paiono trovare nella recettizietà un concetto in grado di comprenderle sotto un minimo comune denominatore
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