In Italia, nel corso degli ultimi decenni, la presenza di donne musulmane praticanti, che coprono il loro corpo in vario modo, con hijab o vestiti lunghi tradizionali, costituisce uno dei fattori, insieme alle moschee, ai luoghi di preghiera, alle macellerie halal, ai negozi di kebab, del processo di visibilizzazione dell’islam nel nostro Paese. Questi elementi concorrono alla rimodulazione multidimensionale delle forme del vivere sociale e dei paesaggi urbani in contesti caratterizzati dalla presenza migrante in generale e da quella musulmana in particolare. Molte studiose femministe dell’islam evidenziano come, attualmente, il razzismo anti-arabo si esprime nella forma prevalente di «gendered Islamophobia» (Zine 2006; Mijares, Ramírez 2008), dove la dimensione di genere opera intersezionalmente attraverso imbricazioni fra razzismo, misoginia, sessualità, patriottismo (Mijares, Ramírez 2008; Giacalone 2020). In definitiva, secondo questa prospettiva, l’“alterità” musulmana oggi si definisce e si regola attraverso una nuova politica di genderizzazione, sessualizazione e razzializzazione che vede al centro i corpi femminili vittimizzati. Il presente saggio vuole “sovvertire” il processo attraverso cui le donne musulmane, in particolare quelle migranti, vengono costruite come “alterità”, oggettivate in immagini di vittime sottomesse, per restituirle alla complessità di percorsi lungo un itinerario che dalla moschea porta alla società: dalle pratiche religiose nei luoghi di preghiera le donne costruiscono una consapevolezza che le porta a conquistare una presenza attiva nella società. Un giro lungo attraverso la faglia di una riflessività profonda che investe la dimensione spirituale, politica, così come la dimensione immaginativa, le aspettative e le fantasie (Sametoglu, 2013; Sehlikoglu, 2018). A partire dalla ricostruzione delle storie dell’esperienza religiosa di cinque donne musulmane, tre immigrate e due convertite, tenterò di mettere in evidenza come attraverso performance rituali, interpretazione di testi sacri, valorizzazione della dimensione etica della religione, così come tramite esperienze quotidiane fuori dalla dimensione strettamente religiosa, si producono nuove soggettività pubbliche, nuove dinamiche di costruzione di appartenenza, nuovi orizzonti simbolici e culturali entro cui riscrivere la relazione tra dimensione intima e comunitaria dell’islam.

Donne musulmane nei luoghi di preghiera

Rosa Parisi
2020-01-01

Abstract

In Italia, nel corso degli ultimi decenni, la presenza di donne musulmane praticanti, che coprono il loro corpo in vario modo, con hijab o vestiti lunghi tradizionali, costituisce uno dei fattori, insieme alle moschee, ai luoghi di preghiera, alle macellerie halal, ai negozi di kebab, del processo di visibilizzazione dell’islam nel nostro Paese. Questi elementi concorrono alla rimodulazione multidimensionale delle forme del vivere sociale e dei paesaggi urbani in contesti caratterizzati dalla presenza migrante in generale e da quella musulmana in particolare. Molte studiose femministe dell’islam evidenziano come, attualmente, il razzismo anti-arabo si esprime nella forma prevalente di «gendered Islamophobia» (Zine 2006; Mijares, Ramírez 2008), dove la dimensione di genere opera intersezionalmente attraverso imbricazioni fra razzismo, misoginia, sessualità, patriottismo (Mijares, Ramírez 2008; Giacalone 2020). In definitiva, secondo questa prospettiva, l’“alterità” musulmana oggi si definisce e si regola attraverso una nuova politica di genderizzazione, sessualizazione e razzializzazione che vede al centro i corpi femminili vittimizzati. Il presente saggio vuole “sovvertire” il processo attraverso cui le donne musulmane, in particolare quelle migranti, vengono costruite come “alterità”, oggettivate in immagini di vittime sottomesse, per restituirle alla complessità di percorsi lungo un itinerario che dalla moschea porta alla società: dalle pratiche religiose nei luoghi di preghiera le donne costruiscono una consapevolezza che le porta a conquistare una presenza attiva nella società. Un giro lungo attraverso la faglia di una riflessività profonda che investe la dimensione spirituale, politica, così come la dimensione immaginativa, le aspettative e le fantasie (Sametoglu, 2013; Sehlikoglu, 2018). A partire dalla ricostruzione delle storie dell’esperienza religiosa di cinque donne musulmane, tre immigrate e due convertite, tenterò di mettere in evidenza come attraverso performance rituali, interpretazione di testi sacri, valorizzazione della dimensione etica della religione, così come tramite esperienze quotidiane fuori dalla dimensione strettamente religiosa, si producono nuove soggettività pubbliche, nuove dinamiche di costruzione di appartenenza, nuovi orizzonti simbolici e culturali entro cui riscrivere la relazione tra dimensione intima e comunitaria dell’islam.
2020
9788835108337
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11369/397578
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