L’enforcement del diritto di autore è tradizionalmente affidato ai rimedi privatistici somministrati dal giudice civile. E’ tuttavia fortemente avvertita la necessità di strumenti alternativi e questo essenzialmente per la crisi che affligge i sistemi giudiziari, i cui tempi e costi sono noti, mentre in materia di diritto di autore si richiede una rapida ed efficace tutela inibitoria. In Italia, la necessità di un’alternativa all’enforcement giurisdizionale ha prodotto il recente Regolamento AGCom, che propone un inedito modello di tutela amministrativa e tuttavia segnala l‘importanza che i codici di condotta – tipico strumento di autoregolazione privatistica – devono assumere. Internet appare in effetti un ambiente sotto vari profili (a-territorialità, eterogeneità degli operatori, molteplicità degli interessi coinvolti) ideale per lo sviluppo di sistemi di autoregolazione. La cornice legislativa in cui questi sistemi sono chiamati a svolgere la loro funzione, escludendo qualsiasi dovere di vigilanza preventiva e tuttavia imponendo al provider responsabilità nei soli casi di provata consapevolezza dell’illecito, gli riconosce – implicitamente – competenza proprio con riguardo ai due aspetti fondamentali dell’intero sistema: la rimozione dell’illecito e la prevenzione della sua reiterazione. L’approccio degli operatori è tuttavia molto eterogeneo e tende ad agire su più livelli: alla massa degli interlocutori viene riservata una disciplina di matrice unilaterale, variamente articolata, intesa a prevenire, depotenziare o definire gli eventuali contenziosi attraverso il take down e, nei casi estremi, la cancellazione dell’account; con i grandi content owners, superata la fase dell’iniziale conflitto, vengono più facilmente raggiunte intese bilaterali, di contenuto adeguato alle diverse situazioni. Con riguardo alla realtà del nostro Paese, gli operatori, che pure manifestano ostilità all’enforcement amministrativo, non sembrano inclini a realizzare più adeguati livelli di enforcement privato (che, dell’enforcement amministrativo, potrebbero invece prevenire o attenuare gli effetti). L’esame concreto delle regole attraverso cui l’enforcement privato si realizza evidenzia una serie di criticità che non possono essere ignorate: gli operatori, nonostante l’evidente tentativo di minimizzare il loro ruolo, svolgono una funzione decisiva, paragonabile a quella del giudice investito di un ricorso cautelare. S’intende che l’esercizio di simili poteri implichi responsabilità e problemi, anche in quanto le liti sul copyright possono facilmente comportare riflessi nell’esercizio dei diritti fondamentali. Ferma la necessità, irrinunciabile, di un finale controllo giudiziario, che tuttavia rimane una possibilità solo teorica per la massa dei soggetti coinvolti, l’autoregolamentazione dovrebbe assicurare sempre migliori standards di trasparenza e neutralità. Forse, piuttosto che amministrare direttamente i casi, assumendo ogni conseguente responsabilità, i gestori potrebbero valutare l’ipotesi di delegare la giustizia interna ad un organo terzo, appositamente investito di tale funzione e designato con ragionevoli garanzie di competenza ed imparzialità. La via dell’autoregolazione – ingiustificatamente trascurata in Italia – dovrebbe trovare ulteriori sviluppi proprio in questa direzione, producendo sistemi di giustizia privata facilmente accessibili, capaci di operare anche on-line, in grado di assicurare un livello di tutela difficilmente raggiungibile, almeno de facto, avanti alle corti giudiziarie nazionali.

L'enforcement privato in Italia

ASTONE, FRANCESCO
2014-01-01

Abstract

L’enforcement del diritto di autore è tradizionalmente affidato ai rimedi privatistici somministrati dal giudice civile. E’ tuttavia fortemente avvertita la necessità di strumenti alternativi e questo essenzialmente per la crisi che affligge i sistemi giudiziari, i cui tempi e costi sono noti, mentre in materia di diritto di autore si richiede una rapida ed efficace tutela inibitoria. In Italia, la necessità di un’alternativa all’enforcement giurisdizionale ha prodotto il recente Regolamento AGCom, che propone un inedito modello di tutela amministrativa e tuttavia segnala l‘importanza che i codici di condotta – tipico strumento di autoregolazione privatistica – devono assumere. Internet appare in effetti un ambiente sotto vari profili (a-territorialità, eterogeneità degli operatori, molteplicità degli interessi coinvolti) ideale per lo sviluppo di sistemi di autoregolazione. La cornice legislativa in cui questi sistemi sono chiamati a svolgere la loro funzione, escludendo qualsiasi dovere di vigilanza preventiva e tuttavia imponendo al provider responsabilità nei soli casi di provata consapevolezza dell’illecito, gli riconosce – implicitamente – competenza proprio con riguardo ai due aspetti fondamentali dell’intero sistema: la rimozione dell’illecito e la prevenzione della sua reiterazione. L’approccio degli operatori è tuttavia molto eterogeneo e tende ad agire su più livelli: alla massa degli interlocutori viene riservata una disciplina di matrice unilaterale, variamente articolata, intesa a prevenire, depotenziare o definire gli eventuali contenziosi attraverso il take down e, nei casi estremi, la cancellazione dell’account; con i grandi content owners, superata la fase dell’iniziale conflitto, vengono più facilmente raggiunte intese bilaterali, di contenuto adeguato alle diverse situazioni. Con riguardo alla realtà del nostro Paese, gli operatori, che pure manifestano ostilità all’enforcement amministrativo, non sembrano inclini a realizzare più adeguati livelli di enforcement privato (che, dell’enforcement amministrativo, potrebbero invece prevenire o attenuare gli effetti). L’esame concreto delle regole attraverso cui l’enforcement privato si realizza evidenzia una serie di criticità che non possono essere ignorate: gli operatori, nonostante l’evidente tentativo di minimizzare il loro ruolo, svolgono una funzione decisiva, paragonabile a quella del giudice investito di un ricorso cautelare. S’intende che l’esercizio di simili poteri implichi responsabilità e problemi, anche in quanto le liti sul copyright possono facilmente comportare riflessi nell’esercizio dei diritti fondamentali. Ferma la necessità, irrinunciabile, di un finale controllo giudiziario, che tuttavia rimane una possibilità solo teorica per la massa dei soggetti coinvolti, l’autoregolamentazione dovrebbe assicurare sempre migliori standards di trasparenza e neutralità. Forse, piuttosto che amministrare direttamente i casi, assumendo ogni conseguente responsabilità, i gestori potrebbero valutare l’ipotesi di delegare la giustizia interna ad un organo terzo, appositamente investito di tale funzione e designato con ragionevoli garanzie di competenza ed imparzialità. La via dell’autoregolazione – ingiustificatamente trascurata in Italia – dovrebbe trovare ulteriori sviluppi proprio in questa direzione, producendo sistemi di giustizia privata facilmente accessibili, capaci di operare anche on-line, in grado di assicurare un livello di tutela difficilmente raggiungibile, almeno de facto, avanti alle corti giudiziarie nazionali.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11369/317798
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