Sull’albero come forma di rappresentazione dell’evoluzione si è a lungo discusso. Si tratta di un modello che ha conosciuto grande popolarità ( anche se non sempre è stato accettato e condiviso) e per il cui tramite è passata l’immagine più diffusa e comune del cammino delle specie. Modelli ad albero furono proposti da Alfred Russel Wallace e da Haeckel e, in un contesto molto particolare, da George John Romanes (1848-1894). Romanes dopo un’adesione totale e appassionata alle idee di Darwin volle occuparsi della storia naturale della mente. Se il suo maestro aveva tracciato le linee di una trasformazione delle specie e descritto il possibile divenire degli organismi, doveva essere altrettanto possibile, nello stesso contesto, ricostruire la genesi dello psichismo, l’evoluzione mentale. Concepì così un progetto grandioso che avrebbe dovuto consentire di ripercorrere un cammino capace di collegare le lontane origini della vita e i primi organismi unicellulari con la cultura, il linguaggio e le istituzioni umane. Il progetto si concretizzò in tre volumi che, a partire da una rassegna dell’intelligenza animale analizzavano le tappe filogenetiche che avevano visto il sorgere dei processi cognitivi ed emozionali e quindi il linguaggio ed il pensiero nella nostra specie: Animal Intelligence (1881), Mental Evolution in Animals (1883), Mental Evolution in Man (1888). Romanes volle tuttavia sintetizzare il senso di queste ricerche in un diagramma che mettesse a confronto il comparire dei processi mentali nel mondo animale con il loro presentarsi in diverse fasi della vita neonatale e gli affiancò per l’appunto un albero grafico. In questa configurazione si può identificare l’idea allora assai diffusa per la quale - come aveva argomentato Haeckel - lo sviluppo individuale ricapitolava le tappe della filogenesi. In questo senso l’idea di utilizzare le classificazioni morfologiche per dedurne un senso e uno sviluppo della dimensione mentale è sicuramente un momento rivoluzionario nella storia della biologia e della psicologia. Tre caratteristiche nuove e decisive attengono da quel momento a una nuova immagine della psiche: ( 1) rispecchiamento 2) profondità storica (inconscio-istintualità) 3) affinità strutturali uomo-animali. Innanzitutto la mente viene sottratta ad una ideale astrattezza e restituita ad un senso concreto e ad una funzionalità che sono il suo essere uno strumento di sopravvivenza e di adattamento al mondo esterno. E’ il tema dello specchio: l’immagine riflessa ha un retrofaccia reale che la pone nella stessa categoria ontologica delle cose che l’immagine riflette. L’attività del riflettere è una contrapposizione fra reale e reale: il soggetto si costituisce nel mondo, mettendo radici dentro le fenditure della realtà. Sempre più è divenuto infine evidente che non ha senso parlare di un ambiente se non si considera che vi è stato un reciproco interagire dei sistemi viventi: gli organismi abitano un mondo nel cui ambito si sono generati e hanno assunto forma, in una sorta di continua danza delle parti; le loro strutture sono il risultato di una coevoluzione, così come i loro apparati conoscitivi. Divenendo in qualche modo erede di percorsi complessi della storia naturale, la mente umana acquisisce, dopo Darwin,- come si diceva- una dimensione storica, una profondità. Nel modello di psichismo disegnato da Freud colpisce il suo essere quasi puntualmente consequenziale compimento e traduzione psicologica del cuore stesso del darwinismo, la riproposizione di un soggetto non più introdotto nel mondo dall’esterno, (ed in esso incarnatosi e smarritosi) ma progetto interno del divenire naturale. Il che voleva dire - ovviamente - riscoprire uno spessore storico, una diacronia che si fosse ritradotta in una strutturalità quasi stratigrafica: è l’idea, decisiva, del passato che comprende la comprensione del presente, l’idea “archeologica” che sarà tanto applicata alla storia del singolo, quanto all’arduo compito di rinsaldare le origini della vita (e con essa le “leggi” della fisica, della chimica e così via) con lo psichismo dell’uomo moderno. Possiamo così vedere come la mente umana, collocandosi all’intersezione fra bisogno biologico, rispecchiamento dell’ambiente e prospettiva filogenetica cominci ad essere pensata fra fine ‘800 e inizi del ‘900 in una dimensione meno astratta e più storica proprio in relazione agli sviluppi delle scienze naturali. L’idea di un soggetto che si forma all’interno del mondo naturale diviene così possibile come alternativa ad una lunga tradizione impostata sul concetto di una psiche che proviene dall’esterno o le cui origini sono nebulose e non indagabili. Il discorso sulla mente è oggi più che mai aperto, proteso verso un futuro in cui più sofisticate tecniche e metodiche potranno portare nuova luce sui processi neurali e sui qualia che veicolano. Anche se recentemente molti comportamenti che un tempo sarebbero stati visti come il prodotto di un’attività cosciente vengono spiegati con modelli etologici o del tipo computer, nulla impedisce la possibilità di descrizioni in termini di esperienza soggettiva né che esperienze mentali possano essere realmente esperite dagli animali. In definitiva sembra che prescindere da un punto di vista genetico nella comprensione del pensiero e della sua fenomenologia non possa portare a nulla di concreto. Nel dibattito più recente, torna così l’immagine di un diramarsi filogenetico dello psichismo, di uno spettro della consciousness come risultato di infinite rimodulazioni dello stesso fenomeno: "Evolution is littered with paraphyletic convergences: many roads lead to functional Romes (…). The discovery implies various animal taxa exhibiting behaviors we broadly recognize as conscious are, in fact, simply expressing different forms of the same underlying phenomenon.(…). The variety of possibilities, a veritable rainbow suggests minds today be only a small surviving fraction of ancient evolutionary radiations” . Se si abbandona il suolo sicuro della co-evoluzione degli organismi e dei loro apparati sensoriali e rappresentativi e si rinuncia ad una lettura che passi anche attraverso l’analisi di analogie fra menti umane e non umane non restano che visioni poveramente riduzionistiche o congetture metafisiche rispettabili ma estranee allo statuto scientifico. In questo senso Romanes, anche a confronto con quanti (Lloyd Morgan, Loeb, Thorndike) si occuperanno dopo di lui del comportamento animale, resta l’anticipatore di una linea di pensiero particolarmente attenta alla complessità dello psichismo non umano e sicuramente antiriduzionistica che oggi ci appare sempre più in sintonia con la quasi quotidiana riscoperta di una sorprendente ricchezza comportamentale nel mondo animale.

THE VERTICAL MIND: POST-DARWINIAN PSYCHISM MODELS.

ZELLER, PETER
2010-01-01

Abstract

Sull’albero come forma di rappresentazione dell’evoluzione si è a lungo discusso. Si tratta di un modello che ha conosciuto grande popolarità ( anche se non sempre è stato accettato e condiviso) e per il cui tramite è passata l’immagine più diffusa e comune del cammino delle specie. Modelli ad albero furono proposti da Alfred Russel Wallace e da Haeckel e, in un contesto molto particolare, da George John Romanes (1848-1894). Romanes dopo un’adesione totale e appassionata alle idee di Darwin volle occuparsi della storia naturale della mente. Se il suo maestro aveva tracciato le linee di una trasformazione delle specie e descritto il possibile divenire degli organismi, doveva essere altrettanto possibile, nello stesso contesto, ricostruire la genesi dello psichismo, l’evoluzione mentale. Concepì così un progetto grandioso che avrebbe dovuto consentire di ripercorrere un cammino capace di collegare le lontane origini della vita e i primi organismi unicellulari con la cultura, il linguaggio e le istituzioni umane. Il progetto si concretizzò in tre volumi che, a partire da una rassegna dell’intelligenza animale analizzavano le tappe filogenetiche che avevano visto il sorgere dei processi cognitivi ed emozionali e quindi il linguaggio ed il pensiero nella nostra specie: Animal Intelligence (1881), Mental Evolution in Animals (1883), Mental Evolution in Man (1888). Romanes volle tuttavia sintetizzare il senso di queste ricerche in un diagramma che mettesse a confronto il comparire dei processi mentali nel mondo animale con il loro presentarsi in diverse fasi della vita neonatale e gli affiancò per l’appunto un albero grafico. In questa configurazione si può identificare l’idea allora assai diffusa per la quale - come aveva argomentato Haeckel - lo sviluppo individuale ricapitolava le tappe della filogenesi. In questo senso l’idea di utilizzare le classificazioni morfologiche per dedurne un senso e uno sviluppo della dimensione mentale è sicuramente un momento rivoluzionario nella storia della biologia e della psicologia. Tre caratteristiche nuove e decisive attengono da quel momento a una nuova immagine della psiche: ( 1) rispecchiamento 2) profondità storica (inconscio-istintualità) 3) affinità strutturali uomo-animali. Innanzitutto la mente viene sottratta ad una ideale astrattezza e restituita ad un senso concreto e ad una funzionalità che sono il suo essere uno strumento di sopravvivenza e di adattamento al mondo esterno. E’ il tema dello specchio: l’immagine riflessa ha un retrofaccia reale che la pone nella stessa categoria ontologica delle cose che l’immagine riflette. L’attività del riflettere è una contrapposizione fra reale e reale: il soggetto si costituisce nel mondo, mettendo radici dentro le fenditure della realtà. Sempre più è divenuto infine evidente che non ha senso parlare di un ambiente se non si considera che vi è stato un reciproco interagire dei sistemi viventi: gli organismi abitano un mondo nel cui ambito si sono generati e hanno assunto forma, in una sorta di continua danza delle parti; le loro strutture sono il risultato di una coevoluzione, così come i loro apparati conoscitivi. Divenendo in qualche modo erede di percorsi complessi della storia naturale, la mente umana acquisisce, dopo Darwin,- come si diceva- una dimensione storica, una profondità. Nel modello di psichismo disegnato da Freud colpisce il suo essere quasi puntualmente consequenziale compimento e traduzione psicologica del cuore stesso del darwinismo, la riproposizione di un soggetto non più introdotto nel mondo dall’esterno, (ed in esso incarnatosi e smarritosi) ma progetto interno del divenire naturale. Il che voleva dire - ovviamente - riscoprire uno spessore storico, una diacronia che si fosse ritradotta in una strutturalità quasi stratigrafica: è l’idea, decisiva, del passato che comprende la comprensione del presente, l’idea “archeologica” che sarà tanto applicata alla storia del singolo, quanto all’arduo compito di rinsaldare le origini della vita (e con essa le “leggi” della fisica, della chimica e così via) con lo psichismo dell’uomo moderno. Possiamo così vedere come la mente umana, collocandosi all’intersezione fra bisogno biologico, rispecchiamento dell’ambiente e prospettiva filogenetica cominci ad essere pensata fra fine ‘800 e inizi del ‘900 in una dimensione meno astratta e più storica proprio in relazione agli sviluppi delle scienze naturali. L’idea di un soggetto che si forma all’interno del mondo naturale diviene così possibile come alternativa ad una lunga tradizione impostata sul concetto di una psiche che proviene dall’esterno o le cui origini sono nebulose e non indagabili. Il discorso sulla mente è oggi più che mai aperto, proteso verso un futuro in cui più sofisticate tecniche e metodiche potranno portare nuova luce sui processi neurali e sui qualia che veicolano. Anche se recentemente molti comportamenti che un tempo sarebbero stati visti come il prodotto di un’attività cosciente vengono spiegati con modelli etologici o del tipo computer, nulla impedisce la possibilità di descrizioni in termini di esperienza soggettiva né che esperienze mentali possano essere realmente esperite dagli animali. In definitiva sembra che prescindere da un punto di vista genetico nella comprensione del pensiero e della sua fenomenologia non possa portare a nulla di concreto. Nel dibattito più recente, torna così l’immagine di un diramarsi filogenetico dello psichismo, di uno spettro della consciousness come risultato di infinite rimodulazioni dello stesso fenomeno: "Evolution is littered with paraphyletic convergences: many roads lead to functional Romes (…). The discovery implies various animal taxa exhibiting behaviors we broadly recognize as conscious are, in fact, simply expressing different forms of the same underlying phenomenon.(…). The variety of possibilities, a veritable rainbow suggests minds today be only a small surviving fraction of ancient evolutionary radiations” . Se si abbandona il suolo sicuro della co-evoluzione degli organismi e dei loro apparati sensoriali e rappresentativi e si rinuncia ad una lettura che passi anche attraverso l’analisi di analogie fra menti umane e non umane non restano che visioni poveramente riduzionistiche o congetture metafisiche rispettabili ma estranee allo statuto scientifico. In questo senso Romanes, anche a confronto con quanti (Lloyd Morgan, Loeb, Thorndike) si occuperanno dopo di lui del comportamento animale, resta l’anticipatore di una linea di pensiero particolarmente attenta alla complessità dello psichismo non umano e sicuramente antiriduzionistica che oggi ci appare sempre più in sintonia con la quasi quotidiana riscoperta di una sorprendente ricchezza comportamentale nel mondo animale.
2010
9783700168461
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11369/11648
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