Divieto di contraddirsi e dovere di coerenza non sono concetti espressamente previsti dal linguaggio e dalle norme giuridiche, ma il diritto non scritto li conosce e li applica, o ne presuppone la vigenza, e perciò occuparsi del tema non è un puro esercizio intellettuale. La casistica italiana segnala tre pronunzie interessanti, in cui si avverte come la giurisprudenza eviti di affrontare direttamente la questione, per la mancanza di unitari criteri di riferimento, e ancor più per la cautela e la diffidenza con cui i nostri giudici si avvalgono dei principi generali, inespressi ma immanenti all'ordinamento, o cercano di riempire di concreto contenuto le clausole generali (e il divieto di contraddizione è abitualmente ricondotto alla più ricca e ricorrente tra le 'clausole' del vocabolario normativo, la regola di buona fede). Si tratta dell'azione di disconoscimento della paternità intentata dal marito dopo aver consentito all'inseminazione eterologa della moglie (un'ipotesi ora regolata dal legislatore della procreazione assistita, e con riguardo ad un caso di fecondazione vietata dal sistema), dell'impugnativa del bilancio da parte di un socio di cooperativa che nel consiglio di amministrazione aveva concorso a predisporlo ed a redigere la minuta, infine del ritardato esercizio di un credito risarcitorio nell'ambito di un contratto che era stato eseguito senza contestazioni per più di due anni dall'inadempimento contestato. Sul ricorso ai principi e sull'uso delle clausole generali sono destinati del resto a incidere, e giustificano la scarsa dimestichezza dei giudici, il timore di mettere in pericolo il bene della certezza ed il pluralismo dei valori garantiti o almeno compatibili col sistema. Accade perciò che comportamenti contraddittori siano giudicati a volte leciti ed altre volte contrari a buona fede; dell'oscillazione della giurisprudenza a fronte dei silenzi del legislatore sono testimonianza le sentenze menzionate, la prima orientata a sanzionare la condotta contraddittoria, ma con evidenti difficoltà di motivare che spiegano la posizione di chiusura di altre pronunce. La ricerca ribadisce il pericolo di avvolgersi nel denunciato 'circolo vizioso' per cui «si ritiene inammissibile la contraddizione se lede un affidamento giustificato, mentre l’affidamento appare giustificato se leso da una contraddizione inammissibile»; la via da seguire deve piuttosto muovere dalla convinzione che la natura dell'affidamento, in termini di giustificazione o non, deriva dal modo in cui il sistema tratta quella determinata condotta contraddittoria. In breve, «è il trattamento che il sistema riserva alla contraddizione a determinare il fatto che l'affidamento da essa ingenerato possa o meno ritenersi giustificato, e non il contrario». La conclusione del discorso, con riguardo alla discrezionalità del giudice ed al valore della certezza, ammonisce a non credere che il ricorso a regole rigide assicuri sempre migliori risultati rispetto a regole più aperte, aperte nel senso della pluralità dei parametri da considerare e da soppesare nei singoli casi. A chiusura del libro vengono riordinate le tesi centrali del lavoro: del principio viene ribadita l'utilità nell'applicare la clausola di buona fede e nell'individuare un affidamento giustificato, poiché «la contraddizione rappresenta un dato ragionevolmente oggettivo e facilmente percepibile»; le innegabili connessioni e le integrazioni reciproche lasciano spazio a rimedi come l’exceptio doli o l'abuso del diritto; una casistica ragionevolmente attendibile deve partire dalle relazioni particolarmente qualificate, come si realizzano nelle formazioni sociali e nel contratto, per passare ai soggetti non vincolati da preesistenti e qualificati rapporti come accade ad esempio nella fase prenegoziale e per le restituzioni, e raggiungere infine il territorio delle occasionali relazioni, quelle 'tra passanti' per usare una formula di elementare semplicità. In conclusione, il libro suggerisce dunque suggerisce per un verso di scoprire interessi e valori che sono dietro ciascuna decisione ed ogni orientamento; dall'altro lato di adottare un criterio di scelta che prende atto della difficoltà di definire e descrivere l'affidamento giustificato' e rovescia la impostazione corrente «nel senso che un affidamento è giustificato solo quando il sistema reputi la contraddizione inammissibile». Così si riscatta l'indole meramente orientativa del principio per attribuirgli maggior forza cogente e per sorreggerlo con rigorosi argomenti.

Venire contra factum proprium (divieto di contraddizione e dovere di coerenza nei rapporti tra privati)

ASTONE, FRANCESCO
2006-01-01

Abstract

Divieto di contraddirsi e dovere di coerenza non sono concetti espressamente previsti dal linguaggio e dalle norme giuridiche, ma il diritto non scritto li conosce e li applica, o ne presuppone la vigenza, e perciò occuparsi del tema non è un puro esercizio intellettuale. La casistica italiana segnala tre pronunzie interessanti, in cui si avverte come la giurisprudenza eviti di affrontare direttamente la questione, per la mancanza di unitari criteri di riferimento, e ancor più per la cautela e la diffidenza con cui i nostri giudici si avvalgono dei principi generali, inespressi ma immanenti all'ordinamento, o cercano di riempire di concreto contenuto le clausole generali (e il divieto di contraddizione è abitualmente ricondotto alla più ricca e ricorrente tra le 'clausole' del vocabolario normativo, la regola di buona fede). Si tratta dell'azione di disconoscimento della paternità intentata dal marito dopo aver consentito all'inseminazione eterologa della moglie (un'ipotesi ora regolata dal legislatore della procreazione assistita, e con riguardo ad un caso di fecondazione vietata dal sistema), dell'impugnativa del bilancio da parte di un socio di cooperativa che nel consiglio di amministrazione aveva concorso a predisporlo ed a redigere la minuta, infine del ritardato esercizio di un credito risarcitorio nell'ambito di un contratto che era stato eseguito senza contestazioni per più di due anni dall'inadempimento contestato. Sul ricorso ai principi e sull'uso delle clausole generali sono destinati del resto a incidere, e giustificano la scarsa dimestichezza dei giudici, il timore di mettere in pericolo il bene della certezza ed il pluralismo dei valori garantiti o almeno compatibili col sistema. Accade perciò che comportamenti contraddittori siano giudicati a volte leciti ed altre volte contrari a buona fede; dell'oscillazione della giurisprudenza a fronte dei silenzi del legislatore sono testimonianza le sentenze menzionate, la prima orientata a sanzionare la condotta contraddittoria, ma con evidenti difficoltà di motivare che spiegano la posizione di chiusura di altre pronunce. La ricerca ribadisce il pericolo di avvolgersi nel denunciato 'circolo vizioso' per cui «si ritiene inammissibile la contraddizione se lede un affidamento giustificato, mentre l’affidamento appare giustificato se leso da una contraddizione inammissibile»; la via da seguire deve piuttosto muovere dalla convinzione che la natura dell'affidamento, in termini di giustificazione o non, deriva dal modo in cui il sistema tratta quella determinata condotta contraddittoria. In breve, «è il trattamento che il sistema riserva alla contraddizione a determinare il fatto che l'affidamento da essa ingenerato possa o meno ritenersi giustificato, e non il contrario». La conclusione del discorso, con riguardo alla discrezionalità del giudice ed al valore della certezza, ammonisce a non credere che il ricorso a regole rigide assicuri sempre migliori risultati rispetto a regole più aperte, aperte nel senso della pluralità dei parametri da considerare e da soppesare nei singoli casi. A chiusura del libro vengono riordinate le tesi centrali del lavoro: del principio viene ribadita l'utilità nell'applicare la clausola di buona fede e nell'individuare un affidamento giustificato, poiché «la contraddizione rappresenta un dato ragionevolmente oggettivo e facilmente percepibile»; le innegabili connessioni e le integrazioni reciproche lasciano spazio a rimedi come l’exceptio doli o l'abuso del diritto; una casistica ragionevolmente attendibile deve partire dalle relazioni particolarmente qualificate, come si realizzano nelle formazioni sociali e nel contratto, per passare ai soggetti non vincolati da preesistenti e qualificati rapporti come accade ad esempio nella fase prenegoziale e per le restituzioni, e raggiungere infine il territorio delle occasionali relazioni, quelle 'tra passanti' per usare una formula di elementare semplicità. In conclusione, il libro suggerisce dunque suggerisce per un verso di scoprire interessi e valori che sono dietro ciascuna decisione ed ogni orientamento; dall'altro lato di adottare un criterio di scelta che prende atto della difficoltà di definire e descrivere l'affidamento giustificato' e rovescia la impostazione corrente «nel senso che un affidamento è giustificato solo quando il sistema reputi la contraddizione inammissibile». Così si riscatta l'indole meramente orientativa del principio per attribuirgli maggior forza cogente e per sorreggerlo con rigorosi argomenti.
2006
8824316255
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