Nel volume monografico intitolato “Volvit fluctus cordis. I moti dell’animo nelle Confessioni di Agostino”, in riferimento alla suggestiva immagine del flutto, sono state considerate le scelte linguistiche e formali messe in opera per esprimere il continuo ondeggiamento dell’animo umano, che agitato dalle passioni si volge ora da una parte ora dall’altra. Nell’introduzione è esaminata la dottrina agostiniana delle emozioni, al fine di individuare i presupposti e i rilevanti risvolti delle scelte linguistiche. I fondamenti antropologici si trovano già nel trattato su L’immortalità dell’anima, dove è rappresentata la condizione dell’anima che pur soggetta a continui cambiamenti non cessa di essere se stessa. La riflessione filosofica si precisa in riferimento alle puntuali distinzioni lessicali del Trattato sul Vangelo di Giovanni, che richiama l’analitica classificazione stoica dei moti dell’animo. Un uso proprio del lessico elaborato dagli Stoici comportava innumerevoli difficoltà nell’interpretazione della Sacra Scrittura e poneva anche questioni di ordine morale e teologico: in particolare la distinzione fra le ‘buone emozioni’ del sapiente e le ‘passioni’ dello stolto risultava troppo vincolante e poco corrispondente ai principi fondamentali dell’etica cristiana; inoltre nella Sacra Scrittura l’attribuzione dei sentimenti a Dio e perfino delle passioni al Cristo richiedeva un’attenta e approfondita spiegazione. Queste sono alcune delle questioni affrontate nel quattordicesimo libro della Città di Dio, nel quale si trova un’esposizione della dottrina delle emozioni: Agostino rappresenta in modo estremamente conciso un quadro chiaro e completo dei moti dell’animo, richiamando la terminologia e la classificazione elaborata dagli Stoici per verificare se è impiegata in modo proprio nei principali auctores della tradizione latina (Cicerone, Terenzio, Virgilio) e nella consuetudo sermonis e poi confrontarla con il lessico della Sacra Scrittura. Con considerazioni e precisazioni linguistiche, l’Ipponense opera alcune significative variazioni sostituendo dolor e aegritudo – che sono per lo più riferiti al corpo – con tristitia, che invece può essere attribuita soltanto all’anima, ma soprattutto ridefinendo i fondamenti del lessico degli affectus, fino a quel momento articolato intorno alla distinzione fra razionalità e irrazionalità, intorno ai nuovi principi del bonus o malus amor, della recta o perversa voluntas. All‘amore in definitiva si riducono tutte le forme dei sentimenti classificate dagli Stoici e attestate nella Sacra Scrittura. La distinzione di gradi e forme è il fondamento della fenomenologia delle emozioni che è possibile riconoscere nelle Confessioni e che è stata esaminata nei capitoli centrali del saggio; per i principali moti dell’animo si individuano le differenti forme già distinte nella tradizione filosofica e nella consuetudine della lingua: diversi sono il desiderio e la concupiscenza e la libidine, la letizia e la gioia, la paura e il timore, il dolore e la tristezza. Queste emozioni non sono solo distinte l’una dall’altra, ma ciascuna di esse è diversa nel tempo per effetto della crescita e soprattutto della conversione: differenti sono il desiderio la letizia il timore la tristezza nella fanciullezza nell’adolescenza nella giovinezza; diverso è inoltre ciascuno di questi sentimenti prima e dopo la conversione, quando i moti dell’animo allontanano e avvicinano a Dio. Le forme e i gradi si articolano naturalmente in una tipologia coerente nell’insieme, anche se costituita a partire da fonti eterogenee, quali i testi classici e la Sacra Scrittura. Gli elementi della tradizione classica assumono un significato più chiaro alla luce di quelli desunti dall’esegesi scritturistica: nel racconto dell’adolescenza si trovano numerosi riferimenti a Cicerone e agli altri autori latini per esprimere l’alto valore riconosciuto a sentimenti come l’amicizia e l’aspirazione alla sapienza; richiami a Plotino si individuano nella narrazione della giovinezza per indicare i sentimenti dell’amore e del desiderio suscitati dalla visione intellettuale dell’essere per se stesso. Ma soltanto la potenza delle parole di Paolo può evocare la lotta interiore del momento della conversione, e solo con citazioni dei Salmi è possibile rappresentare gli intimi rivolgimenti dell’animo nel periodo di ritiro trascorso a Cassiciaco. Infine soltanto l’esegesi di Genesi, nel quale si trova l’originario piano di Dio sull’intera creazione e sull’uomo, rivela l’autentico e più profondo senso della vita e quindi degli stessi sentimenti. La rappresentazione dell’interiorità e della conversione pone rilevanti difficoltà espressive, poiché richiede un lessico con caratteristiche contraddittorie: le medesime parole devono risultare sempre diverse – rinnovate nel significato – per narrare la discontinuità nella continuità, sempre perspicue pur esprimendo ora l’oscurità ora la chiarezza, sempre vivide e reali raffigurando ora il corporeo ora l’incorporeo. Per rappresentare il flusso vitale che lega passato presente futuro in una storia, è necessario far ricorso al linguaggio analogico, come indicato nell’ultimo capitolo del volume: l’analogia, categoria conoscitiva e interpretativa fondamentale nel pensiero agostiniano, è anche imprescindibile mezzo espressivo per descrivere la somiglianza nella diversità. Diventando analogica la lingua rappresenta la dinamica interna all’atto vitale e la parola diviene immagine che riproduce l’esperienza. Per i motivi ora richiamati hanno una fondamentale importanza nelle Confessioni le numerose e complesse metafore. Le immagini hanno un ruolo decisivo nella narrazione degli anni dell’adolescenza, un’inquieta stagione nella quale il turbinio delle esperienze affettive e passionali è la cornice in cui si manifesta la prima consapevolezza dello spirito.

Volvit fluctus cordis. I moti dell’animo nelle Confessioni di Agostino

LOMIENTO, VINCENZO
2009-01-01

Abstract

Nel volume monografico intitolato “Volvit fluctus cordis. I moti dell’animo nelle Confessioni di Agostino”, in riferimento alla suggestiva immagine del flutto, sono state considerate le scelte linguistiche e formali messe in opera per esprimere il continuo ondeggiamento dell’animo umano, che agitato dalle passioni si volge ora da una parte ora dall’altra. Nell’introduzione è esaminata la dottrina agostiniana delle emozioni, al fine di individuare i presupposti e i rilevanti risvolti delle scelte linguistiche. I fondamenti antropologici si trovano già nel trattato su L’immortalità dell’anima, dove è rappresentata la condizione dell’anima che pur soggetta a continui cambiamenti non cessa di essere se stessa. La riflessione filosofica si precisa in riferimento alle puntuali distinzioni lessicali del Trattato sul Vangelo di Giovanni, che richiama l’analitica classificazione stoica dei moti dell’animo. Un uso proprio del lessico elaborato dagli Stoici comportava innumerevoli difficoltà nell’interpretazione della Sacra Scrittura e poneva anche questioni di ordine morale e teologico: in particolare la distinzione fra le ‘buone emozioni’ del sapiente e le ‘passioni’ dello stolto risultava troppo vincolante e poco corrispondente ai principi fondamentali dell’etica cristiana; inoltre nella Sacra Scrittura l’attribuzione dei sentimenti a Dio e perfino delle passioni al Cristo richiedeva un’attenta e approfondita spiegazione. Queste sono alcune delle questioni affrontate nel quattordicesimo libro della Città di Dio, nel quale si trova un’esposizione della dottrina delle emozioni: Agostino rappresenta in modo estremamente conciso un quadro chiaro e completo dei moti dell’animo, richiamando la terminologia e la classificazione elaborata dagli Stoici per verificare se è impiegata in modo proprio nei principali auctores della tradizione latina (Cicerone, Terenzio, Virgilio) e nella consuetudo sermonis e poi confrontarla con il lessico della Sacra Scrittura. Con considerazioni e precisazioni linguistiche, l’Ipponense opera alcune significative variazioni sostituendo dolor e aegritudo – che sono per lo più riferiti al corpo – con tristitia, che invece può essere attribuita soltanto all’anima, ma soprattutto ridefinendo i fondamenti del lessico degli affectus, fino a quel momento articolato intorno alla distinzione fra razionalità e irrazionalità, intorno ai nuovi principi del bonus o malus amor, della recta o perversa voluntas. All‘amore in definitiva si riducono tutte le forme dei sentimenti classificate dagli Stoici e attestate nella Sacra Scrittura. La distinzione di gradi e forme è il fondamento della fenomenologia delle emozioni che è possibile riconoscere nelle Confessioni e che è stata esaminata nei capitoli centrali del saggio; per i principali moti dell’animo si individuano le differenti forme già distinte nella tradizione filosofica e nella consuetudine della lingua: diversi sono il desiderio e la concupiscenza e la libidine, la letizia e la gioia, la paura e il timore, il dolore e la tristezza. Queste emozioni non sono solo distinte l’una dall’altra, ma ciascuna di esse è diversa nel tempo per effetto della crescita e soprattutto della conversione: differenti sono il desiderio la letizia il timore la tristezza nella fanciullezza nell’adolescenza nella giovinezza; diverso è inoltre ciascuno di questi sentimenti prima e dopo la conversione, quando i moti dell’animo allontanano e avvicinano a Dio. Le forme e i gradi si articolano naturalmente in una tipologia coerente nell’insieme, anche se costituita a partire da fonti eterogenee, quali i testi classici e la Sacra Scrittura. Gli elementi della tradizione classica assumono un significato più chiaro alla luce di quelli desunti dall’esegesi scritturistica: nel racconto dell’adolescenza si trovano numerosi riferimenti a Cicerone e agli altri autori latini per esprimere l’alto valore riconosciuto a sentimenti come l’amicizia e l’aspirazione alla sapienza; richiami a Plotino si individuano nella narrazione della giovinezza per indicare i sentimenti dell’amore e del desiderio suscitati dalla visione intellettuale dell’essere per se stesso. Ma soltanto la potenza delle parole di Paolo può evocare la lotta interiore del momento della conversione, e solo con citazioni dei Salmi è possibile rappresentare gli intimi rivolgimenti dell’animo nel periodo di ritiro trascorso a Cassiciaco. Infine soltanto l’esegesi di Genesi, nel quale si trova l’originario piano di Dio sull’intera creazione e sull’uomo, rivela l’autentico e più profondo senso della vita e quindi degli stessi sentimenti. La rappresentazione dell’interiorità e della conversione pone rilevanti difficoltà espressive, poiché richiede un lessico con caratteristiche contraddittorie: le medesime parole devono risultare sempre diverse – rinnovate nel significato – per narrare la discontinuità nella continuità, sempre perspicue pur esprimendo ora l’oscurità ora la chiarezza, sempre vivide e reali raffigurando ora il corporeo ora l’incorporeo. Per rappresentare il flusso vitale che lega passato presente futuro in una storia, è necessario far ricorso al linguaggio analogico, come indicato nell’ultimo capitolo del volume: l’analogia, categoria conoscitiva e interpretativa fondamentale nel pensiero agostiniano, è anche imprescindibile mezzo espressivo per descrivere la somiglianza nella diversità. Diventando analogica la lingua rappresenta la dinamica interna all’atto vitale e la parola diviene immagine che riproduce l’esperienza. Per i motivi ora richiamati hanno una fondamentale importanza nelle Confessioni le numerose e complesse metafore. Le immagini hanno un ruolo decisivo nella narrazione degli anni dell’adolescenza, un’inquieta stagione nella quale il turbinio delle esperienze affettive e passionali è la cornice in cui si manifesta la prima consapevolezza dello spirito.
2009
9788872285886
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11369/9157
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