La ricerca è dedicata alla cd. cognitio de libertate fideicommissa del primo e secondo sec. d.C., il procedimento relativo alla mancata manomissione dello schiavo a favore del quale fosse stata disposta dal testatore la libertà mediante fedecommesso. Va detto subito che l’indagine di alcuni degli aspetti strutturali della cognitio non si è dimostrata fine a se stessa, ma ha permesso delle riflessioni sulla dialettica servus-dominus di quel periodo. Le soluzioni introdotte dal Senato e dalle cancellerie imperiali, nonché quelle elaborate dalla giurisprudenza, sono spesso apparse il riflesso di sottese problematiche economiche e sociali. In particolare, il contrappunto libertas-dominium sembra condizionare il magmatico e articolato percorso di apertura alla schiavo nel giudizio di riconoscimento del suo interesse all’ottenimento della libertà. È noto come l’intangibilità del dominium civilistico abbia rappresentato un valore difficilmente discutibile nella società romana di quel periodo. E rispetto a questo principio, il riconoscimento di un giudizio portato da un servo nei confronti del proprio padrone si proponeva come fortemente innovativo. La prima parte della ricerca ha riguardato il ‘ruolo’ del servo nella cognitio, la sua incidenza in ordine alla costituzione e prosecuzione del giudizio. Il ‘buio’ delle fonti relativo al primo secolo d.C. può essere indizio dell’influenza degli assetti socio-economici tardo repubblicani, ancora ‘in voga’ nel primo Principato, e connotati dal modello ideologico-culturale della salvaguardia della proprietà sullo schiavo. Il probabile ‘vuoto di disciplina’ nel primo secolo d.C. avrebbe determinato la concentrazione, nella figura dell’organo giudicante, della eventuale funzione propulsiva ed innovativa, anche in relazione all’avvio della procedura su impulso servile. Su un quadro fortemente confuso e ‘in movimento’ come quello ipotizzato, si innesta la produzione normativa del Senato e delle cancellerie imperiali a partire dall’avvio del secolo successivo, esaminata nel secondo capitolo. Nonostante ciò, la posizione giudiziale del servo continua ad essere tralasciata. Il dato si può percepire sia nell’atteggiamento dei giuristi sia negli interventi di tipo normativo in tema di manomissione fedecommissaria. Dal quadro risultante nelle fonti, l’impulso servile sembra limitarsi ancora ad una richiesta querimoniosa. Il superamento della ‘resistenza’ delle élites culturali della società romana di quel tempo, restie alla raffigurazione dello schiavo quale ‘attore’ della cognitio, si avrà nella seconda metà del secondo secolo d.C., con il probabile apporto decisivo di Marcello. Da allora in avanti, si descriverà espressamente la titolarità della domanda nelle forme della petitio fideicommissae libertatis. I giuristi severiani, il cui pensiero è stato studiato nel terzo capitolo, faranno poi ricorso stabilmente alla nuova categoria di petitio, sebbene con diverse sensibilità e sotto l’influenza talvolta ancora condizionante degli assetti socio-economici tradizionali. Il contrappunto tra l’aspettativa alla libertà e la difesa del dominium civilistico è il dato che sembra emergere anche nelle testimonianze relative alla valenza ed agli effetti del provvedimento conclusivo dell’organo giudicante, il profilo studiato nella seconda parte della ricerca. Non sembra riscontrarsi, nelle fonti a disposizione, un provvedimento che renda, ‘costituisca’ libero lo schiavo. Al contrario, la pronuntiatio si sarebbe limitata all’accertamento del vincolo dell’onerato all’affrancazione. La manumissio, infatti, doveva realizzarsi necessariamente. O in via fittizia, nel caso dell’assenza dell’onerato dal giudizio e con soluzioni diverse in relazione alle differenti situazioni, evidenziate nel quinto e sesto capitolo, o per mano del rogatus presente che, in caso di inerzia, era sollecitato dal magistrato mediante un iussus. In particolare, è risultato interessante il ricorso, sempre più diffuso, al meccanismo della finzione di manomissione, a partire dalla soluzione introdotta con il senatoconsulto Rubriano. Sul piano formale, il richiamo alla ficta manumissio consentiva di mantenere inviolato il dominium civilistico. Il percorso delineato dalle fonti ha evidenziato le difficoltà connesse con l’affermazione della libertas sul dominium. Il dato ha consentito, nelle conclusioni del lavoro, una riflessione più generale riguardo alla questione del cd. favor libertatis.

La cognitio sulle libertates fideicommissae

SILLA, FRANCESCO MARIA
2008-01-01

Abstract

La ricerca è dedicata alla cd. cognitio de libertate fideicommissa del primo e secondo sec. d.C., il procedimento relativo alla mancata manomissione dello schiavo a favore del quale fosse stata disposta dal testatore la libertà mediante fedecommesso. Va detto subito che l’indagine di alcuni degli aspetti strutturali della cognitio non si è dimostrata fine a se stessa, ma ha permesso delle riflessioni sulla dialettica servus-dominus di quel periodo. Le soluzioni introdotte dal Senato e dalle cancellerie imperiali, nonché quelle elaborate dalla giurisprudenza, sono spesso apparse il riflesso di sottese problematiche economiche e sociali. In particolare, il contrappunto libertas-dominium sembra condizionare il magmatico e articolato percorso di apertura alla schiavo nel giudizio di riconoscimento del suo interesse all’ottenimento della libertà. È noto come l’intangibilità del dominium civilistico abbia rappresentato un valore difficilmente discutibile nella società romana di quel periodo. E rispetto a questo principio, il riconoscimento di un giudizio portato da un servo nei confronti del proprio padrone si proponeva come fortemente innovativo. La prima parte della ricerca ha riguardato il ‘ruolo’ del servo nella cognitio, la sua incidenza in ordine alla costituzione e prosecuzione del giudizio. Il ‘buio’ delle fonti relativo al primo secolo d.C. può essere indizio dell’influenza degli assetti socio-economici tardo repubblicani, ancora ‘in voga’ nel primo Principato, e connotati dal modello ideologico-culturale della salvaguardia della proprietà sullo schiavo. Il probabile ‘vuoto di disciplina’ nel primo secolo d.C. avrebbe determinato la concentrazione, nella figura dell’organo giudicante, della eventuale funzione propulsiva ed innovativa, anche in relazione all’avvio della procedura su impulso servile. Su un quadro fortemente confuso e ‘in movimento’ come quello ipotizzato, si innesta la produzione normativa del Senato e delle cancellerie imperiali a partire dall’avvio del secolo successivo, esaminata nel secondo capitolo. Nonostante ciò, la posizione giudiziale del servo continua ad essere tralasciata. Il dato si può percepire sia nell’atteggiamento dei giuristi sia negli interventi di tipo normativo in tema di manomissione fedecommissaria. Dal quadro risultante nelle fonti, l’impulso servile sembra limitarsi ancora ad una richiesta querimoniosa. Il superamento della ‘resistenza’ delle élites culturali della società romana di quel tempo, restie alla raffigurazione dello schiavo quale ‘attore’ della cognitio, si avrà nella seconda metà del secondo secolo d.C., con il probabile apporto decisivo di Marcello. Da allora in avanti, si descriverà espressamente la titolarità della domanda nelle forme della petitio fideicommissae libertatis. I giuristi severiani, il cui pensiero è stato studiato nel terzo capitolo, faranno poi ricorso stabilmente alla nuova categoria di petitio, sebbene con diverse sensibilità e sotto l’influenza talvolta ancora condizionante degli assetti socio-economici tradizionali. Il contrappunto tra l’aspettativa alla libertà e la difesa del dominium civilistico è il dato che sembra emergere anche nelle testimonianze relative alla valenza ed agli effetti del provvedimento conclusivo dell’organo giudicante, il profilo studiato nella seconda parte della ricerca. Non sembra riscontrarsi, nelle fonti a disposizione, un provvedimento che renda, ‘costituisca’ libero lo schiavo. Al contrario, la pronuntiatio si sarebbe limitata all’accertamento del vincolo dell’onerato all’affrancazione. La manumissio, infatti, doveva realizzarsi necessariamente. O in via fittizia, nel caso dell’assenza dell’onerato dal giudizio e con soluzioni diverse in relazione alle differenti situazioni, evidenziate nel quinto e sesto capitolo, o per mano del rogatus presente che, in caso di inerzia, era sollecitato dal magistrato mediante un iussus. In particolare, è risultato interessante il ricorso, sempre più diffuso, al meccanismo della finzione di manomissione, a partire dalla soluzione introdotta con il senatoconsulto Rubriano. Sul piano formale, il richiamo alla ficta manumissio consentiva di mantenere inviolato il dominium civilistico. Il percorso delineato dalle fonti ha evidenziato le difficoltà connesse con l’affermazione della libertas sul dominium. Il dato ha consentito, nelle conclusioni del lavoro, una riflessione più generale riguardo alla questione del cd. favor libertatis.
2008
9788813292751
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11369/9062
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