Il sito di Campo della Fiera, situato a Sud-Ovest della rupe di Orvieto, è oggetto di indagini sistematiche condotte da più di un ventennio dalle Università di Perugia e Foggia e dall’Associazione Campo della Fiera, con il supporto finanziario della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto. Le ricerche sono dirette dalla professoressa Simonetta Stopponi e dal 2010 si è affiancata nella ricerca l’équipe dell’Università di Foggia, coordinata dal prof. Danilo Leone. Alle campagne di scavo, avviate nel 2000, partecipano centinaia di studenti e archeologi provenienti da università italiane e straniere. Gli scavi hanno permesso di riconoscere in questo centro il celebre santuario federale degli Etruschi, il Fanum Voltumnae, invano cercato sin dal XV sec., e un complesso palinsesto di strutture e di fasi dal VI sec. a.C. al XIV d.C. Posto all’incrocio di importanti assi viari verso Chiusi, l’Etruria costiera e la Valtiberina, Campo della Fiera è caratterizzato da una vasta pianura idonea allo svolgimento delle numerose attività che si svolgevano al Fanum. Anche le fonti medievali, del resto, menzionano il sito come campus fori o campus nundinarum: un’area la cui vocazione commerciale è destinata a permanere almeno fino agli inizi del XX sec. Nel corso degli ultimi anni le indagini concentrate nel settore nord-orientale del sito, nell’ampia area sottostante il complesso di S. Pietro in Vetera, hanno consentito di approfondire lo studio dell’organizzazione spaziale del sito e la sua evoluzione nel corso di circa 15 secoli, dal I sec. a.C. fino alle fondazioni medievali del convento e alle successive installazioni di edifici in legno riconducibili alle manifestazioni fieristiche che si svolgevano nelle zone limitrofe all’edificio di culto. Gli scavi hanno riportato alla luce una grande domus costruita tra la fine del I sec. a.C. e il I sec. d.C. e significativamente collocata a ridosso del santuario. La lussuosa abitazione era dotata di due impianti termali, provvisti di tutti i caratteristici ambienti, dallo spogliatoio al caldarium. Tra la seconda metà/fine VI e gli inizi del VII sec. alle strutture della domus si sovrappone un oratorio cristiano. Con questo nuovo luogo di culto, destinato alla comunità che viveva nei dintorni, è possibile mettere in relazione i nuclei di sepolture che a partire dal VII sec. d.C. popoleranno l’ampia area circostante almeno fino all’XI sec. Nella stessa area, sul finire del XII o agli inizi del XIII secolo, fu inaugurato un cantiere per l’edificazione di una nuova struttura ecclesiastica: si tratta della chiesa di San Pietro in Vetera, di cui si era perduta l’esatta ubicazione. La chiesa basso medievale, nota già in un documento del 1211, fu concessa ai frati Minori nel 1226, e il piviere omonimo compare nel Catasto della Città e del Contado del 1292. Accanto alla chiesa è presente un’aula riconducibile a uno dei corpi di fabbrica del monastero francescano, verosimilmente il refettorio/magazzino per lo stoccaggio dei prodotti agricoli, più volte citato dalle fonti medievali di XIII sec. Sebbene la documentazione pervenuta non ne faccia mai cenno, non va trascurata una funzione ospitaliera, quale centro di ricovero per viandanti e pellegrini. sia pure in una fase più tarda, soprattutto in concomitanza con la diffusione dell’epidemia di peste della metà del Trecento. Nella seconda metà del XIV-XV sec. le strutture del convento furono progressivamente abbandonate e spogliate: il grande edificio rettangolare fu demolito e i materiali costruttivi sistematicamente asportati fino alle fondazioni, così da lasciare accanto alla chiesa un ampio spazio aperto, funzionale ad attività verosimilmente mercatali. Nel corso della campagna di scavi che si svolge annualmente, è stato individuato un pozzo, profondo 10 metri, che custodiva circa trecento brocche in perfetto stato di conservazione, utilizzate tra il XIII e il XVI secolo. La cisterna, che ancora oggi raccoglie l’acqua proveniente dalla falda sotterranea, rappresentava la riserva idrica del convento medievale di San Pietro in Vetere e fu utilizzata anche dopo l’abbandono del complesso ecclesiastico, nel corso dei mercati stagionali che, come ricordano le fonti, si svolgevano accanto alla chiesa nel XV e XVI secolo. I recipienti, in corso di studio da parte del prof. Danilo Leone e del dott. Vincenzo Valenzano dell’Università di Foggia, consentono di arricchire la storia delle produzioni ceramiche di un comprensorio territoriale molto ampio dal Medioevo fino all’età moderna. “L’eccezionalità del rinvenimento, sostengono gli archeologi, consiste non solo nello straordinario stato di conservazione dei reperti, già in fase di restauro, che serbano ancora le decorazioni e i colori intensi degli smalti, ma anche perché si tratterebbe di uno dei pochi contesti ceramici di età medievale e moderna rinvenuti in un complesso extraurbano del territorio orvietano, indagati secondo le moderne tecniche dell’archeologia stratigrafica”. Tra i ritrovamenti in particolare spicca la fiaschetta di un pellegrino della metà del Duecento che, raggiunto il convento, deve aver perso il contenitore nel pozzo nel tentativo di riempirlo d’acqua. Numerose sono le maioliche di età rinascimentale, provenienti dalle principali botteghe umbre e altolaziali, e vendute dai mercanti che qui accorrevano stagionalmente per partecipare alla fiera. I reperti in metallo tra cui roncole, accette, falcetti e rasoi per la concia delle pelli ci raccontano la vita quotidiana del convento e della comunità dei contadini della pieve.

Campo della Fiera, Orvieto

Danilo Leone
2023-01-01

Abstract

Il sito di Campo della Fiera, situato a Sud-Ovest della rupe di Orvieto, è oggetto di indagini sistematiche condotte da più di un ventennio dalle Università di Perugia e Foggia e dall’Associazione Campo della Fiera, con il supporto finanziario della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto. Le ricerche sono dirette dalla professoressa Simonetta Stopponi e dal 2010 si è affiancata nella ricerca l’équipe dell’Università di Foggia, coordinata dal prof. Danilo Leone. Alle campagne di scavo, avviate nel 2000, partecipano centinaia di studenti e archeologi provenienti da università italiane e straniere. Gli scavi hanno permesso di riconoscere in questo centro il celebre santuario federale degli Etruschi, il Fanum Voltumnae, invano cercato sin dal XV sec., e un complesso palinsesto di strutture e di fasi dal VI sec. a.C. al XIV d.C. Posto all’incrocio di importanti assi viari verso Chiusi, l’Etruria costiera e la Valtiberina, Campo della Fiera è caratterizzato da una vasta pianura idonea allo svolgimento delle numerose attività che si svolgevano al Fanum. Anche le fonti medievali, del resto, menzionano il sito come campus fori o campus nundinarum: un’area la cui vocazione commerciale è destinata a permanere almeno fino agli inizi del XX sec. Nel corso degli ultimi anni le indagini concentrate nel settore nord-orientale del sito, nell’ampia area sottostante il complesso di S. Pietro in Vetera, hanno consentito di approfondire lo studio dell’organizzazione spaziale del sito e la sua evoluzione nel corso di circa 15 secoli, dal I sec. a.C. fino alle fondazioni medievali del convento e alle successive installazioni di edifici in legno riconducibili alle manifestazioni fieristiche che si svolgevano nelle zone limitrofe all’edificio di culto. Gli scavi hanno riportato alla luce una grande domus costruita tra la fine del I sec. a.C. e il I sec. d.C. e significativamente collocata a ridosso del santuario. La lussuosa abitazione era dotata di due impianti termali, provvisti di tutti i caratteristici ambienti, dallo spogliatoio al caldarium. Tra la seconda metà/fine VI e gli inizi del VII sec. alle strutture della domus si sovrappone un oratorio cristiano. Con questo nuovo luogo di culto, destinato alla comunità che viveva nei dintorni, è possibile mettere in relazione i nuclei di sepolture che a partire dal VII sec. d.C. popoleranno l’ampia area circostante almeno fino all’XI sec. Nella stessa area, sul finire del XII o agli inizi del XIII secolo, fu inaugurato un cantiere per l’edificazione di una nuova struttura ecclesiastica: si tratta della chiesa di San Pietro in Vetera, di cui si era perduta l’esatta ubicazione. La chiesa basso medievale, nota già in un documento del 1211, fu concessa ai frati Minori nel 1226, e il piviere omonimo compare nel Catasto della Città e del Contado del 1292. Accanto alla chiesa è presente un’aula riconducibile a uno dei corpi di fabbrica del monastero francescano, verosimilmente il refettorio/magazzino per lo stoccaggio dei prodotti agricoli, più volte citato dalle fonti medievali di XIII sec. Sebbene la documentazione pervenuta non ne faccia mai cenno, non va trascurata una funzione ospitaliera, quale centro di ricovero per viandanti e pellegrini. sia pure in una fase più tarda, soprattutto in concomitanza con la diffusione dell’epidemia di peste della metà del Trecento. Nella seconda metà del XIV-XV sec. le strutture del convento furono progressivamente abbandonate e spogliate: il grande edificio rettangolare fu demolito e i materiali costruttivi sistematicamente asportati fino alle fondazioni, così da lasciare accanto alla chiesa un ampio spazio aperto, funzionale ad attività verosimilmente mercatali. Nel corso della campagna di scavi che si svolge annualmente, è stato individuato un pozzo, profondo 10 metri, che custodiva circa trecento brocche in perfetto stato di conservazione, utilizzate tra il XIII e il XVI secolo. La cisterna, che ancora oggi raccoglie l’acqua proveniente dalla falda sotterranea, rappresentava la riserva idrica del convento medievale di San Pietro in Vetere e fu utilizzata anche dopo l’abbandono del complesso ecclesiastico, nel corso dei mercati stagionali che, come ricordano le fonti, si svolgevano accanto alla chiesa nel XV e XVI secolo. I recipienti, in corso di studio da parte del prof. Danilo Leone e del dott. Vincenzo Valenzano dell’Università di Foggia, consentono di arricchire la storia delle produzioni ceramiche di un comprensorio territoriale molto ampio dal Medioevo fino all’età moderna. “L’eccezionalità del rinvenimento, sostengono gli archeologi, consiste non solo nello straordinario stato di conservazione dei reperti, già in fase di restauro, che serbano ancora le decorazioni e i colori intensi degli smalti, ma anche perché si tratterebbe di uno dei pochi contesti ceramici di età medievale e moderna rinvenuti in un complesso extraurbano del territorio orvietano, indagati secondo le moderne tecniche dell’archeologia stratigrafica”. Tra i ritrovamenti in particolare spicca la fiaschetta di un pellegrino della metà del Duecento che, raggiunto il convento, deve aver perso il contenitore nel pozzo nel tentativo di riempirlo d’acqua. Numerose sono le maioliche di età rinascimentale, provenienti dalle principali botteghe umbre e altolaziali, e vendute dai mercanti che qui accorrevano stagionalmente per partecipare alla fiera. I reperti in metallo tra cui roncole, accette, falcetti e rasoi per la concia delle pelli ci raccontano la vita quotidiana del convento e della comunità dei contadini della pieve.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11369/469792
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