Questo ampio saggio introduttivo all’edizione italiana di The Oracles of the Law, opus magnum del grande giurista e storico di Harvard John Philip Dawson (1902-1986), si propone innanzitutto di evidenziare alcuni aspetti critici dell’evoluzione storica delle relazioni tra potere giudiziario e potere politico in Europa dall’Età romana fin quasi ai nostri giorni. Si tratta di una vicenda cruciale ai fini di una più completa e approfondita comprensione del fenomeno della formazione e dell’affermazione dello Stato e della statualità in Occidente. Tra gli aspetti che il saggio privilegia e sottopone all’attenzione degli studiosi italiani – illustrandone i presupposti teoretici – vi è il metodo comparativo, con i vantaggi che esso comporta sul piano dell’efficacia e dell’accuratezza di una ricostruzione storiografica che tenda alla spiegazione dei fenomeni. La comparazione esclude innanzitutto dall’analisi storica l’esaltazione acritica, la celebrazione o l’apologia perché si fonda su presupposti metodologici di carattere empirico, mai aprioristici o estranei ai campi e agli oggetti osservati. Adottando questo atteggiamento mentale, che si qualifica critico ab initio, l’interprete può individuare i punti di contatto e le similitudini tra diverse esperienze storiche in una prospettiva di lungo periodo e quindi capire il perché degli esiti differenti. Si pone così in limine la distinzione tra il piano dei fatti di natura sociale, politica, giuridica, istituzionale, economica e così via, e il piano degl’ideali che permeano le mentalità. Seguendo la «logica della scoperta scientifica», l’interprete opera quindi una distinzione tra il piano fenomenologico e la sfera assiologica per prevenire le distorsioni causate dal loro sovrapporsi e confondersi. Il risultato è la “diagnosi critica” dei problemi del presente, presupposto utile alla formulazione di progetti che contribuiscano a mettere in atto le soluzioni. Con riferimento al contesto italiano, la comparazione eviterebbe il ripiegamento sul “particulare” e aprirebbe la strada al confronto con altre esperienze e alla circolazione delle idee, dei metodi e dei lavori storiografici su un piano non meramente verbale, ma effettivo. Si tratta di un metodo strettamente collegato all’influenza della filosofia di John Dewey sul pensiero americano e sulla visione dawsoniana. In particolare, si sottolinea un paradossale contrasto tra una tendenza formalistica (di natura ideal-positivistica) e una realistica (di natura empirica), entrambe insite nel pragmatismo giuridico americano, che emerge a proposito della necessità di costruire dei sistemi di diritto giurisprudenziale a partire dalle decisioni dei giudici. L’elemento chiave di questi sistemi, sia oggi sia in passato, è la motivazione dei giudizi, non sempre espressa, com’è noto. Seguendo l’evoluzione di questa prassi, divenuta poi obbligatoria quasi ovunque, e che caratterizza e distingue gli atti del potere giudiziario da quelli del legislativo e dell’esecutivo, è possibile comprendere i problemi dell’attività giurisdizionale e metterli in relazione alle più ampie questioni dell’ordine socio-politico e della sua legittimazione, specialmente a partire dalla svolta critica operata nel campo della conoscenza da Michel de Montaigne e da Francis Bacon, i quali cominciarono a utilizzare l’essai come metodo d’indagine per demolire le certezze universali ereditate dal Medioevo. Il saggio inoltre mette a fuoco le origini del divario che per molto tempo ha caratterizzato e per certi versi ancora separa la storiografia giuridica e politico-istituzionale italiana da quella anglo-francese, determinatosi tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo a causa dell’impermeabilità della prima agl’influssi del metodo delle scienze sociali, e che soltanto in tempi recentissimi s’inizia a analizzare e discutere.

Giurisdizione, legislazione, dottrina: John Philip Dawson e la storia del case law in Europa

Giurato, Rocco
2014-01-01

Abstract

Questo ampio saggio introduttivo all’edizione italiana di The Oracles of the Law, opus magnum del grande giurista e storico di Harvard John Philip Dawson (1902-1986), si propone innanzitutto di evidenziare alcuni aspetti critici dell’evoluzione storica delle relazioni tra potere giudiziario e potere politico in Europa dall’Età romana fin quasi ai nostri giorni. Si tratta di una vicenda cruciale ai fini di una più completa e approfondita comprensione del fenomeno della formazione e dell’affermazione dello Stato e della statualità in Occidente. Tra gli aspetti che il saggio privilegia e sottopone all’attenzione degli studiosi italiani – illustrandone i presupposti teoretici – vi è il metodo comparativo, con i vantaggi che esso comporta sul piano dell’efficacia e dell’accuratezza di una ricostruzione storiografica che tenda alla spiegazione dei fenomeni. La comparazione esclude innanzitutto dall’analisi storica l’esaltazione acritica, la celebrazione o l’apologia perché si fonda su presupposti metodologici di carattere empirico, mai aprioristici o estranei ai campi e agli oggetti osservati. Adottando questo atteggiamento mentale, che si qualifica critico ab initio, l’interprete può individuare i punti di contatto e le similitudini tra diverse esperienze storiche in una prospettiva di lungo periodo e quindi capire il perché degli esiti differenti. Si pone così in limine la distinzione tra il piano dei fatti di natura sociale, politica, giuridica, istituzionale, economica e così via, e il piano degl’ideali che permeano le mentalità. Seguendo la «logica della scoperta scientifica», l’interprete opera quindi una distinzione tra il piano fenomenologico e la sfera assiologica per prevenire le distorsioni causate dal loro sovrapporsi e confondersi. Il risultato è la “diagnosi critica” dei problemi del presente, presupposto utile alla formulazione di progetti che contribuiscano a mettere in atto le soluzioni. Con riferimento al contesto italiano, la comparazione eviterebbe il ripiegamento sul “particulare” e aprirebbe la strada al confronto con altre esperienze e alla circolazione delle idee, dei metodi e dei lavori storiografici su un piano non meramente verbale, ma effettivo. Si tratta di un metodo strettamente collegato all’influenza della filosofia di John Dewey sul pensiero americano e sulla visione dawsoniana. In particolare, si sottolinea un paradossale contrasto tra una tendenza formalistica (di natura ideal-positivistica) e una realistica (di natura empirica), entrambe insite nel pragmatismo giuridico americano, che emerge a proposito della necessità di costruire dei sistemi di diritto giurisprudenziale a partire dalle decisioni dei giudici. L’elemento chiave di questi sistemi, sia oggi sia in passato, è la motivazione dei giudizi, non sempre espressa, com’è noto. Seguendo l’evoluzione di questa prassi, divenuta poi obbligatoria quasi ovunque, e che caratterizza e distingue gli atti del potere giudiziario da quelli del legislativo e dell’esecutivo, è possibile comprendere i problemi dell’attività giurisdizionale e metterli in relazione alle più ampie questioni dell’ordine socio-politico e della sua legittimazione, specialmente a partire dalla svolta critica operata nel campo della conoscenza da Michel de Montaigne e da Francis Bacon, i quali cominciarono a utilizzare l’essai come metodo d’indagine per demolire le certezze universali ereditate dal Medioevo. Il saggio inoltre mette a fuoco le origini del divario che per molto tempo ha caratterizzato e per certi versi ancora separa la storiografia giuridica e politico-istituzionale italiana da quella anglo-francese, determinatosi tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo a causa dell’impermeabilità della prima agl’influssi del metodo delle scienze sociali, e che soltanto in tempi recentissimi s’inizia a analizzare e discutere.
2014
9788889946275
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11369/453776
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