Nella storia del pensiero umano, la tendenza dei gruppi a distorcere la percezione del “diverso” è di¬venuta sempre più consapevole, tanto da spingere alcuni studiosi a elabora¬¬re strategie volte a comprendere le differenze di organizzazione della vita collettiva a prescindere dalle categorie intellettuali dei singoli gruppi (Smelser 1976, tr.it. 1982, 40). Tali attività sono state definite in diversi modi – analisi tra culture, tra nazioni, stu¬di compara¬ti – e hanno in comune l’esi¬genza di descrivere e spiegare i fenomeni così come si realizzano nelle diverse unità sociali (gruppi, società, comunità, ecc.). In fondo, descri¬vere una situazione presuppone un universo di situazioni che per essere spiegate hanno bisogno di essere comparate. La comparazione è un’attività che dà corpo all’esperienza u-ma¬na all’interno della quale gli indivi¬dui operano conti¬¬nui confronti tra oggetti ed eventi. Nella vita quotidiana essa si configura come un semplice confronto o resoconto osservativo, mentre in ambito scien¬tifico occorre identificare un criterio per stabilire in primis il suo grado di complessità, specificando che, per definire un certo atto com¬parativo non serve che vengano presi in considerazione necessariamente due oggetti (per esempio Francia e Italia o, più semplicemente, Carlo e Marco), ma è anche possibile confrontare gli stati di uno stesso oggetto in due o più punti del tempo – per esempio il livello di stabilità politica in Italia negli anni Sessanta e ne¬gli anni Novanta (Eckstein (1975, 85; Bartolini 1991, 177). Dunque, oggetti, stati, proprietà e, eventualmente, punti del tempo sono da considerarsi gli elementi logici della comparazione. La forma più elementare di quest’ultima, quella che Marradi chiama “l’ato¬mo logico” della pratica comparativa, si basa sul confronto degli stati di due oggetti su una proprietà e può essere esemplificata in una frase del tipo “il Regno Unito è più popoloso dell’Italia” (Marradi 1982). Non si comparano mai due oggetti globalmente, ma sempre i loro stati su una o più proprietà, altrimenti il rischio è quello di incappare in giudizi tautologici del tipo, “il Regno unito è diverso dal¬l’Italia”. Dal momento che si comparano gli stati e non gli oggetti, per svolgere u¬na com¬¬pa¬ra¬zione non è necessario che gli oggetti siano due, è però necessario che siano due (o più di due) gli stati su una proprietà. In que¬sto caso, occorre aggiungere l’elemento temporale, formulando giudizi del tipo, “L’Italia di oggi è più popolosa dell’Italia di trent’anni fa”. L’oggetto è uno (l’Italia), ma due sono gli stati (numero di cittadini re¬sidenti) sulla proprietà (livello di popolosità). Per quanto quest’ultima for¬ma di comparazione possa sembrare più semplice, in realtà introduce alcuni elementi di complessità: se la prima espressione presuppone l’esistenza di cinque elementi di tre diversi tipi (una proprietà, due stati, due oggetti), nella seconda invece, pur eliminando due elementi (un oggetto, cioè il Regno Unito, e il suo stato sulla proprietà, cioè i cittadini britannici), se ne introducono quattro in più, cioè il tempo, due stati diversi del tempo (oggi e trent’anni fa) cui corrispondono due sta¬ti (e non più uno) dello stesso oggetto (cioè il diverso numero di residenti italiani nei due diversi momenti temporali). Riassumendo, è quindi possibile riflettere sugli atti di comparazione, concentrandosi dapprima sulla distinzione tra comparazione “sincronica” e comparazione “diacronica”. Nel pri¬mo caso, si ignora la dimensione del tempo; nel secondo, la variabile temporale è invece assunta come elemento signi¬ficativo. Ogni comparazione deve tener comunque conto della dimensione spazio-temporale. Dopo aver definito l’unità di analisi, il ricercatore deve individuare l’am¬¬bito, cioè i casi che entreranno a far parte effettivamente della ricerca e la loro contestualizzazione storica e geografica. Vi sono ricerche in cui è stato possibile prendere in considerazione tutti i casi facenti parte della popolazione di riferimento. In diversi studi, dopo aver identificato nella nazione l’unità d’analisi, per e¬sem¬pio in una specifica area geopolitica, è stato possibile considerare tutte le nazioni che sono state confrontate mediante comparazioni sincroniche. In altre situazioni empiriche può essere necessario considerare solo un sotto-insieme di casi facenti parte di una specifica popolazione e, in questa evenienza, la selezione presuppone alcuni accor¬gimenti. È in genere inopportuno che il ricercatore si affidi a una estrazione casuale, specie nelle ricerche trans-nazionali. Ci si trova dunque di fronte al problema della scelta del¬le unità più idonee a essere selezionate come campione dall’universo (tribù, società, culture, nazioni, ecc.). A questo livello, si pone il cosiddetto “pro¬blema di Galton”, dal nome dell’antropologo che per primo lo riconobbe, secondo cui è molto difficile individuare società e culture sviluppatesi in modo indipendente dal momento che vi sono buone possibilità che eventuali somiglianze siano determinate dalla diffusione storica di specifiche caratteristiche culturali. Se tale preoccupazione è fondata, si pongono seri dubbi sulla possibilità di correlare gli elementi a livello interculturale, poiché tali correlazioni potrebbero essere inquinate dall’interdipendenza dei casi. Proprio a causa dell’estensione indeterminata della diffusione storica, molte difficoltà di campio¬namento relative alle comparazioni interculturali non possono avere soluzione. Di fronte ai problemi che sopraggiungono nel definire le giuste modalità di estrazione dei casi che vanno poi a comporre l’ambito spazio-temporale della ricerca, gli studiosi hanno negli anni elaborato due strategie distinte per la definizione del suddetto ambito: la cosiddetta “strategia dei casi più distanti” (most different systems design) e la “strategia dei casi più simili” (most similar sysitems design). Nella “strategia dei casi più distanti” il ricercatore seleziona casi tra loro eterogenei. Questo non presuppone essi di un numero ampio; è infatti sufficiente che presentino valori estremi sulla variabile dipendente. Due esempi di adozione di tale strategia ci vengono per esempio dai lavori di Barrington Moore, su Le origini sociali della dittatura e della democrazia (1966, tr.it. 1969) e di Theda Skocpol nel suo lavoro su Stati e rivoluzioni sociali (1979, tr.it. 1981). Entrambi gli studiosi selezionano casi distanti sul piano spaziale e temporale proponendosi di sviluppare generalizzazioni valide. Per definire quali dinamiche del processo di trasformazione di uno Stato rurale possano più facilmente determinare l’affer¬ma¬zione di un regime fascista, o comunista, o democratico, Moore considera otto nazioni (Cina, Francia, Germania, Giap¬pone, India, Inghilterra, Russia e Stati Uniti). La Skocpol, dal canto suo, analizza le possibili cause di tre importanti rivoluzioni, quella francese del 1789, quella russa del 1917, e quella cinese degli anni Trenta, facendo riferimento in maniera marginale e sporadica ad altri casi. Tale strategia è stata molto utilizzata anche nelle ricer¬¬che comparate di impronta micro-analitica. Un esempio paradigmatico ci viene dal lavoro prodotto dal Commitee on Comparative Politics del Social Science Research Council che sul finire degli anni Sessanta organizzò un sondaggio transnazionale con l’obiettivo di controllare l’ipotesi di una re¬¬lazione di co-va¬ria¬zione tra lo status socioeconomico e il livello di partecipazione politica. La rilevazione fu condotta su sette nazioni distanti tra loro sul piano politico, economico e culturale (Austria, Giap¬-pone, India, Jugoslavia, Nigeria, Olanda, Stati Uniti). Gli stessi coordinatori della ricerca ammisero che il disegno adottato fosse “po¬tente ma rischioso”. Sarebbe stato potente qualora l’obiettivo fosse stato quello di individuare uniformità tra i diversi casi: “Se quindi rileviamo uniformità in un gruppo così vario, avremo una qualche garanzia che i risultati siano generalizzabili”. Ma qualora fossero invece emerse solo differenze i risultati sarebbero stati di difficile interpretazione perché “ogni dif¬ferenza che viene riscontrata può essere la conseguenza di una qualsiasi del¬le molte differenze sostanziali tra i paesi, o, altrettanto facilmente, un puro artefatto di una delle molte differenze nelle procedure di ricerca” (Verba, Nie e Kim 1978, tr.it. 1987, 69-70). La strategia dei casi più distanti presenta un ulteriore inconveniente. Esclu¬dendo un controllo sulle fonti di variazione, il ricercatore comparatista che adotta tale strategia sarà costretto a prendere in considerazione un numero molto elevato di variabili indipendenti. Un proble¬ma che non si pongono invece i comparatisti che sostengono la “strategia dei casi più simili” (o “comparazione controllata”) sostenuta da antropologi come Eggan (1954, 748) e Kluckohn (1962, 693) e da politologi come Eulau (1962, 397-407) e Lijphart (1975, tr.it. 1985, 163). In essa si ipo¬tizza che le proprietà (culturali, socioeconomiche e politiche) su cui gli oggetti presentano stati simili possono essere considerate costanti. Il ricercatore, escludendo le proprietà che presentano stati simili, si facilitano il lavoro riducendo il numero di proprietà su cui concentrarsi. Le proprietà simili sono assunte come variabili parametriche (o contestuali), sono le differenze a essere oggetto di attenzione. In questa sede, trascureremo la dimensione delle comparazioni di tipo sincronico (de Nardis 2011; 2014), soffermandoci sul rapporto essenziale tra storia e sociologia con particolare riferimento alla comparazione storica in scienze sociali.

La comparazione storica dei macro-processi strutturali

Fabio de Nardis
2023-01-01

Abstract

Nella storia del pensiero umano, la tendenza dei gruppi a distorcere la percezione del “diverso” è di¬venuta sempre più consapevole, tanto da spingere alcuni studiosi a elabora¬¬re strategie volte a comprendere le differenze di organizzazione della vita collettiva a prescindere dalle categorie intellettuali dei singoli gruppi (Smelser 1976, tr.it. 1982, 40). Tali attività sono state definite in diversi modi – analisi tra culture, tra nazioni, stu¬di compara¬ti – e hanno in comune l’esi¬genza di descrivere e spiegare i fenomeni così come si realizzano nelle diverse unità sociali (gruppi, società, comunità, ecc.). In fondo, descri¬vere una situazione presuppone un universo di situazioni che per essere spiegate hanno bisogno di essere comparate. La comparazione è un’attività che dà corpo all’esperienza u-ma¬na all’interno della quale gli indivi¬dui operano conti¬¬nui confronti tra oggetti ed eventi. Nella vita quotidiana essa si configura come un semplice confronto o resoconto osservativo, mentre in ambito scien¬tifico occorre identificare un criterio per stabilire in primis il suo grado di complessità, specificando che, per definire un certo atto com¬parativo non serve che vengano presi in considerazione necessariamente due oggetti (per esempio Francia e Italia o, più semplicemente, Carlo e Marco), ma è anche possibile confrontare gli stati di uno stesso oggetto in due o più punti del tempo – per esempio il livello di stabilità politica in Italia negli anni Sessanta e ne¬gli anni Novanta (Eckstein (1975, 85; Bartolini 1991, 177). Dunque, oggetti, stati, proprietà e, eventualmente, punti del tempo sono da considerarsi gli elementi logici della comparazione. La forma più elementare di quest’ultima, quella che Marradi chiama “l’ato¬mo logico” della pratica comparativa, si basa sul confronto degli stati di due oggetti su una proprietà e può essere esemplificata in una frase del tipo “il Regno Unito è più popoloso dell’Italia” (Marradi 1982). Non si comparano mai due oggetti globalmente, ma sempre i loro stati su una o più proprietà, altrimenti il rischio è quello di incappare in giudizi tautologici del tipo, “il Regno unito è diverso dal¬l’Italia”. Dal momento che si comparano gli stati e non gli oggetti, per svolgere u¬na com¬¬pa¬ra¬zione non è necessario che gli oggetti siano due, è però necessario che siano due (o più di due) gli stati su una proprietà. In que¬sto caso, occorre aggiungere l’elemento temporale, formulando giudizi del tipo, “L’Italia di oggi è più popolosa dell’Italia di trent’anni fa”. L’oggetto è uno (l’Italia), ma due sono gli stati (numero di cittadini re¬sidenti) sulla proprietà (livello di popolosità). Per quanto quest’ultima for¬ma di comparazione possa sembrare più semplice, in realtà introduce alcuni elementi di complessità: se la prima espressione presuppone l’esistenza di cinque elementi di tre diversi tipi (una proprietà, due stati, due oggetti), nella seconda invece, pur eliminando due elementi (un oggetto, cioè il Regno Unito, e il suo stato sulla proprietà, cioè i cittadini britannici), se ne introducono quattro in più, cioè il tempo, due stati diversi del tempo (oggi e trent’anni fa) cui corrispondono due sta¬ti (e non più uno) dello stesso oggetto (cioè il diverso numero di residenti italiani nei due diversi momenti temporali). Riassumendo, è quindi possibile riflettere sugli atti di comparazione, concentrandosi dapprima sulla distinzione tra comparazione “sincronica” e comparazione “diacronica”. Nel pri¬mo caso, si ignora la dimensione del tempo; nel secondo, la variabile temporale è invece assunta come elemento signi¬ficativo. Ogni comparazione deve tener comunque conto della dimensione spazio-temporale. Dopo aver definito l’unità di analisi, il ricercatore deve individuare l’am¬¬bito, cioè i casi che entreranno a far parte effettivamente della ricerca e la loro contestualizzazione storica e geografica. Vi sono ricerche in cui è stato possibile prendere in considerazione tutti i casi facenti parte della popolazione di riferimento. In diversi studi, dopo aver identificato nella nazione l’unità d’analisi, per e¬sem¬pio in una specifica area geopolitica, è stato possibile considerare tutte le nazioni che sono state confrontate mediante comparazioni sincroniche. In altre situazioni empiriche può essere necessario considerare solo un sotto-insieme di casi facenti parte di una specifica popolazione e, in questa evenienza, la selezione presuppone alcuni accor¬gimenti. È in genere inopportuno che il ricercatore si affidi a una estrazione casuale, specie nelle ricerche trans-nazionali. Ci si trova dunque di fronte al problema della scelta del¬le unità più idonee a essere selezionate come campione dall’universo (tribù, società, culture, nazioni, ecc.). A questo livello, si pone il cosiddetto “pro¬blema di Galton”, dal nome dell’antropologo che per primo lo riconobbe, secondo cui è molto difficile individuare società e culture sviluppatesi in modo indipendente dal momento che vi sono buone possibilità che eventuali somiglianze siano determinate dalla diffusione storica di specifiche caratteristiche culturali. Se tale preoccupazione è fondata, si pongono seri dubbi sulla possibilità di correlare gli elementi a livello interculturale, poiché tali correlazioni potrebbero essere inquinate dall’interdipendenza dei casi. Proprio a causa dell’estensione indeterminata della diffusione storica, molte difficoltà di campio¬namento relative alle comparazioni interculturali non possono avere soluzione. Di fronte ai problemi che sopraggiungono nel definire le giuste modalità di estrazione dei casi che vanno poi a comporre l’ambito spazio-temporale della ricerca, gli studiosi hanno negli anni elaborato due strategie distinte per la definizione del suddetto ambito: la cosiddetta “strategia dei casi più distanti” (most different systems design) e la “strategia dei casi più simili” (most similar sysitems design). Nella “strategia dei casi più distanti” il ricercatore seleziona casi tra loro eterogenei. Questo non presuppone essi di un numero ampio; è infatti sufficiente che presentino valori estremi sulla variabile dipendente. Due esempi di adozione di tale strategia ci vengono per esempio dai lavori di Barrington Moore, su Le origini sociali della dittatura e della democrazia (1966, tr.it. 1969) e di Theda Skocpol nel suo lavoro su Stati e rivoluzioni sociali (1979, tr.it. 1981). Entrambi gli studiosi selezionano casi distanti sul piano spaziale e temporale proponendosi di sviluppare generalizzazioni valide. Per definire quali dinamiche del processo di trasformazione di uno Stato rurale possano più facilmente determinare l’affer¬ma¬zione di un regime fascista, o comunista, o democratico, Moore considera otto nazioni (Cina, Francia, Germania, Giap¬pone, India, Inghilterra, Russia e Stati Uniti). La Skocpol, dal canto suo, analizza le possibili cause di tre importanti rivoluzioni, quella francese del 1789, quella russa del 1917, e quella cinese degli anni Trenta, facendo riferimento in maniera marginale e sporadica ad altri casi. Tale strategia è stata molto utilizzata anche nelle ricer¬¬che comparate di impronta micro-analitica. Un esempio paradigmatico ci viene dal lavoro prodotto dal Commitee on Comparative Politics del Social Science Research Council che sul finire degli anni Sessanta organizzò un sondaggio transnazionale con l’obiettivo di controllare l’ipotesi di una re¬¬lazione di co-va¬ria¬zione tra lo status socioeconomico e il livello di partecipazione politica. La rilevazione fu condotta su sette nazioni distanti tra loro sul piano politico, economico e culturale (Austria, Giap¬-pone, India, Jugoslavia, Nigeria, Olanda, Stati Uniti). Gli stessi coordinatori della ricerca ammisero che il disegno adottato fosse “po¬tente ma rischioso”. Sarebbe stato potente qualora l’obiettivo fosse stato quello di individuare uniformità tra i diversi casi: “Se quindi rileviamo uniformità in un gruppo così vario, avremo una qualche garanzia che i risultati siano generalizzabili”. Ma qualora fossero invece emerse solo differenze i risultati sarebbero stati di difficile interpretazione perché “ogni dif¬ferenza che viene riscontrata può essere la conseguenza di una qualsiasi del¬le molte differenze sostanziali tra i paesi, o, altrettanto facilmente, un puro artefatto di una delle molte differenze nelle procedure di ricerca” (Verba, Nie e Kim 1978, tr.it. 1987, 69-70). La strategia dei casi più distanti presenta un ulteriore inconveniente. Esclu¬dendo un controllo sulle fonti di variazione, il ricercatore comparatista che adotta tale strategia sarà costretto a prendere in considerazione un numero molto elevato di variabili indipendenti. Un proble¬ma che non si pongono invece i comparatisti che sostengono la “strategia dei casi più simili” (o “comparazione controllata”) sostenuta da antropologi come Eggan (1954, 748) e Kluckohn (1962, 693) e da politologi come Eulau (1962, 397-407) e Lijphart (1975, tr.it. 1985, 163). In essa si ipo¬tizza che le proprietà (culturali, socioeconomiche e politiche) su cui gli oggetti presentano stati simili possono essere considerate costanti. Il ricercatore, escludendo le proprietà che presentano stati simili, si facilitano il lavoro riducendo il numero di proprietà su cui concentrarsi. Le proprietà simili sono assunte come variabili parametriche (o contestuali), sono le differenze a essere oggetto di attenzione. In questa sede, trascureremo la dimensione delle comparazioni di tipo sincronico (de Nardis 2011; 2014), soffermandoci sul rapporto essenziale tra storia e sociologia con particolare riferimento alla comparazione storica in scienze sociali.
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