Il tentativo di tracciare i fondamenti teorici di una nuova sociologia trasformativa e di posizione ci impone un confronto organico con il pensiero di Marx, con particolare riferimento all’approccio teorico e metodologico rintracciabile nella tradizione storico-materialistica. In realtà, il rapporto tra marxismo e sociologia è controverso, spesso inquinato dalle incrostazioni ideologiche che hanno caratterizzato la storia del socialismo nel ventesimo secolo. Da un lato, vi è chi ha riletto Marx in chiave dialettico-hegeliana, contrapponendosi alle scienze logico-empiriche; dall’altro, chi ha ravvisato nelle sue opere gli elementi fondativi di una scienza sociale unificata, compatibile con la tradizione scientifica moderna (Della Volpe 1969; Cerroni 1976a; 1976b). Per onestà intellettuale, chi scrive sente il dovere di premettere la propria collocazione all’interno di quest’ultimo filone interpretativo, a partire da una lettura del materialismo storico come elemento fondativo di una sociologia storico-critica trasformazionale (de Nardis, Simone 2021; 2022). A nostro avviso, da un unto di vista trasformativo, il compito della sociologia è infatti quello di fare emergere contraddizioni laddove tutti vedono normalità ed elementi di regolarità laddove tutti vedono contraddizioni. In questo senso essa è, per sua stessa natura, intimamente sovversiva, dunque compatibile non solo con la dimensione analitica del materialismo storico, ma anche con la vocazione critico-trasformativa del marxismo. Come nota Cerroni (1972, 9), “nessuno dei grandi pensatori che hanno segnato la storia umana ha avuto come Marx la capacità di incidere non soltanto sull’orientamento della cultura, ma anche sulle istituzioni e quindi sul destino di milioni di uomini”. Il suo merito è stato infatti quello di connettere i processi culturali direttamente alla pratica del¬l’e¬si¬stenza umana, fornendone una spiegazione che parte dall’esistenza stessa, dunque non idealistica. Marx ci ha lasciato una valida in¬terpretazione della modernità a partire dal suo impianto materiale connesso alla capacità umana di produrre coscienza e organizzazione. Non spe¬cula sull’esistenza del mondo, ma riconduce la spiegazione del mutamento sociale alla connessione necessaria tra pensiero e azione. Questa consapevolezza sociologica si deve alla riscoperta nella prima metà del ventesimo secolo di alcuni inediti di Marx in cui veniva dispiegata la sua “concezione materialistica della storia”. Attraverso di essa, egli prende le distanze dalla tradizione filosofica (speculativa) tedesca che aveva visto in Hegel il suo più degno interprete, ma anche dal paleo-ma¬te¬riali¬smo di Feuerbach e dall’a-storici¬smo dell’economia politica classica: Si deve concludere che la critica di Marx investe tutte le componenti intellettua¬li del¬l’Ot¬to¬cen¬to. Ma v’è di più. La critica di Marx, infatti, non si limita al pur es¬senziale scontro teorico con la cultura del suo tempo. Essa ne scopre, per così dire, la causazione storica, tanto che la cri¬tica della teoria diventa per Marx obbligatoriamente critica della pratica, cioè critica degli istituti politici ed economici. È così che la critica dell’economia politica diventa critica del capitalismo e la critica della teoria politica diventa critica della politica, del diritto e dello Stato borghe¬si (ibid., 14). L’apporto di Marx alle scienze sociali sta dunque nell’aver impostato una critica non speculativa della società e dello Stato e di aver altresì collegato l’analisi dei processi sociopolitici alla struttura economico- materiale delle società, individuando nelle istituzioni dello Stato rappresentativo e nel dualismo moderno di Stato e società civile l’espressione della struttura dissociata dei rapporti economici. Con la rottura dei vincoli politici feudali, Marx intravede la costituzione di uno Stato basato sull’e¬gua¬glianza politica e giuridica che presuppone però la disuguaglianza sociale fondata su un’ideologia privatistica. Da questa considerazione, avvia la sua critica allo Stato liberale inteso come connessione diretta tra istituzioni politico-rappresentative e società civile borghese-capitalista, fondata sulla proprietà privata e sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Libertà formale e disuguaglianza reale sarebbero dunque i fondamenti teorico-pratici della società moderna occidentale. Egli rivoluziona la tradizionale concezione razionalistica occidentale ac¬cordando all’intelletto umano una reale funzione sociale e alla storia, inte¬sa come progresso in divenire, la capacità di generare quello stesso intellet¬to attraverso il condizionamento sulle vite sociali dei suoi istituti fondamentali. L’analisi della società capitalistica moderna non è al¬tro che il necessario punto di partenza per la comprensione (e spiegazione) del passato e quindi anche per la “progressiva ricostruzione differenziale e scientifica dei tipi storici determinati in cui si è in realtà dipanata e svolta ciò che solitamente racchiudiamo nelle idee di storia, società, spi¬rito, uo¬mo, cultura” (ibid., 15). Nell’opera di Marx è dunque possibile rintracciare i fondamenti teorici di una sociologia trasformativa, depurata però dalle incrostazioni ideologiche e dogmatiche di quei suoi interpreti che, al fine di “completare” il suo pensiero, hanno in realtà finito per negarlo. Il punto di partenza è dunque la prospettiva del materialismo storico, secondo cui è possibile arrivare alla costruzione di una scienza unitaria della società sulla base di tre parametri fondamentali: 1) storicità delle categorie teoriche; 2) composizione materiale dei rapporti sociali; 3) possibilità di rintracciare le leggi causali della transizione storica da un tipo sociale a un altro e quindi anche da un modello culturale a un altro.

Materialismo storico e sociologia trasformativa

Fabio de Nardis
2023-01-01

Abstract

Il tentativo di tracciare i fondamenti teorici di una nuova sociologia trasformativa e di posizione ci impone un confronto organico con il pensiero di Marx, con particolare riferimento all’approccio teorico e metodologico rintracciabile nella tradizione storico-materialistica. In realtà, il rapporto tra marxismo e sociologia è controverso, spesso inquinato dalle incrostazioni ideologiche che hanno caratterizzato la storia del socialismo nel ventesimo secolo. Da un lato, vi è chi ha riletto Marx in chiave dialettico-hegeliana, contrapponendosi alle scienze logico-empiriche; dall’altro, chi ha ravvisato nelle sue opere gli elementi fondativi di una scienza sociale unificata, compatibile con la tradizione scientifica moderna (Della Volpe 1969; Cerroni 1976a; 1976b). Per onestà intellettuale, chi scrive sente il dovere di premettere la propria collocazione all’interno di quest’ultimo filone interpretativo, a partire da una lettura del materialismo storico come elemento fondativo di una sociologia storico-critica trasformazionale (de Nardis, Simone 2021; 2022). A nostro avviso, da un unto di vista trasformativo, il compito della sociologia è infatti quello di fare emergere contraddizioni laddove tutti vedono normalità ed elementi di regolarità laddove tutti vedono contraddizioni. In questo senso essa è, per sua stessa natura, intimamente sovversiva, dunque compatibile non solo con la dimensione analitica del materialismo storico, ma anche con la vocazione critico-trasformativa del marxismo. Come nota Cerroni (1972, 9), “nessuno dei grandi pensatori che hanno segnato la storia umana ha avuto come Marx la capacità di incidere non soltanto sull’orientamento della cultura, ma anche sulle istituzioni e quindi sul destino di milioni di uomini”. Il suo merito è stato infatti quello di connettere i processi culturali direttamente alla pratica del¬l’e¬si¬stenza umana, fornendone una spiegazione che parte dall’esistenza stessa, dunque non idealistica. Marx ci ha lasciato una valida in¬terpretazione della modernità a partire dal suo impianto materiale connesso alla capacità umana di produrre coscienza e organizzazione. Non spe¬cula sull’esistenza del mondo, ma riconduce la spiegazione del mutamento sociale alla connessione necessaria tra pensiero e azione. Questa consapevolezza sociologica si deve alla riscoperta nella prima metà del ventesimo secolo di alcuni inediti di Marx in cui veniva dispiegata la sua “concezione materialistica della storia”. Attraverso di essa, egli prende le distanze dalla tradizione filosofica (speculativa) tedesca che aveva visto in Hegel il suo più degno interprete, ma anche dal paleo-ma¬te¬riali¬smo di Feuerbach e dall’a-storici¬smo dell’economia politica classica: Si deve concludere che la critica di Marx investe tutte le componenti intellettua¬li del¬l’Ot¬to¬cen¬to. Ma v’è di più. La critica di Marx, infatti, non si limita al pur es¬senziale scontro teorico con la cultura del suo tempo. Essa ne scopre, per così dire, la causazione storica, tanto che la cri¬tica della teoria diventa per Marx obbligatoriamente critica della pratica, cioè critica degli istituti politici ed economici. È così che la critica dell’economia politica diventa critica del capitalismo e la critica della teoria politica diventa critica della politica, del diritto e dello Stato borghe¬si (ibid., 14). L’apporto di Marx alle scienze sociali sta dunque nell’aver impostato una critica non speculativa della società e dello Stato e di aver altresì collegato l’analisi dei processi sociopolitici alla struttura economico- materiale delle società, individuando nelle istituzioni dello Stato rappresentativo e nel dualismo moderno di Stato e società civile l’espressione della struttura dissociata dei rapporti economici. Con la rottura dei vincoli politici feudali, Marx intravede la costituzione di uno Stato basato sull’e¬gua¬glianza politica e giuridica che presuppone però la disuguaglianza sociale fondata su un’ideologia privatistica. Da questa considerazione, avvia la sua critica allo Stato liberale inteso come connessione diretta tra istituzioni politico-rappresentative e società civile borghese-capitalista, fondata sulla proprietà privata e sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Libertà formale e disuguaglianza reale sarebbero dunque i fondamenti teorico-pratici della società moderna occidentale. Egli rivoluziona la tradizionale concezione razionalistica occidentale ac¬cordando all’intelletto umano una reale funzione sociale e alla storia, inte¬sa come progresso in divenire, la capacità di generare quello stesso intellet¬to attraverso il condizionamento sulle vite sociali dei suoi istituti fondamentali. L’analisi della società capitalistica moderna non è al¬tro che il necessario punto di partenza per la comprensione (e spiegazione) del passato e quindi anche per la “progressiva ricostruzione differenziale e scientifica dei tipi storici determinati in cui si è in realtà dipanata e svolta ciò che solitamente racchiudiamo nelle idee di storia, società, spi¬rito, uo¬mo, cultura” (ibid., 15). Nell’opera di Marx è dunque possibile rintracciare i fondamenti teorici di una sociologia trasformativa, depurata però dalle incrostazioni ideologiche e dogmatiche di quei suoi interpreti che, al fine di “completare” il suo pensiero, hanno in realtà finito per negarlo. Il punto di partenza è dunque la prospettiva del materialismo storico, secondo cui è possibile arrivare alla costruzione di una scienza unitaria della società sulla base di tre parametri fondamentali: 1) storicità delle categorie teoriche; 2) composizione materiale dei rapporti sociali; 3) possibilità di rintracciare le leggi causali della transizione storica da un tipo sociale a un altro e quindi anche da un modello culturale a un altro.
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