Le statue colossali, più elaborate, costose, tecnicamente e artisticamente più complesse da realizzare, proprio in virtù della loro grandezza, rarità e fama, hanno da sempre esercitato un fascino straordinario sulle epoche successive. Dal Colosso di Rodi alla statua della Libertà a New York, la dimensione colossale, ovvero una dimensione che va oltre il ‘normale’, ha costantemente esercitato sugli uomini una forte attrazione, assumendo significati sempre di alto contenuto simbolico. Come nel caso del Marco Aurelio anche per il colosso di Barletta - pur con le dovute differenze - la sopravvivenza dell’opera è passata attraverso molteplici identità confluite nello scenografico allestimento nello spazio centrale della città antica, in stretta connessione con il luogo del governo, e con le attività mercantili, ma anche in rapporto con una chiesa legata al Santo Sepolcro di Gerusalemme e al culto della Croce. La città, appropriandosene, ha così trasformato l’opera in uno dei segni più caratterizzanti la sua storia, una sorta di palladio che ancora oggi, come nel passato, continua ad esercitare una forte suggestione. A questi temi, finora poco indagati a livello critico, viene dato ampio spazio nel volume allo scopo di fornire nuovi elementi di ricerca utili a dipanare l’articolata complessità della duplice vita della statua colossale. L’occasione è stata quella dell’intervento di manutenzione straordinaria dell’opera, eseguito tra il 2014 e il 2016, allo scopo di verificare lo stato strutturale del manufatto bronzeo, oggetto negli anni Ottanta del secolo scorso di un innovativo sistema di messa in sicurezza ottenuto realizzando un’armatura interna in acciaio a sostegno della statua. Il restauro ha consentito di eseguire ulteriori indagini diagnostiche, con la collaborazione dell’ICR (Maurizio Marabelli, Giorgio D’Ercoli) e dell’Università Milano Bicocca (Emanuela Sibilia, Francesco Maspero), mirate non solo all’individuazione delle eventuali cause di alterazione e/o deterioramento del metallo ma anche alla sua datazione, i cui primi risultati sono pubblicati nello stesso volume. L’intervento conservativo ha riproposto vecchi e nuovi problemi che hanno da sempre caratterizzato l’esistenza dell’opera: la sua identità in relazione al contesto della statuaria antica e tardoantica, tema affrontato da Bente Kiilerich (The Barletta Colossus and the problem of its identity) le vicende relative alla sua risemantizzazione nel contesto della cittadina pugliese, dove una nuova lettura dello spazio urbano (Victor Rivera Magos, Il Colosso e la città angioina alle origini del legame tra la statua di Eraclio e la platea Sancti Sepulcri) ha consentito di ricostruire l’originario progetto di riforma voluto da Carlo II d’Angiò, che nel 1300 avviò un processo di ristrutturazione urbanistica della città, considerata strategicamente rilevante per gli interessi della corona angioina. Un luogo, quello dove fu collocata la statua, che ancora per tutto il periodo della monarchia aragonese, fu un laboratorio di costruzione dell’identità civica della città, con la costruzione del Sedile del Popolo (Sylvie Pollastri, Le Colosse de Barletta. L’immage et sa costruction civique des Angevins aux Aragonais). Le motivazioni della sua collocazione, individuate in origine in funzione al culto della Croce e della basilica del Santo Sepolcro, (Luisa Derosa, La ‘seconda vita’ del Colosso: un percorso a ritroso. XIX-V secolo d. C.), hanno portato ad analizzare il tessuto urbanistico attraverso rilievi e ricostruzioni (Angelo Ambrosi, Una statua colossale nella città), nonché a ricostruire, attraverso fonti documentarie edite ed inedite, la complessa vicenda dell’abbattimento del Sedile del popolo entro il quale l’opera era stata sistemata (Luisa Derosa, Angelo Ambrosi, “Una questione di carattere artistico”. La demolizione del Sedile e l’isolamento della statua colossale. 1911-1923).

Le due vite del Colosso. Storia, arte, conservazione e restauro del bronzo di Barletta,

Luisa Derosa
;
2019-01-01

Abstract

Le statue colossali, più elaborate, costose, tecnicamente e artisticamente più complesse da realizzare, proprio in virtù della loro grandezza, rarità e fama, hanno da sempre esercitato un fascino straordinario sulle epoche successive. Dal Colosso di Rodi alla statua della Libertà a New York, la dimensione colossale, ovvero una dimensione che va oltre il ‘normale’, ha costantemente esercitato sugli uomini una forte attrazione, assumendo significati sempre di alto contenuto simbolico. Come nel caso del Marco Aurelio anche per il colosso di Barletta - pur con le dovute differenze - la sopravvivenza dell’opera è passata attraverso molteplici identità confluite nello scenografico allestimento nello spazio centrale della città antica, in stretta connessione con il luogo del governo, e con le attività mercantili, ma anche in rapporto con una chiesa legata al Santo Sepolcro di Gerusalemme e al culto della Croce. La città, appropriandosene, ha così trasformato l’opera in uno dei segni più caratterizzanti la sua storia, una sorta di palladio che ancora oggi, come nel passato, continua ad esercitare una forte suggestione. A questi temi, finora poco indagati a livello critico, viene dato ampio spazio nel volume allo scopo di fornire nuovi elementi di ricerca utili a dipanare l’articolata complessità della duplice vita della statua colossale. L’occasione è stata quella dell’intervento di manutenzione straordinaria dell’opera, eseguito tra il 2014 e il 2016, allo scopo di verificare lo stato strutturale del manufatto bronzeo, oggetto negli anni Ottanta del secolo scorso di un innovativo sistema di messa in sicurezza ottenuto realizzando un’armatura interna in acciaio a sostegno della statua. Il restauro ha consentito di eseguire ulteriori indagini diagnostiche, con la collaborazione dell’ICR (Maurizio Marabelli, Giorgio D’Ercoli) e dell’Università Milano Bicocca (Emanuela Sibilia, Francesco Maspero), mirate non solo all’individuazione delle eventuali cause di alterazione e/o deterioramento del metallo ma anche alla sua datazione, i cui primi risultati sono pubblicati nello stesso volume. L’intervento conservativo ha riproposto vecchi e nuovi problemi che hanno da sempre caratterizzato l’esistenza dell’opera: la sua identità in relazione al contesto della statuaria antica e tardoantica, tema affrontato da Bente Kiilerich (The Barletta Colossus and the problem of its identity) le vicende relative alla sua risemantizzazione nel contesto della cittadina pugliese, dove una nuova lettura dello spazio urbano (Victor Rivera Magos, Il Colosso e la città angioina alle origini del legame tra la statua di Eraclio e la platea Sancti Sepulcri) ha consentito di ricostruire l’originario progetto di riforma voluto da Carlo II d’Angiò, che nel 1300 avviò un processo di ristrutturazione urbanistica della città, considerata strategicamente rilevante per gli interessi della corona angioina. Un luogo, quello dove fu collocata la statua, che ancora per tutto il periodo della monarchia aragonese, fu un laboratorio di costruzione dell’identità civica della città, con la costruzione del Sedile del Popolo (Sylvie Pollastri, Le Colosse de Barletta. L’immage et sa costruction civique des Angevins aux Aragonais). Le motivazioni della sua collocazione, individuate in origine in funzione al culto della Croce e della basilica del Santo Sepolcro, (Luisa Derosa, La ‘seconda vita’ del Colosso: un percorso a ritroso. XIX-V secolo d. C.), hanno portato ad analizzare il tessuto urbanistico attraverso rilievi e ricostruzioni (Angelo Ambrosi, Una statua colossale nella città), nonché a ricostruire, attraverso fonti documentarie edite ed inedite, la complessa vicenda dell’abbattimento del Sedile del popolo entro il quale l’opera era stata sistemata (Luisa Derosa, Angelo Ambrosi, “Una questione di carattere artistico”. La demolizione del Sedile e l’isolamento della statua colossale. 1911-1923).
2019
9788872289150
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11369/414124
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