Nell’Italia del Quattrocento si sviluppò una nuova cultura che prese il nome di Umanesimo e che veniva a rappresentare una forte cesura nei confronti del Medio Evo. Tale rinnovamento prese avvio dalla scoperta di antichi manoscritti sepolti nelle biblioteche dei monasteri ad opera principalmente di dotti quali Poggio Bracciolini il quale, nelle sue fortunate esplorazioni a margini dei lavori del Concilio di Costanza, trovò nei depositi dell’abbazia di San Gallo importanti codici quali l’Institutio oratoria di Quintiliano, le Selve di Stazio e altre opere ritenute perdute o tramandate in forma fortemente frammentaria. Tuttavia la mera scoperta non poteva dirsi sufficiente per far rientrare nel circuito culturale tali autori: si rendeva pertanto necessaria una trascrizione, una successiva collazione tra vari testimoni superstiti, la pubblicazione a stampa (dalla metà del secolo in poi) e l’adozione nei corsi universitari. Dalla sorprendente notizia del ritrovamento dell’Institutio oratoria al suo utilizzo didattico passarono pochi decenni. Il presente saggio intende quindi focalizzarsi sulla fruizione dell’opera quintilianea da parte di Angelo Poliziano per le sue lezioni allo Studio fiorentino nell’anno accademico 1480-81 e sulla motivazione di tale scelta che egli fornisce nella Oratio super Fabio Quintiliano et Statii Sylvis, inclusa nell’Omnia opera pubblicata nel 1498 a Venezia. L’opzione non era di poca rilevanza: introdurre l’Institutio oratoria assumeva il valore di una frattura nei confronti dell’establishment universitario fiorentino che aveva da sempre privilegiato autori classici quali Cicerone. Il giovane Poliziano si poneva così in palese contrasto con altri docenti più affermati e paludati quali Cristoforo Landino, vuoi per il metodo filologico nuovo che egli applicava, vuoi per la valenza – dal significato ampiamente rivoluzionario – insita nell’adozione per le sue lezioni di opere ritenute (a torto) minori.

La fruizione didattica dell'Institutio oratoria di M.F. Quintiliano nell'Umanesimo fiorentino di fine Quattrocento

Cagnolati Antonella
2021-01-01

Abstract

Nell’Italia del Quattrocento si sviluppò una nuova cultura che prese il nome di Umanesimo e che veniva a rappresentare una forte cesura nei confronti del Medio Evo. Tale rinnovamento prese avvio dalla scoperta di antichi manoscritti sepolti nelle biblioteche dei monasteri ad opera principalmente di dotti quali Poggio Bracciolini il quale, nelle sue fortunate esplorazioni a margini dei lavori del Concilio di Costanza, trovò nei depositi dell’abbazia di San Gallo importanti codici quali l’Institutio oratoria di Quintiliano, le Selve di Stazio e altre opere ritenute perdute o tramandate in forma fortemente frammentaria. Tuttavia la mera scoperta non poteva dirsi sufficiente per far rientrare nel circuito culturale tali autori: si rendeva pertanto necessaria una trascrizione, una successiva collazione tra vari testimoni superstiti, la pubblicazione a stampa (dalla metà del secolo in poi) e l’adozione nei corsi universitari. Dalla sorprendente notizia del ritrovamento dell’Institutio oratoria al suo utilizzo didattico passarono pochi decenni. Il presente saggio intende quindi focalizzarsi sulla fruizione dell’opera quintilianea da parte di Angelo Poliziano per le sue lezioni allo Studio fiorentino nell’anno accademico 1480-81 e sulla motivazione di tale scelta che egli fornisce nella Oratio super Fabio Quintiliano et Statii Sylvis, inclusa nell’Omnia opera pubblicata nel 1498 a Venezia. L’opzione non era di poca rilevanza: introdurre l’Institutio oratoria assumeva il valore di una frattura nei confronti dell’establishment universitario fiorentino che aveva da sempre privilegiato autori classici quali Cicerone. Il giovane Poliziano si poneva così in palese contrasto con altri docenti più affermati e paludati quali Cristoforo Landino, vuoi per il metodo filologico nuovo che egli applicava, vuoi per la valenza – dal significato ampiamente rivoluzionario – insita nell’adozione per le sue lezioni di opere ritenute (a torto) minori.
2021
978-5-91543-323-5
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11369/407976
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