Nel mondo del marketing circola questo aforisma: “Le persone oggi non comprano le scarpe per tenere i piedi caldi e all’asciutto, lo fanno per comunicare qualcosa di sé agli altri”. Alcune volte, la citazione è attribuita a Theodore Levitt, altre a Philip Kotler, altre ancora a Giampaolo Fabris. Andando oltre la (pur spinosa) questione della incerta paternità di questa frase, è difficile negare che nella società post-moderna i beni e i servizi che acquistiamo e consumiamo siano, a tutti gli effetti, dei simboli e che, attraverso il loro possesso, gli individui operano azioni di costruzione, decostruzione e ricostruzione della propria identità. Questo valore simbolico non è una esclusiva dei beni di lusso, ma si estende a tutti quei brand che, nel corso del tempo, hanno saputo co- struire e confermare un’identità ampiamente conosciuta (brand awareness) e ampiamente riconoscibile (brand uniqueness). Un numero crescente di persone ispira la propria condotta quotidiana ai valori di alcuni top brand e/o dei leader che, pro tempore, guidano le aziende che ne sono proprietarie. Nessuno può ignorare “l’effetto che fa”, soprattutto sul possessore, il poter tirar fuori in un meeting di lavoro o al bar con delle amiche, questo non conta granché, l’ultima versione di uno dei prodotti della mela morsicata oppure indossare la maglietta con il coccodrillo, o portare in spalla la borsetta con le 2G, o firmare un documento con quello strumento di scrittura in pregiata resina nera sormontata dalla stellina bianca. Se si escludono le commodities, la stragrande maggioranza degli acquisti è guidata da elementi di differenziazione, tra un’offerta e quella concorrente, che rimandano ad aspetti intangibili, immateriali, valoriali; in una parola, al brand. E non a caso, il goal strategico di ogni marketing manager che ambisce a poter garantire al proprio brand un difendibile vantaggio competitivo e, in definitiva, un premium price nel medio-lungo termine, è costruire un posizionamento chiaro, distinto e apprezzato nella mente del proprio target di consumatori. Tutti questi passaggi, a ben vedere, sono tra loro coerentemente interconnessi e richiedono la presenza di un elemento che spesso viene sottaciuto, dato per scontato, ritenuto ovvio. L’elemento in questione è la visibilità del bene o del servizio – indipendentemente dalla sua tangibilità – nell’ambito del contesto relazionale del consumatore o, per lo meno, in quello nel quale avviene il consumo di quel bene o servizio. Il valore emozionale di un brand genera tutto il suo effetto in termini di contribuzione alla costruzione della identità dell’individuo a patto che quest’ultimo possa mostrare e mostrarsi insieme a quel brand. Volendo usa- re una moderna immagine, potremmo dire che il consumatore desidera potersi ritrarre, sorridente, in un selfie con il proprio brand. E questo fenomeno non vale solo per i beni, ma anche per i servizi che – come accennato poc’anzi – possono essere al contempo immateriali e visibili. Si pensi al poter assistere, magari in un palchetto riservato, alla prima della Scala; oppure al poter di- chiarare di essere uno studente di una prestigiosissima università, magari straniera; oppure al poter mostrare sulla propria t-shirt il brand di un certo movimento, o associazione o team sportivo, etc. In tutti questi casi, l’estrema visibilità del brand convive con l’immaterialità del servizio cui fa riferimento. Ci sono, tuttavia, casi opposti nei quali pur in presenza di un bene tangibile, dal punto di vista del processo di costruzione dell’identità cui si è fatto riferimento più sopra, questo non ha alcuna visibilità. Si tratta di beni che il consumatore acquista ma che poi scompaiono dal suo network relazionale quotidiano, beni il cui consumo avviene nella totale oscurità sociale, beni di cui non si parla, beni che pur finendo in casa del consumatore allo stesso tempo pian piano scompaiono, sono nascosti alla vista sua e dei suoi ospiti. Questa categoria di beni, tra i quali rientra il materasso, presenta una significativa difficoltà nell’essere oggetto di strategie di marketing tradizionali. In questo contributo li chiameremo, usando certamente un’iperbole, beni invisibili.

Il marketing dei beni invisibili: il caso del materasso.

Calabrese Giuseppe
2021-01-01

Abstract

Nel mondo del marketing circola questo aforisma: “Le persone oggi non comprano le scarpe per tenere i piedi caldi e all’asciutto, lo fanno per comunicare qualcosa di sé agli altri”. Alcune volte, la citazione è attribuita a Theodore Levitt, altre a Philip Kotler, altre ancora a Giampaolo Fabris. Andando oltre la (pur spinosa) questione della incerta paternità di questa frase, è difficile negare che nella società post-moderna i beni e i servizi che acquistiamo e consumiamo siano, a tutti gli effetti, dei simboli e che, attraverso il loro possesso, gli individui operano azioni di costruzione, decostruzione e ricostruzione della propria identità. Questo valore simbolico non è una esclusiva dei beni di lusso, ma si estende a tutti quei brand che, nel corso del tempo, hanno saputo co- struire e confermare un’identità ampiamente conosciuta (brand awareness) e ampiamente riconoscibile (brand uniqueness). Un numero crescente di persone ispira la propria condotta quotidiana ai valori di alcuni top brand e/o dei leader che, pro tempore, guidano le aziende che ne sono proprietarie. Nessuno può ignorare “l’effetto che fa”, soprattutto sul possessore, il poter tirar fuori in un meeting di lavoro o al bar con delle amiche, questo non conta granché, l’ultima versione di uno dei prodotti della mela morsicata oppure indossare la maglietta con il coccodrillo, o portare in spalla la borsetta con le 2G, o firmare un documento con quello strumento di scrittura in pregiata resina nera sormontata dalla stellina bianca. Se si escludono le commodities, la stragrande maggioranza degli acquisti è guidata da elementi di differenziazione, tra un’offerta e quella concorrente, che rimandano ad aspetti intangibili, immateriali, valoriali; in una parola, al brand. E non a caso, il goal strategico di ogni marketing manager che ambisce a poter garantire al proprio brand un difendibile vantaggio competitivo e, in definitiva, un premium price nel medio-lungo termine, è costruire un posizionamento chiaro, distinto e apprezzato nella mente del proprio target di consumatori. Tutti questi passaggi, a ben vedere, sono tra loro coerentemente interconnessi e richiedono la presenza di un elemento che spesso viene sottaciuto, dato per scontato, ritenuto ovvio. L’elemento in questione è la visibilità del bene o del servizio – indipendentemente dalla sua tangibilità – nell’ambito del contesto relazionale del consumatore o, per lo meno, in quello nel quale avviene il consumo di quel bene o servizio. Il valore emozionale di un brand genera tutto il suo effetto in termini di contribuzione alla costruzione della identità dell’individuo a patto che quest’ultimo possa mostrare e mostrarsi insieme a quel brand. Volendo usa- re una moderna immagine, potremmo dire che il consumatore desidera potersi ritrarre, sorridente, in un selfie con il proprio brand. E questo fenomeno non vale solo per i beni, ma anche per i servizi che – come accennato poc’anzi – possono essere al contempo immateriali e visibili. Si pensi al poter assistere, magari in un palchetto riservato, alla prima della Scala; oppure al poter di- chiarare di essere uno studente di una prestigiosissima università, magari straniera; oppure al poter mostrare sulla propria t-shirt il brand di un certo movimento, o associazione o team sportivo, etc. In tutti questi casi, l’estrema visibilità del brand convive con l’immaterialità del servizio cui fa riferimento. Ci sono, tuttavia, casi opposti nei quali pur in presenza di un bene tangibile, dal punto di vista del processo di costruzione dell’identità cui si è fatto riferimento più sopra, questo non ha alcuna visibilità. Si tratta di beni che il consumatore acquista ma che poi scompaiono dal suo network relazionale quotidiano, beni il cui consumo avviene nella totale oscurità sociale, beni di cui non si parla, beni che pur finendo in casa del consumatore allo stesso tempo pian piano scompaiono, sono nascosti alla vista sua e dei suoi ospiti. Questa categoria di beni, tra i quali rientra il materasso, presenta una significativa difficoltà nell’essere oggetto di strategie di marketing tradizionali. In questo contributo li chiameremo, usando certamente un’iperbole, beni invisibili.
2021
9788855250351
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11369/404716
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