La parola fra eternità e tempo: un tema suggestivo ed evocativo che si offre al lettore come chiave ermeneutica per il libro XI e al contempo per l’intera opera. Da una parte la parola transeunte dell’uomo e dall’altra parte la Parola eterna di Dio. La parola è il tema che innerva dal principio alla fine il testo delle Confessioni: nei libri di contenuto autobiografico la parola è al servizio della narrazione di una storia che si distende nel tempo; ma questa storia di conversione trova senso compiuto nel ministero di un’altra parola che è quella di Dio, spiegata nei libri di contenuto esegetico. L’una e l’altra parola vengono a contatto nel libro XI, che comporta la transizione dalla prima alla seconda parte delle Confessioni: dalla parola che risuona nel tempo per mezzo di una voce transeunte si deve passare alla parola eterna che si fa sentire nell’animo senza il suono della voce ed è il Verbo eternamente proferito da Dio. L’interpretazione del primo versetto di Genesi pone appunto il tema dell’eternità e del tempo e il tema della parola. Il creatore è immutabile ed eterno; invece le creature, che sono state fatte, sono mutabili e soggette al tempo. Dio ha fatto le creature per mezzo della sua parola che è il Verbo eterno (Jo 1, 1: «il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio») e non una voce transeunte (Lc 9, 35: «dalla nube uscì una voce che disse: ‘Questi è il Figlio mio diletto’»). Con queste premesse è introdotta una lunga digressione sul tempo, conclusa con la descrizione di una voce transeunte, che alterna sillabe brevi e sillabe lunghe nel canto dell’inno ambrosiano Deus creator omnium, e con una riflessione sull’animo, che nel canto indirizza il corso del tempo dal futuro attraverso il presente nel passato. L’intera trattazione sul tempo è dunque racchiusa entro la cornice dell’opposizione tra la voce e il Verbo: alla voce transeunte dell’uomo, che canta un inno al creatore dell’universo, si oppone il Verbo eterno, con il quale Dio ha creato l’universo stesso. L’anima dell’uomo, in quanto è unita al corpo, è soggetta al trascorrere del tempo; invece in se stessa, in quanto pura anima, è in grado di protendersi al di là del tempo verso l’eternità. È questo il significato delle parole di Phil 3, 12-14 secondo l’interpretazione proposta nell’epilogo del libro XI: «[…] e dopo i giorni antichi sia raccolto seguendo l’uno, dimentico delle cose passate, non verso le cose future che passeranno, ma verso le cose che sono dinanzi non disteso ma proteso, non con la distensione ma con l’intenzione inseguo la palma della chiamata celeste (Phil 3, 12-14) […]» (conf. 11, 29, 39).

La parola fra eternità e tempo. Il libro XI delle Confessioni di Agostino

Vincenzo Lomiento
2020-01-01

Abstract

La parola fra eternità e tempo: un tema suggestivo ed evocativo che si offre al lettore come chiave ermeneutica per il libro XI e al contempo per l’intera opera. Da una parte la parola transeunte dell’uomo e dall’altra parte la Parola eterna di Dio. La parola è il tema che innerva dal principio alla fine il testo delle Confessioni: nei libri di contenuto autobiografico la parola è al servizio della narrazione di una storia che si distende nel tempo; ma questa storia di conversione trova senso compiuto nel ministero di un’altra parola che è quella di Dio, spiegata nei libri di contenuto esegetico. L’una e l’altra parola vengono a contatto nel libro XI, che comporta la transizione dalla prima alla seconda parte delle Confessioni: dalla parola che risuona nel tempo per mezzo di una voce transeunte si deve passare alla parola eterna che si fa sentire nell’animo senza il suono della voce ed è il Verbo eternamente proferito da Dio. L’interpretazione del primo versetto di Genesi pone appunto il tema dell’eternità e del tempo e il tema della parola. Il creatore è immutabile ed eterno; invece le creature, che sono state fatte, sono mutabili e soggette al tempo. Dio ha fatto le creature per mezzo della sua parola che è il Verbo eterno (Jo 1, 1: «il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio») e non una voce transeunte (Lc 9, 35: «dalla nube uscì una voce che disse: ‘Questi è il Figlio mio diletto’»). Con queste premesse è introdotta una lunga digressione sul tempo, conclusa con la descrizione di una voce transeunte, che alterna sillabe brevi e sillabe lunghe nel canto dell’inno ambrosiano Deus creator omnium, e con una riflessione sull’animo, che nel canto indirizza il corso del tempo dal futuro attraverso il presente nel passato. L’intera trattazione sul tempo è dunque racchiusa entro la cornice dell’opposizione tra la voce e il Verbo: alla voce transeunte dell’uomo, che canta un inno al creatore dell’universo, si oppone il Verbo eterno, con il quale Dio ha creato l’universo stesso. L’anima dell’uomo, in quanto è unita al corpo, è soggetta al trascorrere del tempo; invece in se stessa, in quanto pura anima, è in grado di protendersi al di là del tempo verso l’eternità. È questo il significato delle parole di Phil 3, 12-14 secondo l’interpretazione proposta nell’epilogo del libro XI: «[…] e dopo i giorni antichi sia raccolto seguendo l’uno, dimentico delle cose passate, non verso le cose future che passeranno, ma verso le cose che sono dinanzi non disteso ma proteso, non con la distensione ma con l’intenzione inseguo la palma della chiamata celeste (Phil 3, 12-14) […]» (conf. 11, 29, 39).
2020
978-88-7228-947-1
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11369/398284
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