Il presente contributo costituisce uno dei saggi del catalogo della mostra ‘Il Museo che non c’è. Arte, collezionismo, gusto antiquario nel Palazzo degli Studi di Bari (1879-1928)’, promossa dal Polo Museale della Puglia, dalla Regione Puglia, e dall’Università degli Studi di Bari ‘Aldo Moro’, di cui la sottoscritta è uno dei curatori scientifici. La mostra allestita nel Salone degli Affreschi dell’attuale Palazzo Ateneo (28 febbraio-24 aprile 2020), ha inteso ricostruire il momento formativo dell’istituzione museale che, prima della fondazione dell’Università di Bari, aveva sede negli spazi luogo dell’esposizione. Lo studio ricostruisce le tappe del dibattito culturale che si svolse in ambito locale e nazionale, relativo ai problemi di tutela e valorizzazione del patrimonio artistico pugliese, e della sua scoperta e rivalutazione nel contesto degli studi sul medioevo europeo. Un ‘complesso interloquire’ che vide schierati da un lato i ‘cultori delle patrie memorie’ che con la nomina a ispettori o componenti nelle Commissioni Conservatrici provinciali, avevano di fatto il compito di occuparsi dei problemi di tutela e conservazione dei beni culturali dei singoli territori, dall’ altro studiosi come Émile Bertaux, Martin Wackernagel, Arthur Haseloff, che possedevano il linguaggio e il metodo della giovane storia dell’arte, in grado di evocare termini di confronto a livello europeo. Un dibattito che, prendendo le mosse dagli studi di Demetrio Salzaro, Pietro Selvatico Estense, Camillo Boito sulle teorie degli stili nazionali e regionali, coinvolse anche, a partire dalla grande stagione dei restauri tra la fine dell’Ottocento e gli anni Trenta del Novecento, architetti e tecnici preposti alla tutela, come Ettore Bernich ed Adolfo Avena. In questo contesto la vita del Museo appare quanto mai vivace. L’ampliamento delle collezioni di arte medievale, con opere rinvenienti questa volta dagli interventi conservativi e dai nuovi piani urbanistici della città, fu accompagnato dall’acquisto di fotografie dei principali monumenti storici (con scatti tra l’altro di Enrico Bambocci, Angelo De Mattia e Romualdo Moscioni), nonché riproduzioni di miniature e affreschi ritenuti tra i più significativi del grande patrimonio artistico della regione, affidati ad artisti pugliesi come Damaso Bianchi e Gennaro Somma: un interesse e un’attenzione per il medioevo declinato nelle sue varie componenti espressive e figurative che dimostra come l’immagine più pregnante della Puglia si identificasse ormai proprio con quella di quei secoli. Momento fondamentale di questa complessa trama di vicende fu la partecipazione della Puglia all’Esposizione Regionale di Roma del 1911, organizzata in occasione dei festeggiamenti del primo cinquantenario della proclamazione della città a capitale del nuovo Stato italiano. I documenti dell’Archivio Storico della Provincia hanno consentito di ricostruire con dovizia di particolare ogni fase della vicenda e dell’operato dei suoi principali protagonisti, primo fra tutti Angelo Pantaleo, un ispettore di origine abruzzese ma di formazione veneziana, in Puglia stretto collaboratore di Bernich, autore del progetto del Padiglione pugliese. Persona poco nota negli studi se non per i giudizi unanimemente negativi sul suo operato, principalmente sul castello di Gioia del Colle e sulla cattedrale di Conversano, Pantaleo è invece, secondo quanto emerso dall’analisi dei documenti della Provincia, integrati dalle memorie grafiche e fotografiche tratte dall’inedito archivio personale (conservato nel Santuario di Santa Maria della Scala a Noci), una figura chiave del clima culturale di quegli anni e delle profonde contraddizioni dei processi di modernizzazione in atto. Al termine dell’Esposizione, contrariamente a quanto si era verificato a Torino dopo l’Esposizione del 1898, i materiali esposti, consistenti in oltre 350 calchi in gesso che riproducevano gli elementi scultorei salienti dell’architettura medievale pugliese, furono integrati alle raccolte d’arte del Museo Provinciale, andando a costituire la prima raccolta di gessi sorta in Italia per lo studio dell’arte medioevale, dimostrando quanto, ancora una volta, il Museo Provinciale abbia rivestito un ruolo centrale ed innovativo per la salvaguardia, tutela e valorizzazione del patrimonio storico-artistico della regione. Di tale vicenda, nella parte finale del contributo, si ricostruiscono anche le diverse fasi dello smembramento. Nell’ambito del progetto – peraltro mai realizzato- di nazionalizzazione del Museo Archeologico, negli anni ’40 del Novecento, la Gipsoteca fu trasferita Castello Svevo di Bari, le altre opere, trasferite presso la locale Soprintendenza ai Monumenti e alle Gallerie della Puglia, furono acquisite nel 1967 alle collezioni della rinnovata Pinacoteca Provinciale mentre i frammenti della cattedrale, nucleo generatore del medioevo nel museo, rientrarono in Cattedrale dove furono inserite, per anastilosi, negli arredi liturgici della chiesa ad opera del Soprintendente Francesco Schettini.

Dall’autentico alla copia. Il Medioevo pugliese tra Ottocento e Novecento

Luisa Derosa
;
2020-01-01

Abstract

Il presente contributo costituisce uno dei saggi del catalogo della mostra ‘Il Museo che non c’è. Arte, collezionismo, gusto antiquario nel Palazzo degli Studi di Bari (1879-1928)’, promossa dal Polo Museale della Puglia, dalla Regione Puglia, e dall’Università degli Studi di Bari ‘Aldo Moro’, di cui la sottoscritta è uno dei curatori scientifici. La mostra allestita nel Salone degli Affreschi dell’attuale Palazzo Ateneo (28 febbraio-24 aprile 2020), ha inteso ricostruire il momento formativo dell’istituzione museale che, prima della fondazione dell’Università di Bari, aveva sede negli spazi luogo dell’esposizione. Lo studio ricostruisce le tappe del dibattito culturale che si svolse in ambito locale e nazionale, relativo ai problemi di tutela e valorizzazione del patrimonio artistico pugliese, e della sua scoperta e rivalutazione nel contesto degli studi sul medioevo europeo. Un ‘complesso interloquire’ che vide schierati da un lato i ‘cultori delle patrie memorie’ che con la nomina a ispettori o componenti nelle Commissioni Conservatrici provinciali, avevano di fatto il compito di occuparsi dei problemi di tutela e conservazione dei beni culturali dei singoli territori, dall’ altro studiosi come Émile Bertaux, Martin Wackernagel, Arthur Haseloff, che possedevano il linguaggio e il metodo della giovane storia dell’arte, in grado di evocare termini di confronto a livello europeo. Un dibattito che, prendendo le mosse dagli studi di Demetrio Salzaro, Pietro Selvatico Estense, Camillo Boito sulle teorie degli stili nazionali e regionali, coinvolse anche, a partire dalla grande stagione dei restauri tra la fine dell’Ottocento e gli anni Trenta del Novecento, architetti e tecnici preposti alla tutela, come Ettore Bernich ed Adolfo Avena. In questo contesto la vita del Museo appare quanto mai vivace. L’ampliamento delle collezioni di arte medievale, con opere rinvenienti questa volta dagli interventi conservativi e dai nuovi piani urbanistici della città, fu accompagnato dall’acquisto di fotografie dei principali monumenti storici (con scatti tra l’altro di Enrico Bambocci, Angelo De Mattia e Romualdo Moscioni), nonché riproduzioni di miniature e affreschi ritenuti tra i più significativi del grande patrimonio artistico della regione, affidati ad artisti pugliesi come Damaso Bianchi e Gennaro Somma: un interesse e un’attenzione per il medioevo declinato nelle sue varie componenti espressive e figurative che dimostra come l’immagine più pregnante della Puglia si identificasse ormai proprio con quella di quei secoli. Momento fondamentale di questa complessa trama di vicende fu la partecipazione della Puglia all’Esposizione Regionale di Roma del 1911, organizzata in occasione dei festeggiamenti del primo cinquantenario della proclamazione della città a capitale del nuovo Stato italiano. I documenti dell’Archivio Storico della Provincia hanno consentito di ricostruire con dovizia di particolare ogni fase della vicenda e dell’operato dei suoi principali protagonisti, primo fra tutti Angelo Pantaleo, un ispettore di origine abruzzese ma di formazione veneziana, in Puglia stretto collaboratore di Bernich, autore del progetto del Padiglione pugliese. Persona poco nota negli studi se non per i giudizi unanimemente negativi sul suo operato, principalmente sul castello di Gioia del Colle e sulla cattedrale di Conversano, Pantaleo è invece, secondo quanto emerso dall’analisi dei documenti della Provincia, integrati dalle memorie grafiche e fotografiche tratte dall’inedito archivio personale (conservato nel Santuario di Santa Maria della Scala a Noci), una figura chiave del clima culturale di quegli anni e delle profonde contraddizioni dei processi di modernizzazione in atto. Al termine dell’Esposizione, contrariamente a quanto si era verificato a Torino dopo l’Esposizione del 1898, i materiali esposti, consistenti in oltre 350 calchi in gesso che riproducevano gli elementi scultorei salienti dell’architettura medievale pugliese, furono integrati alle raccolte d’arte del Museo Provinciale, andando a costituire la prima raccolta di gessi sorta in Italia per lo studio dell’arte medioevale, dimostrando quanto, ancora una volta, il Museo Provinciale abbia rivestito un ruolo centrale ed innovativo per la salvaguardia, tutela e valorizzazione del patrimonio storico-artistico della regione. Di tale vicenda, nella parte finale del contributo, si ricostruiscono anche le diverse fasi dello smembramento. Nell’ambito del progetto – peraltro mai realizzato- di nazionalizzazione del Museo Archeologico, negli anni ’40 del Novecento, la Gipsoteca fu trasferita Castello Svevo di Bari, le altre opere, trasferite presso la locale Soprintendenza ai Monumenti e alle Gallerie della Puglia, furono acquisite nel 1967 alle collezioni della rinnovata Pinacoteca Provinciale mentre i frammenti della cattedrale, nucleo generatore del medioevo nel museo, rientrarono in Cattedrale dove furono inserite, per anastilosi, negli arredi liturgici della chiesa ad opera del Soprintendente Francesco Schettini.
2020
9788879709972
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11369/391930
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