La gerarchia dei criteri interpretativi è – scrive Aurelio Gentili – «il maggiore problema dell’interpretazione del contratto». Perché si tratti di un problema e perché questo problema sia il maggiore, è presto detto: l’ordine gerarchico dei criteri interpretativi serve a imporre un metodo e, più precisamente, a dettare l’ordine di applicazione delle regole che l’interprete è chiamato a seguire. Un ordine che – nel nostro Codice civile – ha una struttura ‘verticale’, nel senso che la regola successiva (o comunque il ‘gruppo’ di regole successive) può trovare applicazione solo se e qualora la precedente non abbia chiarito ogni dubbio, svelando la comune intenzione sottesa al significato letterale delle parole o comunque il senso oggettivo delle dichiarazioni contrattuali. Sono chiari, e devono essere apprezzati, i presupposti del discorso e cioè l’esistenza di una pluralità di tecniche ermeneutiche razionali, la loro attitudine a condurre a esiti diversi, tutti ugualmente legittimi, la necessità di non affidare alla discrezionalità del giudice la scelta del criterio e quindi della soluzione interpretativa finale, lasciando piuttosto al legislatore l’ordine di preferenza dei diversi criteri e quindi del risultato finale. Ma ciò è appunto quanto fa della gerarchia un problema: se selezionando l’ordine dei criteri, si seleziona il risultato finale; e se manipolando l’ordine dei criteri, si manipola il risultato finale; diventa fondamentale una generale condivisione della gerarchia e una sua fedele applicazione. La nostra giurisprudenza afferma il principio gerarchico nella sua forma più tradizionale, incentrata sulla priorità del significato letterale ovvero direttamente sul broccardo in claris non fit interpretatio. Ma molto spesso la chiarezza della lettera o il significato inequivoco del testo – o, per converso, l’insufficiente chiarezza della lettera – sono utilizzati come formule vuote. Sono anzi formule vuote senz’altro, chiamate a giustificare la discrezionalità che l’interprete si riserva nel decidere se e quando occorra arrestarsi alla lettera (perché l’assetto suggerito dalla lettera appaia soddisfacente) e se e quando andare oltre, servendosi di criteri ulteriori, appunto al fine di andare oltre le indicazioni del testo (e raggiungere un assetto finale diverso). In altri termini, la gerarchia dovrebbe presupporre un sistema rigido, ma un sistema gerarchico rigido – un sistema gerarchico o è rigido o non è – non può esistere neanche in astratto, perché la scelta di passare al rimedio successivo non può trovare alcun fondamento obiettivo (la chiarezza della lettera non rappresenta e non può rappresentare un fondamento obiettivo) ed è necessariamente affidata, o abbandonata, al libero apprezzamento del magistrato, la cui valutazione tende a risultare insindacabile. Tutti questi aspetti problematici sono ben presenti nel discorso di Aurelio Gentili, che a mente di essi propone un ordine gerarchico diverso, fondato su un criterio razionale ed oggettivo, la «razionale diversità di peso». Ma è difficile dire se effettivamente la proposta di seguire una gerarchia ‘razionale’ possa rappresentare un argine contro la tendenza della giurisprudenza a rimettere ogni valutazione al suo libero apprezzamento. Il fatto è che, al pari di quanto si diceva a proposito dell’ordine gerarchico di fonte legislativa, difficilmente questo nuovo ordine gerarchico razionale potrà imporsi in modo ‘rigido’, perché proprio la natura induttiva del ragionamento interpretativo lo impedisce.

La gerarchia dei criteri interpretativi

francesco astone
2019-01-01

Abstract

La gerarchia dei criteri interpretativi è – scrive Aurelio Gentili – «il maggiore problema dell’interpretazione del contratto». Perché si tratti di un problema e perché questo problema sia il maggiore, è presto detto: l’ordine gerarchico dei criteri interpretativi serve a imporre un metodo e, più precisamente, a dettare l’ordine di applicazione delle regole che l’interprete è chiamato a seguire. Un ordine che – nel nostro Codice civile – ha una struttura ‘verticale’, nel senso che la regola successiva (o comunque il ‘gruppo’ di regole successive) può trovare applicazione solo se e qualora la precedente non abbia chiarito ogni dubbio, svelando la comune intenzione sottesa al significato letterale delle parole o comunque il senso oggettivo delle dichiarazioni contrattuali. Sono chiari, e devono essere apprezzati, i presupposti del discorso e cioè l’esistenza di una pluralità di tecniche ermeneutiche razionali, la loro attitudine a condurre a esiti diversi, tutti ugualmente legittimi, la necessità di non affidare alla discrezionalità del giudice la scelta del criterio e quindi della soluzione interpretativa finale, lasciando piuttosto al legislatore l’ordine di preferenza dei diversi criteri e quindi del risultato finale. Ma ciò è appunto quanto fa della gerarchia un problema: se selezionando l’ordine dei criteri, si seleziona il risultato finale; e se manipolando l’ordine dei criteri, si manipola il risultato finale; diventa fondamentale una generale condivisione della gerarchia e una sua fedele applicazione. La nostra giurisprudenza afferma il principio gerarchico nella sua forma più tradizionale, incentrata sulla priorità del significato letterale ovvero direttamente sul broccardo in claris non fit interpretatio. Ma molto spesso la chiarezza della lettera o il significato inequivoco del testo – o, per converso, l’insufficiente chiarezza della lettera – sono utilizzati come formule vuote. Sono anzi formule vuote senz’altro, chiamate a giustificare la discrezionalità che l’interprete si riserva nel decidere se e quando occorra arrestarsi alla lettera (perché l’assetto suggerito dalla lettera appaia soddisfacente) e se e quando andare oltre, servendosi di criteri ulteriori, appunto al fine di andare oltre le indicazioni del testo (e raggiungere un assetto finale diverso). In altri termini, la gerarchia dovrebbe presupporre un sistema rigido, ma un sistema gerarchico rigido – un sistema gerarchico o è rigido o non è – non può esistere neanche in astratto, perché la scelta di passare al rimedio successivo non può trovare alcun fondamento obiettivo (la chiarezza della lettera non rappresenta e non può rappresentare un fondamento obiettivo) ed è necessariamente affidata, o abbandonata, al libero apprezzamento del magistrato, la cui valutazione tende a risultare insindacabile. Tutti questi aspetti problematici sono ben presenti nel discorso di Aurelio Gentili, che a mente di essi propone un ordine gerarchico diverso, fondato su un criterio razionale ed oggettivo, la «razionale diversità di peso». Ma è difficile dire se effettivamente la proposta di seguire una gerarchia ‘razionale’ possa rappresentare un argine contro la tendenza della giurisprudenza a rimettere ogni valutazione al suo libero apprezzamento. Il fatto è che, al pari di quanto si diceva a proposito dell’ordine gerarchico di fonte legislativa, difficilmente questo nuovo ordine gerarchico razionale potrà imporsi in modo ‘rigido’, perché proprio la natura induttiva del ragionamento interpretativo lo impedisce.
2019
978-88-495-3874-8
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11369/385046
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