Nato dal recente interesse in crescita per un settore finora “negletto” della storia economica italiana, Il mestiere dell’incertezza è un ritratto dei mestieri, dei saperi e della struttura economica della pesca marittima nel Golfo di Napoli tra la fine del Settecento e gli inizi del Novecento. Il lavoro attinge ad una documentazione assai ampia, da fonti amministrative centrali e periferiche alla stampa periodica specialistica, da fonti giudiziarie a dati demografici, dalle statistiche alle inchieste postunitarie, e si avvale di una discreta letteratura internazionale allo scopo di rilevare caratteri strutturali comuni e peculiarità della pesca locale. Su questo materiale assai eterogeneo, il libro disegna una tessera del mosaico ancora in buona parte da riempire della storia marittima contemporanea, ricomponendo i disordinati frammenti che il mondo marginale del mestiere marittimo più antico ha lasciato di sé in una narrazione carica di tensioni analitiche sul senso e le dinamiche di una mancata “modernizzazione”. L’inizio della storia si colloca alla fine del Settecento, quando la vecchia organizzazione annonaria lascia il posto alla libertà di commercio, e la crisi delle corporazioni concede margini sempre più ampi alla, da più parti invocata, “libertà d’industria”; in questo quadro, si aprono dinamiche nuove destinate a scuotere in profondità questa fetta di economia e di società apparentemente immobile. Sul piano delle tecniche produttive il secolo assiste all’avvento della pesca a strascico, innovazione produttiva sul breve termine, ma distruttiva sul lungo per l’equilibrio ambientale; sul piano commerciale sembrano consolidarsi equilibri antichi che il riformismo illuministico aveva combattuto, e si accentua l’oligopolio di quei grossisti che riescono a controllare attraverso l’anticipazione usuraia l’immissione di prodotto locale nell’elefantiaco mercato urbano. Tutto ciò avviene sullo sfondo di un progressivo impoverimento delle risorse e di una crescente pressione della domanda, con l’effetto di una segmentazione ancor più accentuata che in passato tra il consumo di massa di pesce in conserva importato dai Paesi Nordeuropei, e il consumo limitato ed elitario di prodotto locale. Stretto tra l’ingenerosità del mare e l’avidità degli incettatori - finanziatori, il ceto dei pescatori del golfo andrà incontro ad un progressivo impoverimento, accentuato dal disgregarsi del solidarismo Ancien regime, e dalla più generale crisi della Napoli post-unitaria. Per la classe dirigente comunale di fine secolo, essi rappresentano soltanto un “problema”, igienico e sociale, da risolvere; progressivamente allontanati dal mare, e privati della loro risorsa da una politica urbanistica che delle aree costiere promuove l’utilizzo negli interessi dell’edilizia residenziale, saranno tutt’al più l’oggetto inconsapevole dei progetti più o meno utopici di qualche filantropo. Fino a quando, nel 1904, non giunge la prima iniziativa riformistica – la legge Rava - volta ad incentivare sul piano nazionale la cooperazione e la crescita autonoma del settore. Ma con l’avvento del nuovo secolo la Storia correrà su altri binari: l’avanzata della società industriale e i ritmi sempre più veloci dello sviluppo economico consegneranno al folklore la figura del pescatore, che assurge a simbolo di una Napoli del passato spesso romanticamente idealizzata.
Il mestiere dell'incertezza. La pesca nel Golfo di Napoli tra XVIII e XX secc
Clemente, Alida
2005-01-01
Abstract
Nato dal recente interesse in crescita per un settore finora “negletto” della storia economica italiana, Il mestiere dell’incertezza è un ritratto dei mestieri, dei saperi e della struttura economica della pesca marittima nel Golfo di Napoli tra la fine del Settecento e gli inizi del Novecento. Il lavoro attinge ad una documentazione assai ampia, da fonti amministrative centrali e periferiche alla stampa periodica specialistica, da fonti giudiziarie a dati demografici, dalle statistiche alle inchieste postunitarie, e si avvale di una discreta letteratura internazionale allo scopo di rilevare caratteri strutturali comuni e peculiarità della pesca locale. Su questo materiale assai eterogeneo, il libro disegna una tessera del mosaico ancora in buona parte da riempire della storia marittima contemporanea, ricomponendo i disordinati frammenti che il mondo marginale del mestiere marittimo più antico ha lasciato di sé in una narrazione carica di tensioni analitiche sul senso e le dinamiche di una mancata “modernizzazione”. L’inizio della storia si colloca alla fine del Settecento, quando la vecchia organizzazione annonaria lascia il posto alla libertà di commercio, e la crisi delle corporazioni concede margini sempre più ampi alla, da più parti invocata, “libertà d’industria”; in questo quadro, si aprono dinamiche nuove destinate a scuotere in profondità questa fetta di economia e di società apparentemente immobile. Sul piano delle tecniche produttive il secolo assiste all’avvento della pesca a strascico, innovazione produttiva sul breve termine, ma distruttiva sul lungo per l’equilibrio ambientale; sul piano commerciale sembrano consolidarsi equilibri antichi che il riformismo illuministico aveva combattuto, e si accentua l’oligopolio di quei grossisti che riescono a controllare attraverso l’anticipazione usuraia l’immissione di prodotto locale nell’elefantiaco mercato urbano. Tutto ciò avviene sullo sfondo di un progressivo impoverimento delle risorse e di una crescente pressione della domanda, con l’effetto di una segmentazione ancor più accentuata che in passato tra il consumo di massa di pesce in conserva importato dai Paesi Nordeuropei, e il consumo limitato ed elitario di prodotto locale. Stretto tra l’ingenerosità del mare e l’avidità degli incettatori - finanziatori, il ceto dei pescatori del golfo andrà incontro ad un progressivo impoverimento, accentuato dal disgregarsi del solidarismo Ancien regime, e dalla più generale crisi della Napoli post-unitaria. Per la classe dirigente comunale di fine secolo, essi rappresentano soltanto un “problema”, igienico e sociale, da risolvere; progressivamente allontanati dal mare, e privati della loro risorsa da una politica urbanistica che delle aree costiere promuove l’utilizzo negli interessi dell’edilizia residenziale, saranno tutt’al più l’oggetto inconsapevole dei progetti più o meno utopici di qualche filantropo. Fino a quando, nel 1904, non giunge la prima iniziativa riformistica – la legge Rava - volta ad incentivare sul piano nazionale la cooperazione e la crescita autonoma del settore. Ma con l’avvento del nuovo secolo la Storia correrà su altri binari: l’avanzata della società industriale e i ritmi sempre più veloci dello sviluppo economico consegneranno al folklore la figura del pescatore, che assurge a simbolo di una Napoli del passato spesso romanticamente idealizzata.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.