Tra la fine del Trecento e il più maturo Rinascimento nella cultura europea si stagliano nette alcune figure femminili che vengono assimilate come fulgidi exempla, vuoi di comportamenti perversamente peccaminosi, vuoi a guisa di maestre per castità e virtù. Il panorama che ci appare, scorrendo le dotte pagine degli umanisti, è quanto mai ricco e sapido: attraverso la rilettura dell’opera di Valerio Massimo e di Tito Livio ritornano nel circolo della cultura Cornelia, madre dei Gracchi, Porzia, infelice consorte di Bruto, Lucrezia martire sacrificale per la difesa della sua virtù, e molte altre figure che paiono indicare modelli che – seppur inarrivabili sotto il profilo dell’ethos muliebre – ipostatizzano un canone che funge da icastica linea di demarcazione per un codice manicheo che rigidamente distingue tra bene e male, tra pravità e sacrificio usque ad mortem, tra tutela dell’onore e dissolutezza dei costumi. Negli oscuri meandri della malvagità l’elenco si apre con Medea e prosegue con le lussuriose Cleopatra e Semiramide, in un’efficace sinergia tra mito, fantasia e realtà storica. Nella lunga fortuna iconografica delle donne illustri qualcuna appare all’alba dell’Umanesimo dopo un lungo e sofferto oblio: tale ci appare il caso di Zenobia, regina di Palmira, pressoché sconosciuta nel lungo Medio Evo e rinata come abbagliante fenice per opera di Petrarca e Boccaccio che per primi la inseriscono nuovamente nel circuito culturale e ne fanno omaggio alla letteratura successiva, destando nei suoi confronti un interesse che andrà aumentando in maniera esponenziale secolo dopo secolo. Nella seconda parte del Trionfo della fama, al centro di una lunga sfilata di uomini e donne illustri, Zenobia emerge in tutto il suo spessore, preceduta dalle Amazzoni, da Didone e Cleopatra, seguita da Giuditta, nell’usuale contaminatio petrarchesca tra fonti classiche e bibliche. La collocazione di questa inclita mulier pare oltremodo originale e carica di significato, se pensiamo che nell’opera in questione la maggioranza della figure sono ivi accolte come personaggi che si erano distinti per le opere d’armi oppure del pensiero, attività decisamente estranee all’universo femminile: l’assunto di fondo – pare suggerire Petrarca – risiede nella complessa ed articolata biografia di Zenobia, unica donna che osò sfidare il potere dell’impero romano e che seppe assumere un ruolo pur eccentrico come guida del suo esercito alla morte dell’amato consorte Odenato per difendere la sua terra e il suo popolo. Nell’ottica petrarchesca Zenobia appariva dunque come la figura che aveva incarnato al meglio un mirabile ideale di sacrificio e libertà contro la smodata e crudele tirannia degli imperatori romani.
Le donne illustri in una prospettiva di genere: la regina Zenobia
CAGNOLATI, ANTONELLA
2014-01-01
Abstract
Tra la fine del Trecento e il più maturo Rinascimento nella cultura europea si stagliano nette alcune figure femminili che vengono assimilate come fulgidi exempla, vuoi di comportamenti perversamente peccaminosi, vuoi a guisa di maestre per castità e virtù. Il panorama che ci appare, scorrendo le dotte pagine degli umanisti, è quanto mai ricco e sapido: attraverso la rilettura dell’opera di Valerio Massimo e di Tito Livio ritornano nel circolo della cultura Cornelia, madre dei Gracchi, Porzia, infelice consorte di Bruto, Lucrezia martire sacrificale per la difesa della sua virtù, e molte altre figure che paiono indicare modelli che – seppur inarrivabili sotto il profilo dell’ethos muliebre – ipostatizzano un canone che funge da icastica linea di demarcazione per un codice manicheo che rigidamente distingue tra bene e male, tra pravità e sacrificio usque ad mortem, tra tutela dell’onore e dissolutezza dei costumi. Negli oscuri meandri della malvagità l’elenco si apre con Medea e prosegue con le lussuriose Cleopatra e Semiramide, in un’efficace sinergia tra mito, fantasia e realtà storica. Nella lunga fortuna iconografica delle donne illustri qualcuna appare all’alba dell’Umanesimo dopo un lungo e sofferto oblio: tale ci appare il caso di Zenobia, regina di Palmira, pressoché sconosciuta nel lungo Medio Evo e rinata come abbagliante fenice per opera di Petrarca e Boccaccio che per primi la inseriscono nuovamente nel circuito culturale e ne fanno omaggio alla letteratura successiva, destando nei suoi confronti un interesse che andrà aumentando in maniera esponenziale secolo dopo secolo. Nella seconda parte del Trionfo della fama, al centro di una lunga sfilata di uomini e donne illustri, Zenobia emerge in tutto il suo spessore, preceduta dalle Amazzoni, da Didone e Cleopatra, seguita da Giuditta, nell’usuale contaminatio petrarchesca tra fonti classiche e bibliche. La collocazione di questa inclita mulier pare oltremodo originale e carica di significato, se pensiamo che nell’opera in questione la maggioranza della figure sono ivi accolte come personaggi che si erano distinti per le opere d’armi oppure del pensiero, attività decisamente estranee all’universo femminile: l’assunto di fondo – pare suggerire Petrarca – risiede nella complessa ed articolata biografia di Zenobia, unica donna che osò sfidare il potere dell’impero romano e che seppe assumere un ruolo pur eccentrico come guida del suo esercito alla morte dell’amato consorte Odenato per difendere la sua terra e il suo popolo. Nell’ottica petrarchesca Zenobia appariva dunque come la figura che aveva incarnato al meglio un mirabile ideale di sacrificio e libertà contro la smodata e crudele tirannia degli imperatori romani.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.