L’Africa a sud del Sahara, culla dell’umanità, terra sterminata rimasta a lungo incognita e misteriosa, diviene, negli ultimi decenni dell’Ottocento, un enorme possedimento europeo. Sono gli anni della colonizzazione, dell’età dell’imperialismo, della febbre europea verso l’Africa, la cui “civilizzazione” rappresenterebbe il white man burden, il fardello dell’uomo bianco. Coloni, missionari, amministratori, commercianti, esploratori occidentali invadono l’Africa. Si realizza un incontro – scontro di culture e tradizioni religiose, intenso e rapido come mai in passato. Nel Novecento la maggior parte degli africani si converte a una nuova religione. Non si tratta solo di una passiva accettazione del cristianesimo, ma della sua reinterpretazione in chiave africana. Il XX secolo vede la nascita di Chiese africane indipendenti, autonome, che rifiutano o ignorano la guida dei missionari. Dal Sudafrica alla Nigeria, dalla Costa d’Avorio al grande Congo, si realizza una fioritura di esperienze cristiane autoctone dalle caratteristiche originali, spesso attorno alla figura di un profeta carismatico, come il congolese Simon Kimbangu, il più noto. Il movimento religioso da lui originato nel 1921 evolverà nella prima Chiesa africana ammessa in seno al Consiglio ecumenico delle Chiese, nel 1969. Ma se è possibile pregare e giungere al Dio cristiano senza i bianchi, è anche possibile autoamministrarsi. Così, alla profezia dell’indipendenza religiosa si aggiunge quella dell’indipendenza politica. “Prima noi avevamo la terra e voi avevate la Bibbia. Ora voi avete la terra, a noi è rimasta la Bibbia”, recita un noto slogan dei profeti sudafricani. E la Bibbia si rivela un eccezionale strumento di liberazione e contestazione. Il volume studia una pagina poco nota della storia coloniale e anticoloniale, e della storia del cristianesimo contemporaneo, attraverso un’originale impiego di fonti orali e archivistiche -delle amministrazioni coloniali, delle congregazioni religiose- e una sintesi della vasta bibliografia in lingua inglese, francese e tedesca. La nascita di un “cristianesimo nero” ha inquietato profondamente il colonialismo, l’amministrazione e i missionari, che lo hanno violentemente represso. È poi apparso – al momento delle indipendenze – l’espressione più verace e spontanea della religiosità africana, guardato con simpatia da studiosi e osservatori, per essere poi dimenticato nella lunga crisi degli anni ’90. Il XXI secolo ha decretato che le Chiese cristiane africane non sono scomparse e non cessano di crescere. Sono al contrario una realtà affermata, ancorché complessa e plurale, destinata a giocare un ruolo nel futuro del continente.
I profeti dell’indipendenza. Simon Kimbangu e le Chiese cristiane autoctone nell’Africa del ‘900
PICCIAREDDA, STEFANO
2009-01-01
Abstract
L’Africa a sud del Sahara, culla dell’umanità, terra sterminata rimasta a lungo incognita e misteriosa, diviene, negli ultimi decenni dell’Ottocento, un enorme possedimento europeo. Sono gli anni della colonizzazione, dell’età dell’imperialismo, della febbre europea verso l’Africa, la cui “civilizzazione” rappresenterebbe il white man burden, il fardello dell’uomo bianco. Coloni, missionari, amministratori, commercianti, esploratori occidentali invadono l’Africa. Si realizza un incontro – scontro di culture e tradizioni religiose, intenso e rapido come mai in passato. Nel Novecento la maggior parte degli africani si converte a una nuova religione. Non si tratta solo di una passiva accettazione del cristianesimo, ma della sua reinterpretazione in chiave africana. Il XX secolo vede la nascita di Chiese africane indipendenti, autonome, che rifiutano o ignorano la guida dei missionari. Dal Sudafrica alla Nigeria, dalla Costa d’Avorio al grande Congo, si realizza una fioritura di esperienze cristiane autoctone dalle caratteristiche originali, spesso attorno alla figura di un profeta carismatico, come il congolese Simon Kimbangu, il più noto. Il movimento religioso da lui originato nel 1921 evolverà nella prima Chiesa africana ammessa in seno al Consiglio ecumenico delle Chiese, nel 1969. Ma se è possibile pregare e giungere al Dio cristiano senza i bianchi, è anche possibile autoamministrarsi. Così, alla profezia dell’indipendenza religiosa si aggiunge quella dell’indipendenza politica. “Prima noi avevamo la terra e voi avevate la Bibbia. Ora voi avete la terra, a noi è rimasta la Bibbia”, recita un noto slogan dei profeti sudafricani. E la Bibbia si rivela un eccezionale strumento di liberazione e contestazione. Il volume studia una pagina poco nota della storia coloniale e anticoloniale, e della storia del cristianesimo contemporaneo, attraverso un’originale impiego di fonti orali e archivistiche -delle amministrazioni coloniali, delle congregazioni religiose- e una sintesi della vasta bibliografia in lingua inglese, francese e tedesca. La nascita di un “cristianesimo nero” ha inquietato profondamente il colonialismo, l’amministrazione e i missionari, che lo hanno violentemente represso. È poi apparso – al momento delle indipendenze – l’espressione più verace e spontanea della religiosità africana, guardato con simpatia da studiosi e osservatori, per essere poi dimenticato nella lunga crisi degli anni ’90. Il XXI secolo ha decretato che le Chiese cristiane africane non sono scomparse e non cessano di crescere. Sono al contrario una realtà affermata, ancorché complessa e plurale, destinata a giocare un ruolo nel futuro del continente.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.