Il primo conflitto mondiale rappresentò per la Chiesa cattolica un’esperienza decisiva, che avrebbe determinato l’atteggiamento dei pontificati novecenteschi nei confronti del fenomeno bellico. Le scelte, la condotta di Benedetto XV costituirono per i suoi successori – uno dei quali, Eugenio Pacelli, Pio XII, ne era stato stretto collaboratore – un orientamento imprescindibile. Certo, la linea seguita da Giacomo Della Chiesa si collocò nel solco di un lungo magistero, affinatosi nell’Ottocento in seguito agli sconvolgimenti rivoluzionari e napoleonici, e alla nuova condizione causata dalla perdita del potere temporale. Benedetto XV ebbe però l’onere di declinare quegli insegnamenti in una situazione concreta, che ben presto assunse caratteri di novità e di assolutezza. Si trovò cioè a sperimentare, primo tra i pontefici, l’evento caratterizzante della guerra mondiale, della guerra totale. Ma quanto, nel settembre del 1914, quando l’arcivescovo di Bologna Della Chiesa, creato cardinale da appena tre mesi, fu preferito ad Andrea Ferrari e a Pietro Maffi per succedere a Pio X, la Chiesa cattolica costituiva od era effettivamente assimilabile ad un’internazionale? Philippe Levillain apre un suo intervento sulla Santa Sede nella Grande Guerra affermando che “la Chiesa cattolica, per sua intrinseca natura, non è un’internazionale”. Aggiunge, tuttavia, che dal 1870 essa è stata percepita come tale, soprattutto perché guardata nello specchio dell’altra giovane internazionale, quella socialista: anche la Chiesa iniziava ad essere “militante” e a presentare una propria autorevole visione sui temi politici, economici e sociali. Una “internazionale del bene contrapposta a quella del male”. Effettivamente, la Chiesa cattolica ha visto realizzarsi nel Novecento, con una larghezza mai sperimentata in passato, quel tratto peculiare dell’universalità, che rappresenta una sua caratteristica genetica. Si è compiuto un processo rapido, gravido di cambiamenti a livello ecclesiologico, teologico, organizzativo. Tale processo però, negli anni che qui consideriamo, era appena agli inizi. Proprio Benedetto XV fu protagonista di una “svolta extraeuropea”, per citare Agostino Giovagnoli e il volume da lui curato sui rapporti tra Vaticano e Cina durante il pontificato di Della Chiesa. Svolta che ebbe il suo perno nella presa di distanze dal colonialismo, e nello stabilimento di relazioni diplomatiche con Pechino. Ma la Santa Sede della prima guerra mondiale di internazionale aveva poco o nulla. La preoccupazione di fare della Curia romana e del governo della Chiesa lo specchio dell’universalità e dell’internazionalità della Chiesa era ancora lontana da venire. La Curia di Benedetto XV era quasi tutta italiana. All’inizio di quel 1917 che avrebbe visto in agosto partire la “Nota ai capi dei popoli belligeranti”, le dodici congregazioni vaticane erano guidate tutte da italiani, tranne una, quella della Fabbrica di San Pietro, affidata all’ex-potente Segretario di Stato di Pio X cardinale Merry del Val, che era anche segretario del Sant’Uffizio (il cui prefetto era però il papa). Questo saggio indaga quindi i momenti in cui la Santa Sede ha “scoperto”, durante la Grande Guerra, la sua collocazione di internazionale di pace, entrando così in conflitto sia con i governi belligeranti, che la accusarono di disfattismo, sia con gli episcopati e le Chiese nazionali, pienamente assorbite (con alcune eccezioni) nell’appassionato clima di difesa nazionale dell’epoca.

L'internazionalismo della Chiesa cattolica nella Grande Guerra

PICCIAREDDA, STEFANO
2007-01-01

Abstract

Il primo conflitto mondiale rappresentò per la Chiesa cattolica un’esperienza decisiva, che avrebbe determinato l’atteggiamento dei pontificati novecenteschi nei confronti del fenomeno bellico. Le scelte, la condotta di Benedetto XV costituirono per i suoi successori – uno dei quali, Eugenio Pacelli, Pio XII, ne era stato stretto collaboratore – un orientamento imprescindibile. Certo, la linea seguita da Giacomo Della Chiesa si collocò nel solco di un lungo magistero, affinatosi nell’Ottocento in seguito agli sconvolgimenti rivoluzionari e napoleonici, e alla nuova condizione causata dalla perdita del potere temporale. Benedetto XV ebbe però l’onere di declinare quegli insegnamenti in una situazione concreta, che ben presto assunse caratteri di novità e di assolutezza. Si trovò cioè a sperimentare, primo tra i pontefici, l’evento caratterizzante della guerra mondiale, della guerra totale. Ma quanto, nel settembre del 1914, quando l’arcivescovo di Bologna Della Chiesa, creato cardinale da appena tre mesi, fu preferito ad Andrea Ferrari e a Pietro Maffi per succedere a Pio X, la Chiesa cattolica costituiva od era effettivamente assimilabile ad un’internazionale? Philippe Levillain apre un suo intervento sulla Santa Sede nella Grande Guerra affermando che “la Chiesa cattolica, per sua intrinseca natura, non è un’internazionale”. Aggiunge, tuttavia, che dal 1870 essa è stata percepita come tale, soprattutto perché guardata nello specchio dell’altra giovane internazionale, quella socialista: anche la Chiesa iniziava ad essere “militante” e a presentare una propria autorevole visione sui temi politici, economici e sociali. Una “internazionale del bene contrapposta a quella del male”. Effettivamente, la Chiesa cattolica ha visto realizzarsi nel Novecento, con una larghezza mai sperimentata in passato, quel tratto peculiare dell’universalità, che rappresenta una sua caratteristica genetica. Si è compiuto un processo rapido, gravido di cambiamenti a livello ecclesiologico, teologico, organizzativo. Tale processo però, negli anni che qui consideriamo, era appena agli inizi. Proprio Benedetto XV fu protagonista di una “svolta extraeuropea”, per citare Agostino Giovagnoli e il volume da lui curato sui rapporti tra Vaticano e Cina durante il pontificato di Della Chiesa. Svolta che ebbe il suo perno nella presa di distanze dal colonialismo, e nello stabilimento di relazioni diplomatiche con Pechino. Ma la Santa Sede della prima guerra mondiale di internazionale aveva poco o nulla. La preoccupazione di fare della Curia romana e del governo della Chiesa lo specchio dell’universalità e dell’internazionalità della Chiesa era ancora lontana da venire. La Curia di Benedetto XV era quasi tutta italiana. All’inizio di quel 1917 che avrebbe visto in agosto partire la “Nota ai capi dei popoli belligeranti”, le dodici congregazioni vaticane erano guidate tutte da italiani, tranne una, quella della Fabbrica di San Pietro, affidata all’ex-potente Segretario di Stato di Pio X cardinale Merry del Val, che era anche segretario del Sant’Uffizio (il cui prefetto era però il papa). Questo saggio indaga quindi i momenti in cui la Santa Sede ha “scoperto”, durante la Grande Guerra, la sua collocazione di internazionale di pace, entrando così in conflitto sia con i governi belligeranti, che la accusarono di disfattismo, sia con gli episcopati e le Chiese nazionali, pienamente assorbite (con alcune eccezioni) nell’appassionato clima di difesa nazionale dell’epoca.
2007
9788840011714
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11369/17236
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