Il carattere distintivo essenziale della famiglia di fatto – consistente nell’assenza dell’istituzionale impegnatività, stabilità e certezza che connotano la famiglia legittima – si riscontra non solo nel momento genetico del rapporto (che sorge con un atto di volontà scevro da qualsiasi formalismo) ma anche in quello della sua cessazione. Essendo fondata sulla libera e sempre revocabile affectio coniugalis, la convivenza more uxorio è, infatti, suscettibile di venir meno – oltre che, ovviamente, per morte di uno dei conviventi o per conversione dell’unione in rapporto matrimoniale “di diritto” – per un atto di volontà di entrambi o di uno soltanto dei conviventi che ponga fine consensualmente o unilateralmente e senza necessità del rispetto di forma alcuna alla relazione. E’ evidente, peraltro, che la libera e consapevole scelta di vivere insieme al di fuori del matrimonio e, quindi, delle regole legali cui lo stesso è soggetto se, da un lato, è certamente meritevole di rispetto da parte del diritto positivo, in quanto espressione dell’esercizio dei diritti fondamentali della persona, dall’altro, non può in alcun caso svolgersi in pregiudizio dei principi inderogabili dell’ordinamento e fra questi, primi fra tutti, dei valori costituzionali di solidarietà sociale garantiti tanto nella famiglia fondata sul matrimonio, quanto in quella di fatto. Appunto l’inderogabile esigenza di salvaguardia di tali valori impone che, non soltanto in costanza del rapporto di convivenza di fatto, ma vieppiù nel momento della sua cessazione, siano ricercate sul piano dell’interpretazione sistematica – stante il persistente difetto di una regolamentazione legislativa – soluzioni normative idonee a garantire un’adeguata tutela delle esigenze personali, nel rispetto delle specificità che connotano il fenomeno. Si tratta, in particolare, di tutelare sia il partner più debole sia, e soprattutto, la prole nata dall’unione di fatto.
La rottura della convivenza di fatto
PORCELLI, GIACOMO
2011-01-01
Abstract
Il carattere distintivo essenziale della famiglia di fatto – consistente nell’assenza dell’istituzionale impegnatività, stabilità e certezza che connotano la famiglia legittima – si riscontra non solo nel momento genetico del rapporto (che sorge con un atto di volontà scevro da qualsiasi formalismo) ma anche in quello della sua cessazione. Essendo fondata sulla libera e sempre revocabile affectio coniugalis, la convivenza more uxorio è, infatti, suscettibile di venir meno – oltre che, ovviamente, per morte di uno dei conviventi o per conversione dell’unione in rapporto matrimoniale “di diritto” – per un atto di volontà di entrambi o di uno soltanto dei conviventi che ponga fine consensualmente o unilateralmente e senza necessità del rispetto di forma alcuna alla relazione. E’ evidente, peraltro, che la libera e consapevole scelta di vivere insieme al di fuori del matrimonio e, quindi, delle regole legali cui lo stesso è soggetto se, da un lato, è certamente meritevole di rispetto da parte del diritto positivo, in quanto espressione dell’esercizio dei diritti fondamentali della persona, dall’altro, non può in alcun caso svolgersi in pregiudizio dei principi inderogabili dell’ordinamento e fra questi, primi fra tutti, dei valori costituzionali di solidarietà sociale garantiti tanto nella famiglia fondata sul matrimonio, quanto in quella di fatto. Appunto l’inderogabile esigenza di salvaguardia di tali valori impone che, non soltanto in costanza del rapporto di convivenza di fatto, ma vieppiù nel momento della sua cessazione, siano ricercate sul piano dell’interpretazione sistematica – stante il persistente difetto di una regolamentazione legislativa – soluzioni normative idonee a garantire un’adeguata tutela delle esigenze personali, nel rispetto delle specificità che connotano il fenomeno. Si tratta, in particolare, di tutelare sia il partner più debole sia, e soprattutto, la prole nata dall’unione di fatto.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.