Il lavoro si inserisce in una ricerca cofinanziata dal MIUR nell’ambito dei P.R.I.N. 2003. Partendo dal presupposto che il legislatore, negli ultimi anni, al dichiarato scopo di deflazionare la giustizia civile, ha sovente stabilito, in relazione a specifiche categorie di controversie, che l'accesso alla giurisdizione fosse subordinato a un tentativo obbligatorio di conciliazione stragiudiziale, l'indagine si pone l'obiettivo di verificare la legittimità costituzionale e l'utilità di tale istituto, con particolare riferimento alle cause in materia di lavoro. Da una rapida ma incisiva analisi storica, emerge che il t.o.c., sin dalla sua nascita (collocabile nella Francia post-rivoluzionaria), non apportò alcun miglioramento all'amministrazione della giustizia, sì da non esser contemplato né nei codici di rito preunitari né nel c.p.c. del 1865. Fu poi riscoperto dal legislatore fascista quale mezzo infallibile, a disposizione dello Stato, per controllare l'esito e il ritmo delle cause di lavoro. Accantonato col crollo del regime, fu inspiegabilmente (considerati i precedenti) riesumato nel 1978 e utilizzato sino ai giorni nostri nella speranza che contribuisse a deflazionare il carico di lavoro dei giudici. Le statistiche però dimostrano che i filtri precontenziosi non hanno mai funzionato e, anzi, ostacolando la strada del cittadino che chiede giustizia, pongono seri dubbi di legittimità costituzionale che la Consulta, con decisioni per nulla condivisibili e motivazioni a dir poco opinabili, ha sempre respinto. Dopo aver tentato di porre in evidenza le maggiori cause del fallimento dell'istituto in esame ed aver illustrato criticamente alcune proposte tese a valorizzarlo, si giunge alla conclusione che è la durata ragionevole dei processi ad essere funzionale alla conciliazione, non viceversa; e che soltanto dopo aver risanato lo stato della giustizia civile si potrà pensare di potenziare le procedure conciliative, ovviamente escludendone l'obbligatorietà.
La conciliazione obbligatoria stragiudiziale tra esigenze di deflazione processuale e dubbi di legittimità costituzionale
FUIANO, MARIO PIO
2007-01-01
Abstract
Il lavoro si inserisce in una ricerca cofinanziata dal MIUR nell’ambito dei P.R.I.N. 2003. Partendo dal presupposto che il legislatore, negli ultimi anni, al dichiarato scopo di deflazionare la giustizia civile, ha sovente stabilito, in relazione a specifiche categorie di controversie, che l'accesso alla giurisdizione fosse subordinato a un tentativo obbligatorio di conciliazione stragiudiziale, l'indagine si pone l'obiettivo di verificare la legittimità costituzionale e l'utilità di tale istituto, con particolare riferimento alle cause in materia di lavoro. Da una rapida ma incisiva analisi storica, emerge che il t.o.c., sin dalla sua nascita (collocabile nella Francia post-rivoluzionaria), non apportò alcun miglioramento all'amministrazione della giustizia, sì da non esser contemplato né nei codici di rito preunitari né nel c.p.c. del 1865. Fu poi riscoperto dal legislatore fascista quale mezzo infallibile, a disposizione dello Stato, per controllare l'esito e il ritmo delle cause di lavoro. Accantonato col crollo del regime, fu inspiegabilmente (considerati i precedenti) riesumato nel 1978 e utilizzato sino ai giorni nostri nella speranza che contribuisse a deflazionare il carico di lavoro dei giudici. Le statistiche però dimostrano che i filtri precontenziosi non hanno mai funzionato e, anzi, ostacolando la strada del cittadino che chiede giustizia, pongono seri dubbi di legittimità costituzionale che la Consulta, con decisioni per nulla condivisibili e motivazioni a dir poco opinabili, ha sempre respinto. Dopo aver tentato di porre in evidenza le maggiori cause del fallimento dell'istituto in esame ed aver illustrato criticamente alcune proposte tese a valorizzarlo, si giunge alla conclusione che è la durata ragionevole dei processi ad essere funzionale alla conciliazione, non viceversa; e che soltanto dopo aver risanato lo stato della giustizia civile si potrà pensare di potenziare le procedure conciliative, ovviamente escludendone l'obbligatorietà.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.