ABSTRACT IN ITALIANO L’indagine prende le mosse, da un lato, dal crescente ricorso alle tecniche di specializzazione della responsabilità patrimoniale e, dall’altro, dalla conquista di spazi sempre più ampi dell’autonomia privata nella gestione dell’insolvenza, sia del debitore fallibile che per quello non fallibile. Il trust, data la sua flessibilità e l’attitudine al raggiungimento ed il soddisfacimento di una pluralità di scopi ed interessi per il tramite della separazione patrimoniale, risulterebbe essere lo strumento ideale per l’autonomia privata per la migliore gestione dei rapporti creditori e per la tutela del credito nella fase patologica del rapporto obbligatorio. La prima questione che si pone è in ordine alla possibilità in generale dei privati di utilizzare tale strumento per il soddisfacimento dei propri interessi, atteso che il trust, non solo affonda le sue radici normative in un ordinamento diverso dal nostro, ma appartenente anche ad un sistema giuridico diverso, quale quello di common law. Né si tratta di un istituto di creazione dottrinale nostrano, come è stato il negozio fiduciario, del quale tuttavia il trust partecipa, in quanto in capo al trustee , oltre all’acquisto della titolarità dei beni destinati ad uno scopo , grava un fascio di obbligazioni di tipo fiduciario, strumentali al perseguimento delle finalità enucleate dal disponente. In secondo luogo, ove, nonostante il vuoto normativo, sia consentito l’ingresso alla fattispecie di cui al trust, con percorsi diversi da parte della dottrina e della giurisprudenza con cui si definisce il rapporto tra autonomia negoziale e separazione patrimoniale, bisogna individuare i limiti operativi in quei settori dell’ordinamento che disciplinano le procedure concorsuali, caratterizzate da un’impronta pubblicistica. La stratificazione normativa dell’ultimo decennio in ordine alla disciplina della crisi d impresa ha privilegiato le soluzioni concordate tra ceto creditorio e debitore rispetto alla via fallimentare e nel riscrivere la procedura fallimentare ha attenuato gli interventi pubblicistici valorizzando e potenziando la posizione degli organi non giurisdizionali nelle fasi di amministrazione, gestione e liquidazione del patrimonio. Onde favorire la competitività del sistema economico del Paese nell’ottica del confronto nel mercato europeo con altri ordinamenti il legislatore ha investito sulle iniziative e sugli auspicati contributi dei soggetti privati interessati alla soluzione delle crisi ed imboccando così un via opposta a quella, di ispirazione esclusivamente pubblicistica, rivelatasi, nel tempo, insufficiente ed inadeguata, perché fortemente penalizzante della impresa. Che in tale terreno i trusts, già in parte sperimentati nel vigore della precedente disciplina concorsuale, possano trovare ampi spazi operativi appare di intuitiva evidenza, attese la duttilità dell’istituto e la sua modernità. Occorre tuttavia delimitarne lo spazio operativo, e testarne comunque la compatibilità con una normativa che , sebbene valorizzando il ricorso a strumenti privatistici, persegue sempre interessi pubblicistici che non possono essere disattesi. CAPITOLO I L’oggetto del capitolo riguarda l’inquadramento sistematico del trust, presupposto logico per poter poi indagarne l’ambito applicativo. Si evidenziano dapprima le caratteristiche salienti dell’istituto sorto nell’ambito nelle esperienza giuridica inglese, in particolare nel seno della giurisdizione dei tribunali dell’equity e le differenze con il negozio fiduciario di stampo romanistico, del quale condivide la caratterizzazione fiduciaria delle obbligazioni del attributario dei beni finalizzati ad uno scopo. Il lavoro poi si sviluppa incentrandosi sul dibattito che è sorto all’indomani della ratifica della Convenzione dell’Aja, adottata in seno alla XII conferenza dell’Aja, con la lege 364/85, entrata in vigore il 1 gennaio del 1992. La Convenzione si proponeva nel suo preambolo di dettare il criterio per la risoluzione di del conflitto tra più ordinamenti e di regolamentare il riconoscimento del trust da parte di parte di quegli ordinamenti che tale istituto non conoscono, fornendo quindi la definizione dell’istituto e descrivendo gli effetti che il riconoscimento dell’istituto in un paese non trust avrebbe prodotto. Si creava per l‘Italia una situazione anomala , in quanto da un lato il nostro ordinamento sul piano internazionale si impegnava a riconoscere il trust e i suoi effetti, dall’altro sul piano interno si evidenziava un vuoto normativo su tale fattispecie. Onde giustificare l’ammissibilità del trust interno, parte della dottrina ha invocato accanto alla natura internazional-privatistica della convenzione anche quella di diritto materiale uniforme, per cui per il tramite della legge di ratifica ed esecuzione , essa avrebbe innovato il nostro ordinamento introducendo una nuova fattispecie negoziale , a disposizione dei cittadini italiani, i cui elementi soggettivi ed oggettivi sono tutti nazionali , ad eccezione della legge regolatrice scelta dal disponente. Un’altra opzione dottrinale prescindendo dalla natura della Convenzione, affronta il problema dell’ammissibilità del trust considerandolo come precipitato del potere dell’ autonomia privata ex art.1322 cc. In particolare il trust sarebbe espressione della categoria dei negozi atipici di destinazione con effetti separatori. Una volta ammessa per il privato la possibilità di creare patrimoni destinati al di là di quelli normativamente già previsti si sarebbe aperta la via all’ingresso del trust nel nostro ordinamento. Il lavoro dunque si enuclea la nascita e il dibattito che ha riguardato la categoria dei patrimoni destinati allo scopo , la definizione, nonchè le relative connessioni, di patrimonio destinato e patrimonio separato In particolare vengono riportate le varie soluzioni proposte dalla dottrina a favore e contro l’ammissibilità dei patrimoni destinati atipici , soprattutto in ordine alla possibilità di superare il divieto di cui all’art. 2740 II co. cc da parte dell’autonomia privata. Si offre nel testo la soluzione di comporre il contrasto tra libertà negoziale e responsabilità patrimoniale distinguendo i differenti piani su cui opera il fenomeno della destinazione e quello della separazione patrimoniale. Si precisa che la destinazione attiene al profilo negoziale , mentre la separazione è uno strumento per l’effettivo perseguimento della finalità programmate ed attiene al piano della opponibilità , è regola di conflitto tra creditori generali e creditori della destinazione . L’art. 2740 cc non fonda il diritto del creditore all’integrità ed intangibilità del patrimonio su cui soddisfarsi, ma tutela l’affidamento dei creditori, pertanto esso non risulta violato nel caso in cui l’ordinamento offra adeguata informazione dei creditori attraverso adeguati strumenti di pubblicità e la previsione di una regola di opponibilità. Pertanto anche se l’attuale stagione normativa è improntata alla specializzazione della responsabilità patrimoniale, non è consentito ai privati creare patrimoni separati cui limitare la responsabilità per un determinato fascio di obbligazioni, dovendo comunque il legislatore stabilire quando una destinazione patrimoniale sia anche opponibile ai creditori estranei e costituisca quindi un patrimonio separato. Il trust, in virtù dell’effetto separativo che produce, rientra tra quegli strumenti che realizzano una specializzazione della responsabilità , uno strumento di articolazione del patrimonio in alternativa alla tecnica della soggettivizzazione giuridica, in relazione alla quale è possibile riscontrare una omogeneità funzionale. Il fondamento normativo in virtù del quale può ammettersi che il trust realizzi una separazione opponibile e quindi che non violi l’art. 2740 cc potrebbe oggi ravvisarsi nell’art 2645 ter, norma che, a dispetto della sua collocazione tipologica , ha una valenza sostanziale, in quanto disciplina, la categoria generale dell’atto di destinazione atipico. La trascrizione del vincolo svolge il ruolo di risoluzione di conflitti tra creditori, rendendo opponibile a terzi , creditori e aventi causa del disponente , l’atto di destinazione. Tuttavia, intanto sarà trascrivibile l’atto istitutivo di trust ai sensi dell’art. 2645 ter solo a condizione che vengano rispettati tutti i requisiti di forma e di sostanza minimi richiesti dalla fattispecie, in particolare la meritevolezza dell’interesse, inteso non come mera liceità, ma come particolare rilevanza ed apprezzabilità dello stesso. CAPITOLO II Una volta ammesso il trust interno e individuata la norma che consenta l’effetto separativo nell’ambito dell’art. 2645 ter, l’unico rimedio che i creditori hanno per la tutela delle proprie ragioni allorquando un trust se pur valido leda le proprie ragioni , è l’azione revocatoria, ordinaria o fallimentare. Il capitolo in questione si apre con l’esame delle condizioni per l’applicazione dell’azione revocatoria alla fattispecie, individuando l’atto da revocare e i soggetti nei cui confronti esperirla, previa ricostruzione della struttura della fattispecie. Il lavoro prosegue poi con l’esame della opponibilità del trust al fallimento del disponente e sulla sorte della gestione del compendio separato. Particolarmente ricorrente nella prassi è la fattispecie del trust liquidatorio, che viene esaminata e messa a confronto con altri negozi dei quali condivide la finalità satisfattoria delle ragioni creditorie. Una singolare applicazione del trust liquidatorio si è avuta per evitare la procedura concorsuale. In tale fattispecie l’imprenditore istituisce un trust liquidatorio, conferendovi l’intero patrimoniale aziendale, con lo scopo di liquidare tutti i beni a favore dei creditori, ma successivamente viene dichiarato fallito. La questione affrontata riguarda l’opponibilità della liquidazione volontaria a quella fallimentare quando l’impresa si trovi in stato di decozione, ma prima ancora la stessa possibilità di procedere alla liquidazione di beni dell’impresa, individuale o collettiva , mediante conferimento di tutti i beni in un trust, con evidenti ricadute sulla decorrenza del termine per la dichiarazione di fallimento dalla cancellazione della dal registro delle imprese. CAPITOLO III Esclusa l’utilizzabilità del trust per evitare le procedure concorsuale, il lavoro procede poi nell’analizzare le possibili applicazioni dell’istituto nell’ambito delle soluzioni negoziate della crisi di impresa per agevolarne l’esecuzione. La conclusione cui si giunge è che l’applicazione del trust è inversamente proporzionale alla giurisdizionalizzazione delle procedure: tanto più lo strumento presenta profili pubblicistici tanto più ci saranno spazi applicativi per la fattispecie in questione, atteso che il ruolo del giudice è cambiato , ma non è scomparso e che, data la dimensione collettiva della crisi di impresa, a differenza dell’insolvenza civile, la disciplina dell’insolvenza ha carattere imperativo e non dispositivo. Pertanto nell’ambito degli accordi stragiudiziali, non sottoposti ad un regime pubblicitario e privi di ogni intervento statuale, non sarà ipotizzabile un utilizzo del trust , mentre esso sarà possibile nell’ambito degli accordi di ristrutturazione e del concordato preventivo , soprattutto per consentire l’etero destinazione di beni da parte di terzi a garanzia dell’esecuzione dell’accordo o del concordato e del rimborso della nuova finanza, nonché come strumento di liquidazione dei beni a favore dei creditori. Il trust troverebbe poi un ulteriore campo elettivo, ma questa volta per espressa previsione normativa, nell’ambito della procedura per il superamento della situazione di sovra indebitamento di cui all’art. 7 l. 3/12, che prevede la possibilità per il debitore di affidare ad un gestore la liquidazione , conservazione e distribuzione del ricavato. CAPITOLO IV Il depotenziamento degli organi giurisdizionali della procedura fallimentare a fronte della valorizzazione dei poteri del curatore fallimentare e del comitato dei creditori, si è risolta nella previsione di strumenti molto più flessibili ed efficienti e di un potere decisionale molto più ampio per il curatore, nel programmare le azioni e le modalità operative per soddisfare i creditori. Si è utilizzato con successo l’istituto del trust quale strumento idoneo, da un lato, ad assicurare alla massa creditoria il recupero di crediti fiscali sorti in corso di procedura e non ancora esigibili, dei crediti commerciali di difficile realizzo, nonché dei crediti futuri e, dall’altro, a consentire la chiusura anticipata del procedimento. Il vantaggio è stato riscontrato nel fatto che esso consente di passare, senza soluzione di continuità, dalla separazione patrimoniale propria del fallimento alla segregazione tipica del trust, assicurando così la persistenza del vincolo di destinazione del patrimonio appreso all’attivo della procedura a vantaggio dei creditori concorrenti, al riparo da iniziative individuali di singoli creditori e dello stesso debitore. Soluzione che tuttavia pare di certo particolarmente vantaggiosa per i creditori concorrenti, ma che si scontra con una serie di principi inderogabili in tema di fallimento , quali quelli di cui all’art. 118, 120 e 122 l.f. e soprattutto perché sposterebbe al di fuori della propria sede naturale, le operazioni di liquidazione fallimentare, prevedendo la legge che solo l’eventuale riparto supplementare ex art 117 l.f. possa avvenire a fallimento chiuso, trattandosi, invero, di somme già liquidate e assegnate ai creditori nel loro ammontare. La nuova previsione di cui all’art. 106 e 117 l.f., indicando specificamente le modalità con cui liquidare i crediti , sembrerebbe , a parere di parte della dottrina, esaurire lo strumentario a disposizione del curatore.

Trust e procedure concorsuali / Pezone, Tonia. - (2014 Apr 01). [10.14274/UNIFG/FAIR/331862]

Trust e procedure concorsuali

PEZONE, TONIA
2014-04-01

Abstract

ABSTRACT IN ITALIANO L’indagine prende le mosse, da un lato, dal crescente ricorso alle tecniche di specializzazione della responsabilità patrimoniale e, dall’altro, dalla conquista di spazi sempre più ampi dell’autonomia privata nella gestione dell’insolvenza, sia del debitore fallibile che per quello non fallibile. Il trust, data la sua flessibilità e l’attitudine al raggiungimento ed il soddisfacimento di una pluralità di scopi ed interessi per il tramite della separazione patrimoniale, risulterebbe essere lo strumento ideale per l’autonomia privata per la migliore gestione dei rapporti creditori e per la tutela del credito nella fase patologica del rapporto obbligatorio. La prima questione che si pone è in ordine alla possibilità in generale dei privati di utilizzare tale strumento per il soddisfacimento dei propri interessi, atteso che il trust, non solo affonda le sue radici normative in un ordinamento diverso dal nostro, ma appartenente anche ad un sistema giuridico diverso, quale quello di common law. Né si tratta di un istituto di creazione dottrinale nostrano, come è stato il negozio fiduciario, del quale tuttavia il trust partecipa, in quanto in capo al trustee , oltre all’acquisto della titolarità dei beni destinati ad uno scopo , grava un fascio di obbligazioni di tipo fiduciario, strumentali al perseguimento delle finalità enucleate dal disponente. In secondo luogo, ove, nonostante il vuoto normativo, sia consentito l’ingresso alla fattispecie di cui al trust, con percorsi diversi da parte della dottrina e della giurisprudenza con cui si definisce il rapporto tra autonomia negoziale e separazione patrimoniale, bisogna individuare i limiti operativi in quei settori dell’ordinamento che disciplinano le procedure concorsuali, caratterizzate da un’impronta pubblicistica. La stratificazione normativa dell’ultimo decennio in ordine alla disciplina della crisi d impresa ha privilegiato le soluzioni concordate tra ceto creditorio e debitore rispetto alla via fallimentare e nel riscrivere la procedura fallimentare ha attenuato gli interventi pubblicistici valorizzando e potenziando la posizione degli organi non giurisdizionali nelle fasi di amministrazione, gestione e liquidazione del patrimonio. Onde favorire la competitività del sistema economico del Paese nell’ottica del confronto nel mercato europeo con altri ordinamenti il legislatore ha investito sulle iniziative e sugli auspicati contributi dei soggetti privati interessati alla soluzione delle crisi ed imboccando così un via opposta a quella, di ispirazione esclusivamente pubblicistica, rivelatasi, nel tempo, insufficiente ed inadeguata, perché fortemente penalizzante della impresa. Che in tale terreno i trusts, già in parte sperimentati nel vigore della precedente disciplina concorsuale, possano trovare ampi spazi operativi appare di intuitiva evidenza, attese la duttilità dell’istituto e la sua modernità. Occorre tuttavia delimitarne lo spazio operativo, e testarne comunque la compatibilità con una normativa che , sebbene valorizzando il ricorso a strumenti privatistici, persegue sempre interessi pubblicistici che non possono essere disattesi. CAPITOLO I L’oggetto del capitolo riguarda l’inquadramento sistematico del trust, presupposto logico per poter poi indagarne l’ambito applicativo. Si evidenziano dapprima le caratteristiche salienti dell’istituto sorto nell’ambito nelle esperienza giuridica inglese, in particolare nel seno della giurisdizione dei tribunali dell’equity e le differenze con il negozio fiduciario di stampo romanistico, del quale condivide la caratterizzazione fiduciaria delle obbligazioni del attributario dei beni finalizzati ad uno scopo. Il lavoro poi si sviluppa incentrandosi sul dibattito che è sorto all’indomani della ratifica della Convenzione dell’Aja, adottata in seno alla XII conferenza dell’Aja, con la lege 364/85, entrata in vigore il 1 gennaio del 1992. La Convenzione si proponeva nel suo preambolo di dettare il criterio per la risoluzione di del conflitto tra più ordinamenti e di regolamentare il riconoscimento del trust da parte di parte di quegli ordinamenti che tale istituto non conoscono, fornendo quindi la definizione dell’istituto e descrivendo gli effetti che il riconoscimento dell’istituto in un paese non trust avrebbe prodotto. Si creava per l‘Italia una situazione anomala , in quanto da un lato il nostro ordinamento sul piano internazionale si impegnava a riconoscere il trust e i suoi effetti, dall’altro sul piano interno si evidenziava un vuoto normativo su tale fattispecie. Onde giustificare l’ammissibilità del trust interno, parte della dottrina ha invocato accanto alla natura internazional-privatistica della convenzione anche quella di diritto materiale uniforme, per cui per il tramite della legge di ratifica ed esecuzione , essa avrebbe innovato il nostro ordinamento introducendo una nuova fattispecie negoziale , a disposizione dei cittadini italiani, i cui elementi soggettivi ed oggettivi sono tutti nazionali , ad eccezione della legge regolatrice scelta dal disponente. Un’altra opzione dottrinale prescindendo dalla natura della Convenzione, affronta il problema dell’ammissibilità del trust considerandolo come precipitato del potere dell’ autonomia privata ex art.1322 cc. In particolare il trust sarebbe espressione della categoria dei negozi atipici di destinazione con effetti separatori. Una volta ammessa per il privato la possibilità di creare patrimoni destinati al di là di quelli normativamente già previsti si sarebbe aperta la via all’ingresso del trust nel nostro ordinamento. Il lavoro dunque si enuclea la nascita e il dibattito che ha riguardato la categoria dei patrimoni destinati allo scopo , la definizione, nonchè le relative connessioni, di patrimonio destinato e patrimonio separato In particolare vengono riportate le varie soluzioni proposte dalla dottrina a favore e contro l’ammissibilità dei patrimoni destinati atipici , soprattutto in ordine alla possibilità di superare il divieto di cui all’art. 2740 II co. cc da parte dell’autonomia privata. Si offre nel testo la soluzione di comporre il contrasto tra libertà negoziale e responsabilità patrimoniale distinguendo i differenti piani su cui opera il fenomeno della destinazione e quello della separazione patrimoniale. Si precisa che la destinazione attiene al profilo negoziale , mentre la separazione è uno strumento per l’effettivo perseguimento della finalità programmate ed attiene al piano della opponibilità , è regola di conflitto tra creditori generali e creditori della destinazione . L’art. 2740 cc non fonda il diritto del creditore all’integrità ed intangibilità del patrimonio su cui soddisfarsi, ma tutela l’affidamento dei creditori, pertanto esso non risulta violato nel caso in cui l’ordinamento offra adeguata informazione dei creditori attraverso adeguati strumenti di pubblicità e la previsione di una regola di opponibilità. Pertanto anche se l’attuale stagione normativa è improntata alla specializzazione della responsabilità patrimoniale, non è consentito ai privati creare patrimoni separati cui limitare la responsabilità per un determinato fascio di obbligazioni, dovendo comunque il legislatore stabilire quando una destinazione patrimoniale sia anche opponibile ai creditori estranei e costituisca quindi un patrimonio separato. Il trust, in virtù dell’effetto separativo che produce, rientra tra quegli strumenti che realizzano una specializzazione della responsabilità , uno strumento di articolazione del patrimonio in alternativa alla tecnica della soggettivizzazione giuridica, in relazione alla quale è possibile riscontrare una omogeneità funzionale. Il fondamento normativo in virtù del quale può ammettersi che il trust realizzi una separazione opponibile e quindi che non violi l’art. 2740 cc potrebbe oggi ravvisarsi nell’art 2645 ter, norma che, a dispetto della sua collocazione tipologica , ha una valenza sostanziale, in quanto disciplina, la categoria generale dell’atto di destinazione atipico. La trascrizione del vincolo svolge il ruolo di risoluzione di conflitti tra creditori, rendendo opponibile a terzi , creditori e aventi causa del disponente , l’atto di destinazione. Tuttavia, intanto sarà trascrivibile l’atto istitutivo di trust ai sensi dell’art. 2645 ter solo a condizione che vengano rispettati tutti i requisiti di forma e di sostanza minimi richiesti dalla fattispecie, in particolare la meritevolezza dell’interesse, inteso non come mera liceità, ma come particolare rilevanza ed apprezzabilità dello stesso. CAPITOLO II Una volta ammesso il trust interno e individuata la norma che consenta l’effetto separativo nell’ambito dell’art. 2645 ter, l’unico rimedio che i creditori hanno per la tutela delle proprie ragioni allorquando un trust se pur valido leda le proprie ragioni , è l’azione revocatoria, ordinaria o fallimentare. Il capitolo in questione si apre con l’esame delle condizioni per l’applicazione dell’azione revocatoria alla fattispecie, individuando l’atto da revocare e i soggetti nei cui confronti esperirla, previa ricostruzione della struttura della fattispecie. Il lavoro prosegue poi con l’esame della opponibilità del trust al fallimento del disponente e sulla sorte della gestione del compendio separato. Particolarmente ricorrente nella prassi è la fattispecie del trust liquidatorio, che viene esaminata e messa a confronto con altri negozi dei quali condivide la finalità satisfattoria delle ragioni creditorie. Una singolare applicazione del trust liquidatorio si è avuta per evitare la procedura concorsuale. In tale fattispecie l’imprenditore istituisce un trust liquidatorio, conferendovi l’intero patrimoniale aziendale, con lo scopo di liquidare tutti i beni a favore dei creditori, ma successivamente viene dichiarato fallito. La questione affrontata riguarda l’opponibilità della liquidazione volontaria a quella fallimentare quando l’impresa si trovi in stato di decozione, ma prima ancora la stessa possibilità di procedere alla liquidazione di beni dell’impresa, individuale o collettiva , mediante conferimento di tutti i beni in un trust, con evidenti ricadute sulla decorrenza del termine per la dichiarazione di fallimento dalla cancellazione della dal registro delle imprese. CAPITOLO III Esclusa l’utilizzabilità del trust per evitare le procedure concorsuale, il lavoro procede poi nell’analizzare le possibili applicazioni dell’istituto nell’ambito delle soluzioni negoziate della crisi di impresa per agevolarne l’esecuzione. La conclusione cui si giunge è che l’applicazione del trust è inversamente proporzionale alla giurisdizionalizzazione delle procedure: tanto più lo strumento presenta profili pubblicistici tanto più ci saranno spazi applicativi per la fattispecie in questione, atteso che il ruolo del giudice è cambiato , ma non è scomparso e che, data la dimensione collettiva della crisi di impresa, a differenza dell’insolvenza civile, la disciplina dell’insolvenza ha carattere imperativo e non dispositivo. Pertanto nell’ambito degli accordi stragiudiziali, non sottoposti ad un regime pubblicitario e privi di ogni intervento statuale, non sarà ipotizzabile un utilizzo del trust , mentre esso sarà possibile nell’ambito degli accordi di ristrutturazione e del concordato preventivo , soprattutto per consentire l’etero destinazione di beni da parte di terzi a garanzia dell’esecuzione dell’accordo o del concordato e del rimborso della nuova finanza, nonché come strumento di liquidazione dei beni a favore dei creditori. Il trust troverebbe poi un ulteriore campo elettivo, ma questa volta per espressa previsione normativa, nell’ambito della procedura per il superamento della situazione di sovra indebitamento di cui all’art. 7 l. 3/12, che prevede la possibilità per il debitore di affidare ad un gestore la liquidazione , conservazione e distribuzione del ricavato. CAPITOLO IV Il depotenziamento degli organi giurisdizionali della procedura fallimentare a fronte della valorizzazione dei poteri del curatore fallimentare e del comitato dei creditori, si è risolta nella previsione di strumenti molto più flessibili ed efficienti e di un potere decisionale molto più ampio per il curatore, nel programmare le azioni e le modalità operative per soddisfare i creditori. Si è utilizzato con successo l’istituto del trust quale strumento idoneo, da un lato, ad assicurare alla massa creditoria il recupero di crediti fiscali sorti in corso di procedura e non ancora esigibili, dei crediti commerciali di difficile realizzo, nonché dei crediti futuri e, dall’altro, a consentire la chiusura anticipata del procedimento. Il vantaggio è stato riscontrato nel fatto che esso consente di passare, senza soluzione di continuità, dalla separazione patrimoniale propria del fallimento alla segregazione tipica del trust, assicurando così la persistenza del vincolo di destinazione del patrimonio appreso all’attivo della procedura a vantaggio dei creditori concorrenti, al riparo da iniziative individuali di singoli creditori e dello stesso debitore. Soluzione che tuttavia pare di certo particolarmente vantaggiosa per i creditori concorrenti, ma che si scontra con una serie di principi inderogabili in tema di fallimento , quali quelli di cui all’art. 118, 120 e 122 l.f. e soprattutto perché sposterebbe al di fuori della propria sede naturale, le operazioni di liquidazione fallimentare, prevedendo la legge che solo l’eventuale riparto supplementare ex art 117 l.f. possa avvenire a fallimento chiuso, trattandosi, invero, di somme già liquidate e assegnate ai creditori nel loro ammontare. La nuova previsione di cui all’art. 106 e 117 l.f., indicando specificamente le modalità con cui liquidare i crediti , sembrerebbe , a parere di parte della dottrina, esaurire lo strumentario a disposizione del curatore.
1-apr-2014
trust, procedure concorsuali
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