Nel tentativo di superare le obiezioni sul relativismo e sull’assoluta variabilità dei modelli etici e culturali nelle materie bioeticamente connotate (si pensi in particolare alla c.d. eutanasia), la monografia argomenta dalle tesi che, in ambiente strettamente scientifico, sostengono l’esistenza di una grammatica morale universale e che rivalutano le potenzialità del ragionamento emotivo, superando la tradizionale dicotomia mente/corpo. In tale direzione, sono in particolare indagate le funzioni dei c.d. neuroni specchio, oggi ampiamente confermate dalle tecniche di neuro-imaging. Tali neuroni giocano un ruolo determinante nell’apprendimento del linguaggio e, più in genere, ai fini della comunicazione; permettono di cogliere i singoli comportamenti nella loro specificità direzionale e, dunque, nel loro significato sociale di atti, come tale rilevante per il diritto; permettono di riconoscere le emozioni altrui e fondano l’empatia, concorrendo a creare uno spazio d’azione condiviso, condizione essenziale di qualunque forma di socialità. L’elaborato verifica quindi in che modo le funzioni e il funzionamento dei neuroni specchio si riflettano sul diritto penale, branca giuridica alla quale per tradizione (e principio) lo Stato affida le scelte sociali più rilevanti. L’idea è che la convergenza nella soluzione di alcuni celebri dilemmi etici (il più abusato è quello della “locomotiva”, elaborato dalla filosofa P. FOOT) dipenda dal funzionamento comune delle strutture neuronali. Essa spiegherebbe la ragione per cui, al di là delle successive (ex post) giustificazioni, la reazione istintiva di fronte ad alcuni casi ad alto contenuto bioetico (si pensi all’eutanasia) sia sostanzialmente identica in tutti gli spettatori. Ovviamente, condizione per l’attivazione dei neuroni specchio e dunque per il funzionamento della forma di empatia di cui si parla è la visione diretta ovvero simulata della scena-base (gli esperimenti dimostrano che i neuroni specchio umani si attivano, sebbene meno intensamente, anche nel caso di scene simulate). Se così fosse, pur in mancanza di una etica unica e generalmente condivisa (intesa in senso prescrittivo, come elaborazione culturale, di secondo grado), sarebbe possibile fare affidamento su una conoscenza pre-linguistica e pre-concettuale comune, fondata (descrittivamente) sull’empatia, allo scopo di conformare la soluzione (anche) giuridica di casi ad alto tasso di drammaticità umana. La tecnica della procedimentalizzazione in materia bioetica, se opportunamente usata, avrebbe il vantaggio di avvicinare il soggetto cui è rimesso il potere/dovere di decidere al fatto, senza che ciò accresca gli spazi di discrezionalità del giudizio (come tradizionalmente ritenuto). Anzi, si potrebbe sostenere che soltanto il fatto (e non il precetto), unico nella sua individualità, sia in grado di orientare nella scelta della soluzione condivisa, fugando la tentazione di giungere a soluzioni astratte di tipo dicotomico (vietato/permesso), che configgerebbero con le differenti sensibilità e rafforzerebbero l’idea di un diritto penale imposto dall’alto anche nei casi che più drammaticamente coinvolgono le coscienze dei singoli.

Un diritto penale empatico? Diritto penale, bioetica e neuroetica

DI GIOVINE, OMBRETTA
2009-01-01

Abstract

Nel tentativo di superare le obiezioni sul relativismo e sull’assoluta variabilità dei modelli etici e culturali nelle materie bioeticamente connotate (si pensi in particolare alla c.d. eutanasia), la monografia argomenta dalle tesi che, in ambiente strettamente scientifico, sostengono l’esistenza di una grammatica morale universale e che rivalutano le potenzialità del ragionamento emotivo, superando la tradizionale dicotomia mente/corpo. In tale direzione, sono in particolare indagate le funzioni dei c.d. neuroni specchio, oggi ampiamente confermate dalle tecniche di neuro-imaging. Tali neuroni giocano un ruolo determinante nell’apprendimento del linguaggio e, più in genere, ai fini della comunicazione; permettono di cogliere i singoli comportamenti nella loro specificità direzionale e, dunque, nel loro significato sociale di atti, come tale rilevante per il diritto; permettono di riconoscere le emozioni altrui e fondano l’empatia, concorrendo a creare uno spazio d’azione condiviso, condizione essenziale di qualunque forma di socialità. L’elaborato verifica quindi in che modo le funzioni e il funzionamento dei neuroni specchio si riflettano sul diritto penale, branca giuridica alla quale per tradizione (e principio) lo Stato affida le scelte sociali più rilevanti. L’idea è che la convergenza nella soluzione di alcuni celebri dilemmi etici (il più abusato è quello della “locomotiva”, elaborato dalla filosofa P. FOOT) dipenda dal funzionamento comune delle strutture neuronali. Essa spiegherebbe la ragione per cui, al di là delle successive (ex post) giustificazioni, la reazione istintiva di fronte ad alcuni casi ad alto contenuto bioetico (si pensi all’eutanasia) sia sostanzialmente identica in tutti gli spettatori. Ovviamente, condizione per l’attivazione dei neuroni specchio e dunque per il funzionamento della forma di empatia di cui si parla è la visione diretta ovvero simulata della scena-base (gli esperimenti dimostrano che i neuroni specchio umani si attivano, sebbene meno intensamente, anche nel caso di scene simulate). Se così fosse, pur in mancanza di una etica unica e generalmente condivisa (intesa in senso prescrittivo, come elaborazione culturale, di secondo grado), sarebbe possibile fare affidamento su una conoscenza pre-linguistica e pre-concettuale comune, fondata (descrittivamente) sull’empatia, allo scopo di conformare la soluzione (anche) giuridica di casi ad alto tasso di drammaticità umana. La tecnica della procedimentalizzazione in materia bioetica, se opportunamente usata, avrebbe il vantaggio di avvicinare il soggetto cui è rimesso il potere/dovere di decidere al fatto, senza che ciò accresca gli spazi di discrezionalità del giudizio (come tradizionalmente ritenuto). Anzi, si potrebbe sostenere che soltanto il fatto (e non il precetto), unico nella sua individualità, sia in grado di orientare nella scelta della soluzione condivisa, fugando la tentazione di giungere a soluzioni astratte di tipo dicotomico (vietato/permesso), che configgerebbero con le differenti sensibilità e rafforzerebbero l’idea di un diritto penale imposto dall’alto anche nei casi che più drammaticamente coinvolgono le coscienze dei singoli.
2009
9788834897829
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11369/17247
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