Lo studio analizza il fenomeno della crescita esponenziale delle confessioni cristiane autoctone africane nel Sudafrica contemporaneo, fenomeno poco conosciuto ed approfondito ma che, avendo ormai tali confessioni abbondantemente superato quanto a numero di aderenti le Chiese “tradizionali”, costituisce un elemento decisivo di comprensione della realtà di una delle potenze emergenti. L’approccio storico è fondamentale per l’analisi di questo fenomeno, ed aiuta a coglierne le cangianti caratteristiche. L’intreccio con la politica e la storia tormentata del paese è evidente se si osserva che nell’ottobre del 1995 Nelson Mandela, a capo del nuovo Sudafrica da poco più di un anno, intervenendo alla cerimonia funebre di Amos Shembe, leader della Chiesa sionista dei nazariti, ha affermato solennemente che la fondazione di quella Chiesa, avvenuta nel 1910 ad opera del nonno, Isaiah Shembe, costituì “un atto di sfida contro coloro che odiavano tutto ciò che è africano”. Il “sorpasso” stava per compiersi. Di lì a pochi anni, per la prima volta nella storia del cristianesimo in Sudafrica più del 50% dei neri del paese avrebbe aderito ad una Chiesa africana indipendente. Con le sue parole Mandela, leader dell’African National Congress, simbolo e protagonista della lotta al regime razzista dell’apartheid, inserì l’esperienza delle Chiese autonome nel novero della opposizione alla segregazione. Si unì così a quel filone interpretativo che ha visto nella scelta di alcuni cristiani africani di fondare gruppi indipendenti, una forma “primaria” di resistenza alla dominazione europea. Un filone che ha tra i più autorevoli esponenti l’antropologo italiano Vittorio Lanternari, autore di Movimenti religiosi di libertà e di salvezza dei popoli oppressi. La tesi è suggestiva, ma non esaurisce tutti i motivi che sono all’origine di un fenomeno complesso e molecolare, che ha coinvolto molte aree del continente ma ha avuto nel condominio anglo-boero il suo epicentro principale. Certo, di fronte a un potere coloniale – e nel caso del Sudafrica dichiaratamente razzista – che non tollerava opposizione o dissenso, l’ambito religioso rimaneva l’ultimo in cui esprimere una protesta e rivendicare la propria identità. Nelle Chiese autonome il Dio cristiano non veniva rifiutato, ma lo si poteva raggiungere, invocare e celebrare senza l’intermediazione e la direzione degli europei. Lo slogan che meglio esprime l’intreccio tra autonomismo religioso e rivendicazioni politiche e sociali è quello coniato dai “profeti agitatori zulu” sudafricani: «Prima noi avevamo la terra e voi avevate la Bibbia. Ora voi avete la terra, a noi è rimasta la Bibbia».

Solo neri in paradiso?

PICCIAREDDA, STEFANO
2010-01-01

Abstract

Lo studio analizza il fenomeno della crescita esponenziale delle confessioni cristiane autoctone africane nel Sudafrica contemporaneo, fenomeno poco conosciuto ed approfondito ma che, avendo ormai tali confessioni abbondantemente superato quanto a numero di aderenti le Chiese “tradizionali”, costituisce un elemento decisivo di comprensione della realtà di una delle potenze emergenti. L’approccio storico è fondamentale per l’analisi di questo fenomeno, ed aiuta a coglierne le cangianti caratteristiche. L’intreccio con la politica e la storia tormentata del paese è evidente se si osserva che nell’ottobre del 1995 Nelson Mandela, a capo del nuovo Sudafrica da poco più di un anno, intervenendo alla cerimonia funebre di Amos Shembe, leader della Chiesa sionista dei nazariti, ha affermato solennemente che la fondazione di quella Chiesa, avvenuta nel 1910 ad opera del nonno, Isaiah Shembe, costituì “un atto di sfida contro coloro che odiavano tutto ciò che è africano”. Il “sorpasso” stava per compiersi. Di lì a pochi anni, per la prima volta nella storia del cristianesimo in Sudafrica più del 50% dei neri del paese avrebbe aderito ad una Chiesa africana indipendente. Con le sue parole Mandela, leader dell’African National Congress, simbolo e protagonista della lotta al regime razzista dell’apartheid, inserì l’esperienza delle Chiese autonome nel novero della opposizione alla segregazione. Si unì così a quel filone interpretativo che ha visto nella scelta di alcuni cristiani africani di fondare gruppi indipendenti, una forma “primaria” di resistenza alla dominazione europea. Un filone che ha tra i più autorevoli esponenti l’antropologo italiano Vittorio Lanternari, autore di Movimenti religiosi di libertà e di salvezza dei popoli oppressi. La tesi è suggestiva, ma non esaurisce tutti i motivi che sono all’origine di un fenomeno complesso e molecolare, che ha coinvolto molte aree del continente ma ha avuto nel condominio anglo-boero il suo epicentro principale. Certo, di fronte a un potere coloniale – e nel caso del Sudafrica dichiaratamente razzista – che non tollerava opposizione o dissenso, l’ambito religioso rimaneva l’ultimo in cui esprimere una protesta e rivendicare la propria identità. Nelle Chiese autonome il Dio cristiano non veniva rifiutato, ma lo si poteva raggiungere, invocare e celebrare senza l’intermediazione e la direzione degli europei. Lo slogan che meglio esprime l’intreccio tra autonomismo religioso e rivendicazioni politiche e sociali è quello coniato dai “profeti agitatori zulu” sudafricani: «Prima noi avevamo la terra e voi avevate la Bibbia. Ora voi avete la terra, a noi è rimasta la Bibbia».
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