Introduzione al libro "Il sogno europeo tra storia e futuro", curato da Stefano Picciaredda, che ospita i contributi di Agostino Giovagnoli, Jean-Dominique Durand, Augusto D'Angelo, Ugo Villani e altri. Si tratta di un libro dichiaratamente europeista. È scritto da storici - ma non manca il contributo prezioso di un giurista - che affrontano le vicende europee con il metodo scientifico, il distacco, l’oggettività che contraddistingue gli studi storici, sempre preoccupati non di giudicare, condannare o assolvere ma di comprendere in profondità e liberare dalle semplificazioni. Tuttavia, gli autori hanno in comune la convinzione che proprio un’analisi scevra da intenti partigiani riveli l’importanza dell’integrazione europea, come punto di non ritorno e base per la costruzione di una pace duratura. Il Premio Nobel per la Pace del 2012 all’Europa ha confermato autorevolmente questa intuizione. Il nostro titolo riprende quello di un fortunato volume del noto economista americano Jeremy Rifkin, che ha comparato il sogno europeo all’american dream. Per Rifkin quello americano è ormai un sogno vecchio, fondato sul successo individuale, sul benessere del singolo che ha opportunità illimitate. Il sogno europeo invece “pone l’accento sulle relazioni comunitarie più che sull’autonomia individuale, sulla diversità culturale più che sull’assimilazione, sulla qualità della vita più che sull’accumulazione della ricchezza, sullo sviluppo sostenibile più che sull’illimitata crescita materiale” . Quello europeo sarebbe, in sintesi, un sogno comune, inclusivo, che mira a realizzare un benessere sostenibile per una società intera, e non solo a creare possibilità per gli individui. È da questo sogno che è scaturita - tra l’altro - l’Unione europea, una costruzione complessa e unica nel suo genere: non è uno Stato né una federazione ma può introdurre norme cogenti per i suoi membri, senza avere autorità diretta sul territorio. È retta da un triangolo di istituzioni - Consiglio, Commissione, Parlamento - i cui poteri e competenze, sensibilmente diversi da quelli rivestiti da analoghi organi degli Stati nazionali, pochi europei saprebbero illustrare correttamente. Le vicende dell’Unione si studiano poco, trascurate dai manuali di storia e dai programmi scolastici. Sono il prodotto delle visioni audaci di personalità come Spinelli, Monnet, Schuman, De Gasperi, Adenauer, Spaak, Delors, che pure risultano sconosciute ai più giovani: nonostante eserciti un’influenza decisiva nella vita quotidiana di ognuno di noi, la costruzione europea è in crisi. Gli europei, impauriti e disorientati nel caos globale della crisi senza volto, si disaffezionano al sogno comune. Hanno votato in pochi alle elezioni europee (appena il 43% di affluenza nel 2009), affidandosi a candidati “euroscettici” e inviando al Parlamento di Strasburgo 113 deputati estremisti e antieuropeisti, divenuti il terzo blocco politico (dopo popolari e socialisti). Faticano a trovare motivi di identificazione continentale e venerano il locale, il particolare e chi sembra difenderlo. Non hanno memoria. Il sogno europeo, infatti, è nato dalla tragedia della prima metà del Novecento. Quando per due volte la guerra in Europa ha contagiato il mondo intero, e ha generato l’abisso del male, Auschwitz, capace di inghiottire milioni di vite innocenti. Ubriachi di senso di superiorità, gli europei di quegli anni si sono trovati senza anticorpi di fronte al virus del razzismo e del disprezzo dell’altro. In nome del darwinismo sociale si sono sentiti in dovere di eliminare le “razze inferiori”, ebrei, zingari, slavi, portando così il continente al suicidio. È dalle macerie di Dresda e Coventry che si è levato il “Mai più!” di spiriti illuminati. Per la prima volta nella storia la consapevolezza dell’assurdità della guerra si è tradotta in una graduale e solida costruzione unitaria. “Povere frontiere” destinate a sparire, diceva Robert Schuman. Oggi l’Europa è l’area del mondo più prospera e con la più alta qualità della vita. L’Unione rappresenta un grande successo economico e istituzionale. È il solo processo di integrazione funzionante al mondo. Ha definitivamente affermato la democrazia, i diritti sociali, la libertà, in un continente abituato alla rissa e alla frantumazione. È la “prima entità politica della storia la cui ragion d’essere è costruire la pace” (Rifkin). Ha mostrato che i diritti dell’uomo sono davvero universali, e lavora per diffonderli. I successi nella battaglia per liberare il pianeta dalla pena di morte ne sono un esempio. Quando un membro è tentato dall’antisemitismo o dall’antigitanismo, l’Europa interviene. Come ricorda Riccardo Perissich, “l’Unione europea è un’impresa che ha avuto uno sviluppo straordinario, l’unico grande progetto politico che non si sia concluso nel sangue e nella miseria” . Il problema è che l’Unione non riesce a rappresentare un soggetto in grado di appassionare gli europei. Anche un europeista convinto come Enrico Letta definisce l’architettura istituzionale della UE “barocca, complessa, farraginosa, soprattutto incomprensibile al cittadino europeo” . Ma occorre fare attenzione a non confondere il sogno europeo con gli eccessi di burocraticismo delle istituzioni unitarie, né con le difficoltà economiche e finanziarie che l’Europa sta sperimentando in questa stagione, dopo essersi dotata di una moneta unica che - sola al mondo - ha bisogno per funzionare di un virtuosismo pubblico, finanziario e gestionale, che i governi europei stentano a darsi. L’Europa non è solo questo. È nella missione che si è data con l’articolo 3 del Trattato di Lisbona, che esprime l’impegno a contagiare pace, diritti e sviluppo al mondo stabilendo che l’Unione intende “contribuire alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all'eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani, in particolare del minore”. Il 9 maggio 1950, nel pensarla più unita, Schuman aveva dichiarato che l'Europa deve “proseguire nella realizzazione di uno dei suoi compiti essenziali: lo sviluppo del continente africano”. Queste pagine intendono allora fornire ai cittadini europei maggiore consapevolezza della missione e del sogno europeo, perché è responsabilità di tutti edificare un continente che non sia una fortezza di benessere (calante) ma un motore di sviluppo umano globale.

Introduzione

PICCIAREDDA, STEFANO
2012-01-01

Abstract

Introduzione al libro "Il sogno europeo tra storia e futuro", curato da Stefano Picciaredda, che ospita i contributi di Agostino Giovagnoli, Jean-Dominique Durand, Augusto D'Angelo, Ugo Villani e altri. Si tratta di un libro dichiaratamente europeista. È scritto da storici - ma non manca il contributo prezioso di un giurista - che affrontano le vicende europee con il metodo scientifico, il distacco, l’oggettività che contraddistingue gli studi storici, sempre preoccupati non di giudicare, condannare o assolvere ma di comprendere in profondità e liberare dalle semplificazioni. Tuttavia, gli autori hanno in comune la convinzione che proprio un’analisi scevra da intenti partigiani riveli l’importanza dell’integrazione europea, come punto di non ritorno e base per la costruzione di una pace duratura. Il Premio Nobel per la Pace del 2012 all’Europa ha confermato autorevolmente questa intuizione. Il nostro titolo riprende quello di un fortunato volume del noto economista americano Jeremy Rifkin, che ha comparato il sogno europeo all’american dream. Per Rifkin quello americano è ormai un sogno vecchio, fondato sul successo individuale, sul benessere del singolo che ha opportunità illimitate. Il sogno europeo invece “pone l’accento sulle relazioni comunitarie più che sull’autonomia individuale, sulla diversità culturale più che sull’assimilazione, sulla qualità della vita più che sull’accumulazione della ricchezza, sullo sviluppo sostenibile più che sull’illimitata crescita materiale” . Quello europeo sarebbe, in sintesi, un sogno comune, inclusivo, che mira a realizzare un benessere sostenibile per una società intera, e non solo a creare possibilità per gli individui. È da questo sogno che è scaturita - tra l’altro - l’Unione europea, una costruzione complessa e unica nel suo genere: non è uno Stato né una federazione ma può introdurre norme cogenti per i suoi membri, senza avere autorità diretta sul territorio. È retta da un triangolo di istituzioni - Consiglio, Commissione, Parlamento - i cui poteri e competenze, sensibilmente diversi da quelli rivestiti da analoghi organi degli Stati nazionali, pochi europei saprebbero illustrare correttamente. Le vicende dell’Unione si studiano poco, trascurate dai manuali di storia e dai programmi scolastici. Sono il prodotto delle visioni audaci di personalità come Spinelli, Monnet, Schuman, De Gasperi, Adenauer, Spaak, Delors, che pure risultano sconosciute ai più giovani: nonostante eserciti un’influenza decisiva nella vita quotidiana di ognuno di noi, la costruzione europea è in crisi. Gli europei, impauriti e disorientati nel caos globale della crisi senza volto, si disaffezionano al sogno comune. Hanno votato in pochi alle elezioni europee (appena il 43% di affluenza nel 2009), affidandosi a candidati “euroscettici” e inviando al Parlamento di Strasburgo 113 deputati estremisti e antieuropeisti, divenuti il terzo blocco politico (dopo popolari e socialisti). Faticano a trovare motivi di identificazione continentale e venerano il locale, il particolare e chi sembra difenderlo. Non hanno memoria. Il sogno europeo, infatti, è nato dalla tragedia della prima metà del Novecento. Quando per due volte la guerra in Europa ha contagiato il mondo intero, e ha generato l’abisso del male, Auschwitz, capace di inghiottire milioni di vite innocenti. Ubriachi di senso di superiorità, gli europei di quegli anni si sono trovati senza anticorpi di fronte al virus del razzismo e del disprezzo dell’altro. In nome del darwinismo sociale si sono sentiti in dovere di eliminare le “razze inferiori”, ebrei, zingari, slavi, portando così il continente al suicidio. È dalle macerie di Dresda e Coventry che si è levato il “Mai più!” di spiriti illuminati. Per la prima volta nella storia la consapevolezza dell’assurdità della guerra si è tradotta in una graduale e solida costruzione unitaria. “Povere frontiere” destinate a sparire, diceva Robert Schuman. Oggi l’Europa è l’area del mondo più prospera e con la più alta qualità della vita. L’Unione rappresenta un grande successo economico e istituzionale. È il solo processo di integrazione funzionante al mondo. Ha definitivamente affermato la democrazia, i diritti sociali, la libertà, in un continente abituato alla rissa e alla frantumazione. È la “prima entità politica della storia la cui ragion d’essere è costruire la pace” (Rifkin). Ha mostrato che i diritti dell’uomo sono davvero universali, e lavora per diffonderli. I successi nella battaglia per liberare il pianeta dalla pena di morte ne sono un esempio. Quando un membro è tentato dall’antisemitismo o dall’antigitanismo, l’Europa interviene. Come ricorda Riccardo Perissich, “l’Unione europea è un’impresa che ha avuto uno sviluppo straordinario, l’unico grande progetto politico che non si sia concluso nel sangue e nella miseria” . Il problema è che l’Unione non riesce a rappresentare un soggetto in grado di appassionare gli europei. Anche un europeista convinto come Enrico Letta definisce l’architettura istituzionale della UE “barocca, complessa, farraginosa, soprattutto incomprensibile al cittadino europeo” . Ma occorre fare attenzione a non confondere il sogno europeo con gli eccessi di burocraticismo delle istituzioni unitarie, né con le difficoltà economiche e finanziarie che l’Europa sta sperimentando in questa stagione, dopo essersi dotata di una moneta unica che - sola al mondo - ha bisogno per funzionare di un virtuosismo pubblico, finanziario e gestionale, che i governi europei stentano a darsi. L’Europa non è solo questo. È nella missione che si è data con l’articolo 3 del Trattato di Lisbona, che esprime l’impegno a contagiare pace, diritti e sviluppo al mondo stabilendo che l’Unione intende “contribuire alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all'eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani, in particolare del minore”. Il 9 maggio 1950, nel pensarla più unita, Schuman aveva dichiarato che l'Europa deve “proseguire nella realizzazione di uno dei suoi compiti essenziali: lo sviluppo del continente africano”. Queste pagine intendono allora fornire ai cittadini europei maggiore consapevolezza della missione e del sogno europeo, perché è responsabilità di tutti edificare un continente che non sia una fortezza di benessere (calante) ma un motore di sviluppo umano globale.
2012
9788884315090
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11369/157590
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