L’articolo, dopo alcune brevi premesse sulla produttività si sviluppa ponendo l’attenzione sul rapporto tra la produttività e la qualità del lavoro, tema vastissimo soprattutto per la difficoltà di definire il secondo fattore di questo rapporto. Quando, infatti, si abbandona il territorio delle grandezze quantitative e si comincia a riflettere sul problema della qualità del lavoro, si ha subito l’impressione di muoversi su un terreno assai scivoloso, posto che mentre sul concetto di quantità è tradizionalmente più facile intendersi, non è altrettanto agevole trovare una definizione di qualità che sia sufficientemente chiara e condivisa nei suoi significati. Preso atto di tale pluridimensionalità, l’analisi giuridica si concentra su quelle ‘dimensioni’ che sperimentano, in modo più diretto, il nesso produttività/qualità del lavoro (limitatamente al lavoro privato), ovvero la professionalità e la formazione, nonché, per alcuni profili, la flessibilità occupazionale, temi ai quali si riconnette anche il problema della misurazione della qualità del lavoro sul piano della corrispettività/retribuzione. L’itinerario di lettura ha inizio da uno schematico richiamo di alcune coordinate di fondo sulla nozione di capitale umano che necessariamente portano a un dialogo con la scienza economica, tale da «accertare la rispondenza tra esigenze economiche e strumenti giuridici», senza, peraltro incorrere nel rischio, più volte sollevato, di travolgere l’essenza del diritto del lavoro. L’A. cerca, poi, di dimostrare come aumentare la produttività non significhi soltanto chiedere ai dipendenti di correre di più, lavorando, ma significhi favorire lo sviluppo delle competenze (formazione professionale e continua), riconoscere la professionalità sugli inquadramenti contrattuali (polivalenza e polifunzionalità), e molto dipende dalla profondità con cui i predetti fattori qualitativi vengono trattati nell’ambito delle relazioni sindacali, posto che il tema della produttività resta, comunque, questione prevalentemente sindacale. È imprescindibile, infatti, il ruolo decisivo di un efficace sistema di relazioni sindacali ai fini della realizzazione di un rapporto di segno positivo tra qualità del lavoro e produttività, soprattutto con riferimento alla fondamentale funzione della contrattazione collettiva di integrazione del dato normativo legale attraverso la definizione di nuovi sistemi di classificazione, con la conseguente fissazione di concreti e differenziati valori della corrispettività retributiva e la valorizzazione della formazione. L'A. conclude sottolineando con forza come uno sviluppo che punti sulla qualità, sul capitale umano, quale fattore di produttività, non possa prescindere in nessun modo da tutto ciò che attiene ai diritti e non solo a quelli del lavoro ma anche a quelli della cittadinanza sociale.

Della produttività e diritto del lavoro. Un itinerario sulla qualità del lavoro

D'ONGHIA, MADIA
2009-01-01

Abstract

L’articolo, dopo alcune brevi premesse sulla produttività si sviluppa ponendo l’attenzione sul rapporto tra la produttività e la qualità del lavoro, tema vastissimo soprattutto per la difficoltà di definire il secondo fattore di questo rapporto. Quando, infatti, si abbandona il territorio delle grandezze quantitative e si comincia a riflettere sul problema della qualità del lavoro, si ha subito l’impressione di muoversi su un terreno assai scivoloso, posto che mentre sul concetto di quantità è tradizionalmente più facile intendersi, non è altrettanto agevole trovare una definizione di qualità che sia sufficientemente chiara e condivisa nei suoi significati. Preso atto di tale pluridimensionalità, l’analisi giuridica si concentra su quelle ‘dimensioni’ che sperimentano, in modo più diretto, il nesso produttività/qualità del lavoro (limitatamente al lavoro privato), ovvero la professionalità e la formazione, nonché, per alcuni profili, la flessibilità occupazionale, temi ai quali si riconnette anche il problema della misurazione della qualità del lavoro sul piano della corrispettività/retribuzione. L’itinerario di lettura ha inizio da uno schematico richiamo di alcune coordinate di fondo sulla nozione di capitale umano che necessariamente portano a un dialogo con la scienza economica, tale da «accertare la rispondenza tra esigenze economiche e strumenti giuridici», senza, peraltro incorrere nel rischio, più volte sollevato, di travolgere l’essenza del diritto del lavoro. L’A. cerca, poi, di dimostrare come aumentare la produttività non significhi soltanto chiedere ai dipendenti di correre di più, lavorando, ma significhi favorire lo sviluppo delle competenze (formazione professionale e continua), riconoscere la professionalità sugli inquadramenti contrattuali (polivalenza e polifunzionalità), e molto dipende dalla profondità con cui i predetti fattori qualitativi vengono trattati nell’ambito delle relazioni sindacali, posto che il tema della produttività resta, comunque, questione prevalentemente sindacale. È imprescindibile, infatti, il ruolo decisivo di un efficace sistema di relazioni sindacali ai fini della realizzazione di un rapporto di segno positivo tra qualità del lavoro e produttività, soprattutto con riferimento alla fondamentale funzione della contrattazione collettiva di integrazione del dato normativo legale attraverso la definizione di nuovi sistemi di classificazione, con la conseguente fissazione di concreti e differenziati valori della corrispettività retributiva e la valorizzazione della formazione. L'A. conclude sottolineando con forza come uno sviluppo che punti sulla qualità, sul capitale umano, quale fattore di produttività, non possa prescindere in nessun modo da tutto ciò che attiene ai diritti e non solo a quelli del lavoro ma anche a quelli della cittadinanza sociale.
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